Terribile Quanto? Alcuni Fattori Attenuanti

Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 17 dicembre 2024 con il titolo How Bad Will It Get? Some Possible Mitigating Factors. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

Rieccoci al punto di otto anni fa.

Tanti, compreso io, dopo l’incubo delle ultime elezioni hanno fatto previsioni catastrofiche per il dopo venti gennaio. Conosciamo tutti i programmi e le terribili minacce di Trump: espulsioni di massa, attacchi a livello federale contro la libertà riproduttiva, uso dei militari per sopprimere le manifestazioni di protesta, la rinascita dell’Allegato F (un forte controllo dei dipendenti federali, NdT) per colonizzare gli uffici con personale fedele, sostegno, almeno morale, per i movimenti statali o locali come “Moms for Liberty”, anti-trans e anti-LGBT, possibili alleanze informali con delinquenti da strada paramilitari come Proud Boys, Patriot Prayer e Three Percenter nonché con simpatizzanti tra i militari e i poliziotti (come la Associazione Costituzionale degli Sceriffi).

Molte di queste minacce, anche velate, sono credibili, anche se con probabilità e intensità variabili. Ma ci sono anche tendenze contrarie, o attenuanti, che potrebbero frenare o anche spegnere il dispotismo. Niente di quello che scrivo qui, però, è inteso a minimizzare i terribili costi umani e la miseria causata da quelle politiche che Trump riuscirà a realizzare. Per quanto sia poco consolante, voglio evidenziare quei fattori che potrebbero impedire a Trump di andare fino in fondo e fare danni nella misura in cui vorrebbe.

Non siamo affatto alla fine, il suo successo è tutt’altro che sicuro. Cuore e sesto senso mi dicono che fallirà. Ma se si vuole che la lotta abbia successo, serve una valutazione reale dei punti forti e deboli del nemico. Questa analisi non serve a consolare o rassicurare, ma ad esporre i punti deboli, e Trump ne ha tanti, che si possono sfruttare.

1. Trump è pigro, dispersivo e si distrae facilmente. Già durante il primo mandato, le energie erano poche. Aveva, e ha, una debole permanenza dell’oggetto al di là dei suoi rancori personali, delle sue ricchezze e del suo ego. Durante la sua grandiosa campagna elettorale diceva che avrebbe fatto una certa cosa con due colpi di fioretto, dichiarava vittoria e passava a qualche nuovo, scintillante argomento. Come spiega Alex Cruikshanks:

1) Trump cita distrattamente qualche idea a caso

2) I media conservatori diffondono l’idea dicendo che è molto saggia

3) Trump legge i commenti, comincia a convincersi che l’idea è buona e timidamente la porta avanti

4) Le difficoltà vengono alla luce

5) Trump abbandona l’idea, ma dichiara ugualmente vittoria annunciando missione compiuta oppure dicendo che potrebbe farlo ma non gli serve

6) I media conservatori diffondono la notizia lodando la bravura o l’eleganza con cui ha chiuso la questione

Nonostante la promessa di costruire “un muro al confine lungo 500 miglia”, durante la prima amministrazione sono stati costruite appena una cinquantina di miglia di muro nuovo: l’opera “praticamente impenetrabile” è risultata progettata male, e i contrabbandieri l’aggirano facilmente. Nove decimi dell’opera sono andati a sostituire un muro che già esisteva. Sui dazi, l’approccio era sporadico e particolare; prometteva forti barriere commerciali come se questo portasse qualche paese straniero a comprare più granoturco dai produttori dell’Iowa, ad esempio, e questo lo presentava come una vittoria. Non è solo sulla sanità che ha un “programma ideale”.

Non voglio affatto minimizzare l’enorme sofferenza che causeranno la pulizia etnica e le espulsioni che riuscirà a realizzare. Ma, per quanto sia un’amara consolazione, probabilmente riuscirà a realizzare solo una frazione di quanto promesso. Costruttori, aziende agricole e imprese ad alta intensità di lavoro, cioè lo zoccolo duro dell’elettorato piccolo borghese di Trump, si servono massicciamente di immigrati irregolari come forza lavoro, e non sono in grado di farne a meno. Dati i suoi precedenti in materia di dazi e simili, è probabile che tutto finirà in qualche accordo tacito, alla fine tirerà fuori qualche esenzione per questi immigrati e le loro famiglie.

