Nel suo saggio classico, “The Use of Knowledge in Society” (L’Uso della Conoscenza nella Società, es), F. A. Hayek parla del concetto di conoscenza distribuita. Ogni individuo ha una conoscenza unica che deriva dalle sue esperienze e dalle sue preferenze, conoscenza a cui altri, per quanto informati, non possono accedere. Scrive Hayek:
Dire che la conoscenza scientifica non è la somma di tutte le conoscenze oggi è quasi un’eresia. Ma basta riflettere un po’ per capire che esiste indubbiamente un corpus di conoscenze, importantissimo ma non organizzato, che non si può definire scientifico, nel senso che non se ne conoscono le regole generali, cioè le particolari circostanze di tempo e luogo. È in questo senso che ognuno di noi possiede un qualche vantaggio su tutti gli altri. Perché è solo lui a possedere le informazioni necessarie alla creazione di un beneficio particolare. La condizione necessaria, dunque, è che le decisioni siano prese da lui o con la sua cooperazione attiva.
Hayek poi fa alcuni esempi di come questa conoscenza si applica in un contesto economico. Produttori, consumatori e altri individui che cooperano in un mercato, possiedono tutti quanti conoscenze accessibili soltanto a loro, conoscenze completamente inaccessibili da parte di qualunque burocrate o pianificatore centrale.
Ma il discorso che fa Hayek riguardo la conoscenza distribuita non si limita all’economia. Si applica anche a questioni sociali. Prendiamo le questioni legate al rapporto tra i sessi. Le donne nella loro vita quotidiana sono soggette a misoginia. Ci sono individui femminili che sanno cose riguardo le molestie sessuali, la discriminazione, e un’ampia gamma di problemi legati al sesso che io non conoscerò mai perché non sono una donna e non ho mai avuto esperienza di queste cose. Riconoscere l’esistenza della conoscenza distribuita è importante. Significa che non posso liquidare l’esperienza sessista subita da una donna né posso presumere di saperne più di lei. Significa che nel campo dell’attivismo femminista non potrò mai avere la voce in capitolo che ha una donna oppressa da una società patriarcale. In altre parole, il fatto di riconoscere che la conoscenza è distribuita mi porta a “controllare le mie prerogative”.
Vediamo un altro esempio: i disabili. Da anni il movimento per i diritti dei disabili opera sotto lo slogan “Niente su di Noi Senza di Noi”, e si oppone ai tanti gruppi che provano a prendere decisioni che influiscono sui disabili senza prima consultare un disabile. Ad esempio, Autism Speaks, una delle più grosse organizzazioni no-profit che si occupano di autismo, non ha mai avuto un autistico nel suo direttivo. A dispetto del nome, non parlano per noi autistici, ma su di noi. Sull’autismo hanno diffuso una propaganda del terrore che molte persone autistiche, io compreso, ritengono altamente offensiva. Promuovono programmi e “cure” che per gli autistici sono del tutto inutili e controproduttive. Dovrebbero tener conto delle conoscenze degli autistici, conoscenze che a loro mancano. In altre parole, dovrebbero riconoscere che la conoscenza è distribuita e dunque dovrebbero controllare le loro prerogative.
Detto questo, però, dato che Autism Speak non è un’organizzazione governativa e non è un monopolio, noi autistici possiamo, dobbiamo, dare vita alle nostre iniziative. L’Autistic Self Advocacy Network può fornire servizi realmente utili agli autistici, dando una voce autonoma all’autismo. E se l’Autistic Self Advocacy Network non dovesse soddisfare i bisogni di certi autistici, questi ultimi potrebbero dare vita ai loro organismi autonomi. Questo è giusto un esempio di come le associazioni volontarie trasformano la conoscenza distribuita in qualcosa di efficace, per quanto ci siano bigotti che si rifiutano di praticare questa umiltà epistemica. Certo, Autism Speak dovrebbe controllare la propria ignoranza e le proprie prerogative, ma è anche vero che questa loro ignoranza costituisce una minaccia minore perché non stiamo parlando di un’organizzazione governativa o di un monopolio.
Come nell’economia, anche in ambito sociale il problema dell’arroganza epistemologica diventa tanto più grande quanto più lo stato ne è coinvolto. I politici, per definizione, non hanno le conoscenze che hanno tutti quelli interessati dalle loro politiche. Spesso, quando ad essere colpiti sono gruppi marginalizzati, i politici tendono più che volentieri ad ignorarli. Il Congresso, ad esempio, ha organizzato degli incontri per cercare di capire se è lecito violare i diritti dei “malati di mente” americani, ma non ha ammesso a testimoniare proprio i disabili psichici giudicandoli non abbastanza “competenti”. Un altro esempio è quello dei carcerati privati del diritto di voto. Lo stato esaspera la sua tendenza naturale ad una conoscenza limitata privando dei diritti quei gruppi marginalizzati che cerca di dominare. I politici dovrebbero riflettere, come dice Hayek, “sulla pochezza del loro sapere quando credono di avere la capacità di pianificare.” Dovrebbero tenere conto dell’esperienza e delle conoscenze delle persone affette dalle loro politiche. Dovrebbero, insomma, controllare le loro prerogative.
Chiedere a qualcuno di controllare le proprie prerogative, però, non significa metterlo a tacere. Significa cercare di fargli capire i limiti della sua conoscenza. Noi libertari dovremmo avere l’umiltà di controllare le nostre prerogative, dovremmo ascoltare gli oppressi che raccontano le loro esperienze, rispettare il diritto di chiunque di dirigere da solo i propri sforzi verso la libertà.
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