Sempre a proposito di immigrazione, Tom Homan, ex direttore dell’ufficio immigrazione, nominato da Trump “zar delle frontiere”, ha fatto capire che l’approccio sarà più mirato che di massa:

“Non ci sarà nessuna retata, nessun campo di concentramento, come mi è capitato di leggere. È ridicolo,” ha dichiarato Homan a CBS News in un’intervista il mese scorso.

“Ci saranno arresti mirati. Sapremo chi andare ad arrestare, dove è più probabile trovarli sulla base delle investigazioni,” ha aggiunto.

Spiego perché cito queste dichiarazioni.

Aaron Rupar ha interpretato una dichiarazione di Mike Johnson alla CNN come “un passo indietro” rispetto alla promessa di Trump di espellere fino a venti milioni di persone, e ha commentato: “Non credo che succederà. Credo che il presidente voglia dire che si comincerà dagli individui pericolosi. Ci sono criminali, qui, e noi sappiamo chi sono.” Al che Jonathan Katz ha risposto:

Non è un passo indietro. Si parla di “cominciare da”. Partiranno da persone che i liberal, i media e altri non possono difendere. Questo servirà a capire fin dove possono arrivare…

In seguito alzeranno la posta: immigrati tossicodipendenti o persone con problemi mentali, magari. Sempre per saggiare il terreno.

Questo è sostanzialmente il significato del sermone di Niemöller.

Chiunque per tranquillizzarsi dica che le espulsioni di Trump avranno un inizio modesto, o che mancheranno le risorse per realizzare le sue grandiose promesse, trae conclusioni sbagliate. Questi possibili scenari dovrebbero farci capire che dobbiamo opporci con tutte le nostre forze fin dall’inizio: devono capire che non possono “averla vinta”.

Sull’immigrazione, la notizia peggiore è la nomina a vicecapo del personale della Casa Bianca di Stephen Miller, che non solo è un falco, sadico, nazionalista bianco in materia di immigrazione, ma è anche un burocrate tirannico con il personale. A mitigare la cosa è il fatto che non fa parte della catena di comando che presiede alle espulsioni, e che tra lui e Trump ci sarà il capo del personale Susie Wiles (più giù).

Sembra poi di capire, da certi segnali, che qualche governatore democratico si prepara a rifiutare di collaborare al programma di espulsioni di Trump negando al potere federale l’aiuto della polizia statale. Ovviamente l’entità di questa opposizione, o non collaborazione, varierà da stato a stato. Oltre al governatore della California, Gavin Newsom, anche quello del Massachusetts ha fatto rumorosamente capire che non collaborerà. Il caso più estremo è quello del sindaco di Denver, il quale ha promesso di schierare i poliziotti all’ingresso della città per bloccare i militari, iniziativa a cui migliaia di dimostranti hanno dichiarato di voler collaborare. Questi gesti, da parte di sindaci o di governatori democratici che usano la guardia nazionale o la milizia statale per impedire l’accesso ai territori di loro competenza, potrebbe molto probabilmente dar luogo a diserzioni di massa o insubordinazioni tra le forze federali.

Ripeto: tutto ciò non serve a minimizzare o negare le sofferenze. È solo una ragione per credere che la situazione sarà seria ma non quanto potrebbe.

Infine, Trump rispetto al primo mandato oggi è più debole e peggiora rapidamente. Il che, rispetto ad allora, potrebbe portarlo ad occuparsi più dell’apparenza che della politica.

2. Trump non è solo pigro e distratto; quando ha l’impressione che gli ideologi che lo circondano gli stiano rubando la scena, si arrabbia e li strapazza.

Ne abbiamo avuto un assaggio l’estate scorsa, quando Trump ha preso le distanze da Project 2025 non perché fosse argomento tosssico ma, molto probabilmente, perché infastidito dal fatto che faceva autopromozione:

Credo che Project 2025 volesse far conoscere i propri programmi a tutto il mondo, attirare il massimo dell’attenzione, promuovere ogni genere di eventi di alto profilo per farsi pubblicità. E questo si è rivelato un errore strategico. Il presidente Trump… di solito ama fare la star, vuol essere lui alla guida, non gli va che certe organizzazioni gli rubino la scena. Giusto o no, a quanto pare Project 2025 ha cominciato a mettersi troppo in vista, e Trump ne ha avuto l’impressione come di una mosca fastidiosa che lo distraeva continuamente dalle sue intenzioni.

Si sa che durante il primo mandato i funzionari di alto livello duravano poco. Li chiamavano “scaramucci unit” (scaramucci indica un periodo di 5-10 giorni, NdT). Trump ebbe quattro capi di gabinetto, quattro portavoce, due procuratori generali e un’infinità di addetti stampa.

Steve Bannon, stratega principale, considerato da tutti la mente dietro la prima amministrazione di Trump, durò appena sette mesi. Probabilmente fu questa percezione (trasmissioni come Saturday Night Live lo raffiguravano come il cervello, il burattinaio, il babysitter di Trump) a contribuire alla sua eclissi.

Pare ora che le chiassose celebrità dell’estrema destra che circondano Trump stiano cominciando ad alzare la cresta. Subito dopo le elezioni, Bannon, appena uscito di galera, è stato rimproverato aspramente per aver ancora una volta causato imbarazzo e monopolizzato la scena. Quando Bannon ha protestato fortemente contro la penalizzazione e la “rozza giustizia romana”  da parte dei nemici politici di Trump e di chi lo critica sui media, Corey Lewandowski ha risposto:

Nessuno parla per il presidente se non il presidente in persona; il quale ieri sera ha detto che sarà il presidente di tutti; noi possiamo, ora, riportare il paese all’unità.

Similmente, durante la campagna elettorale anche Robert Kennedy Jr., con le sue dichiarazioni antivacciniste più estreme, è stato messo in sordina. Sembra che tra i viventi l’unico a non accorgersi che Trump sta cominciando ad averne le tasche piene di lui sia Elon Musk; perché troppo stupido.

Come spiega Seth Cotlar:

Tutte le volte che Trump ha diretto un’organizzazione è stato un disastro: rotture per dissensi interni, morale fiacco, pochi competenti e una pletora di sociopatici imbroglioni profondamente stupidi in cerca di notorietà. Queste organizzazioni possono fare molti danni, ma hanno anche una certa tendenza a fallire.

La persona scelta da Trump come capo del gabinetto, Susie Wiles, è maestra nei giochi di potere burocratici. Durante la campagna elettorale del 2024 si è fatta una reputazione come persona in grado di creare reti di fedelissimi attorno a sé. A volte è anche riuscita, più di tanti altri, a “convincere Trump a lasciar perdere certe idee avventate” e a “metterne a freno i peggiori impulsi.” Probabilmente sarà lei a controllare l’accesso a lui, soprattutto da parte dei peggiori elementi del suo team politico.

La CNN ha detto giovedì che, secondo una fonte, la Wiles è la più probabile candidata all’incarico, ma sul suo ruolo ha espresso riserve e prima di accettare avrebbe proposto certe condizioni a Trump. La prima è il potere di stabilire chi può arrivare al presidente nello studio ovale.

“Il carrozzone dei pagliacci non può entrare nella Casa Bianca quando gli pare,” ha detto la fonte. “E lui è d’accordo.”

Durante il primo mandato, il suo capo di gabinetto si ritrovò a lottare contro un’invasione di consulenti informali, famigliari, amici e intrusi vari che volevano entrare nella Casa Bianca per parlargli. Su certi argomenti, Trump si lascia spesso influenzare dall’ultimo arrivato, un fatto molto noto a chi gli sta attorno e che rende la vita difficile ai suoi assistenti superiori.

È opinione diffusa che la Wiles abbia avuto il compito di gestire la più sofisticata e disciplinata campagna elettorale di Trump, compreso tenere alla larga le voci più estremiste.

3. La stragrande maggioranza delle nomine di Trump è fatta di ideologi convinti. Che sono anche di pagliacci inconcludenti, e sembrano messi lì apposta per vanificare il controllo di Trump sui loro domini burocratici e alienare tutti quelli che possono dare un aiuto. Ken White (noto Popehat) lo spiega così:

Sono tutti chiaramente perfidi, un disonore per le istituzioni che guideranno, una disgrazia per lo stato e così via, ma hanno anche la capacità o la pazienza di realizzare le loro bizzarrie? Cambiare un’istituzione è difficilissimo. Si dice: “metteteci un esterno che faccia piazza pulita”, ma per fare questo ci vuole un tipo sveglio e abbastanza disciplinato, che sappia bene cosa sta andando a cambiare. Altrimenti il personale interno cocciutamente, passivamente o aggressivamente gli mette i bastoni tra le ruote. Puoi radere al suolo un’istituzione, ma a quel punto non hai più un’istituzione da usare come arma.

Al momento di chiudere questo articolo (22 novembre), il governo di Trump pare un raduno di pagliacci. Sono quasi tutti o estremisti ideologizzati (Gaetz alla giustizia, Robert Kennedy alla sanità, Tulsi Gabbard alla Cia, Kash Patel all’Fbi) o personaggi della televisione che hanno catturato l’attenzione di Trump, che è uno spettatore impulsivo (Hegseth, di Fox News, alla difesa e un maestro di wrestling all’istruzione).

Questo aggregato di comici inetti è la ricetta perfetta per una politica fatta di divisioni, ostruzionismi e rimandi. Così Dave Karpf:

Noi amplifichiamo le lotte intestine e le incompetenze della sua amministrazione. Soffiamo sul fuoco delle divisioni, accentuiamo le tensioni e non obbediamo ciecamente. Invitiamo gli idioti a mettersi i bastoni tra le ruote l’un l’altro. E diamo risalto agli errori di base che li mettono l’uno contro l’altro.

Ad esempio, cito un titolo ricorrente: “Elon Musk, presidente ombra”. È una cosa che mi dà molto fastidio. È un esempio di come Elon si automitizza. Ma da un punto di vista strategico è geniale. A furia di titoli, il fragile ego di Trump scoppia. E se Trump si sente oscurato da Elon, Elon ha finito. E Musk non la prende con filosofia. Tra parentesi, non prende mai nulla con filosofia.

3. Il rapido declino di Trump, evidentissimo negli ultimi mesi, destabilizzerà il suo movimento.

Sui social c’è chi, molto appropriatamente, caratterizza la futura amministrazione di Trump come “una corte di Grima Vermilingui”.

Molto probabilmente, molti dei tirapiedi più ambiziosi di Trump cercheranno di appellarsi al venticinquestimo emendamento. O, più probabilmente, cercheranno di istituire una reggenza formale con Trump che fa da leader di facciata, come già accadde con Woodrow Wilson o con Reagan al suo secondo mandato. A complicare le cose saranno persone come Vance, Musk e Robert Kennedy Jr. che cercheranno non solo di sostituirsi a Trump, ma anche di farsi fuori tra loro. Se otto anni fa era possibile far leva sul carattere paranoico e vanitoso di Trump per spingerlo a cacciare via Bannon, oggi si può fare molto di più. Se sospetta qualche trama contro di lui, quasi sicuramente invocherà il sostegno della sua base elettorale. Se non altro, ha questa capacità di vedere complotti anche laddove non c’è nulla. Sempre secondo Karpf, Trump…

non si candiderà per un altro mandato. Scalpiterà un casino, ma tra quattro anni ne fa ottantadue, e non sta invecchiando bene. Potrebbe nascere un bel po’ di confusione, dato che un successore preciso non c’è (mi spiace, JD Vance). L’amministrazione passata era un colabrodo, un reality show. Stavolta le fughe di notizie e le lotte intestine potrebbero essere più forti ancora: nel prossimo post-Trump, i suoi luogotenenti ingaggeranno una lotta a somma zero per il potere e l’influenza.

Sarà il caos non solo nella Casa Bianca. Sarà il caos al congresso e dentro il partito repubblicano, con la dirigenza che si spaccherà sul nome del successore o sarà paralizzata dal timore di mettersi contro un Trump paranoico ancora in grado di scagliarsi contro un eventuale successore o di mettergli i bastoni tra le ruote.

4. Consolidare un potere dittatoriale è molto più arduo negli Stati Uniti che nei paesi veramente autocratici.

Rispetto a paesi governati da autocrati, come l’Ungheria e la Turchia, gli Stati Uniti sono caratterizzati da quello che i politologi definiscono “mancanza di capacità statuale”. A differenza di molti altri paesi dove le amministrazioni locali, le forze di polizia e altro sono soggette a controllo dal centro, negli Stati Uniti gran parte delle risorse amministrative e di polizia sono nelle mani delle amministrazioni statale e locale. Il potere federale è relativamente piccolo.

La macchina elettorale, in particolare, è gestita quasi interamente a livello statale e locale. E i democratici controllano almeno un ramo del governo nella maggioranza degli stati.

Similmente, l’ordinamento giudiziario è poliarchico. Un quarto circa dei giudici federali sono stati nominati da Trump. La corte suprema è fortemente schierata con Trump, vedi la causa Dobbs-Trump contro gli Stati Uniti. Ma secondo me è sbagliato considerarla una semplice estensione della volontà di Trump. Tre dei giudici, Thomas, Alito e Gorsuch, è molto probabile che appoggeranno pressoché tutte le cause riguardanti questioni di potere presidenziale. Quanto a Roberts, Kavanaugh e Barrett, sono sì tra il conservatore e il rivoluzionario, ma sono guidati più dall’ideologia che dalla fedeltà a qualcuno e se decideranno in favore di Trump sarà probabilmente sulla base di una certa consonanza di principi.

La lotta contro la droga dipende fortemente dalla polizia statale e locale, ne sono testimonianza le retate con i poliziotti che davanti alle telecamere mostrano i panetti di droga sequestrata. Il divieto federale diventa praticamente lettera morta in quegli stati in cui la depenalizzazione costringe la polizia federale a confidare interamente sulle forze locali.

Franklin Roosevelt non riuscì a istituire una socialdemocrazia di tipo europeo non solo perché richiedeva eccezioni per le élite meridionali (che pesavano molto sulla coalizione democratica), ma soprattutto perché il governo federale, che non aveva potere statuale, dipendeva dalle amministrazioni locali o statali per l’attuazione del New Deal.

Probabilmente, accadrà la stessa cosa se si cercherà di imporre un fascismo di tipo europeo, o un regime pseudo dittatoriale come quello di Orban. Per questo Cas Mudde, specialista che studia la carriera di uomini forti come Orban e Erdoğan, ritiene improbabile l’abolizione della democrazia elettorale e il consolidamento del potere di Trump (“la cattura e lo smantellamento della democrazia americana”) in quattro anni.

Come ha notato qualcuno sui social, “Non è una questione di leggi, ma di organizzazione e decentramento del potere, e in questo rispetto al 2016 la situazione è migliorata.”

Asli Aydintasbas, giornalista, ex inviato in Turchia, è di opinione simile:

Avendo vissuto la nascita e lo sviluppo del potere autoritario in Turchia, credo di essere una sorta di esperto in materia. E no, non credo che bastino altri quattro anni di Trump per trasformare gli Stati Uniti in una dittatura.

Da quel che ho visto in Turchia, perlopiù da giornalista, nei vent’anni in cui Tayyp Erdoğan ha edificato il suo potere, ho capito che una dittatura richiede tempi lunghi. Anche in Polonia e in Ungheria ci sono voluti anni per erodere lo stato di diritto e far nascere un governo illiberale. Lo smantellamento di una democrazia è un processo che richiede tempi particolari, una sorta di periodo di incubazione del dispotismo: ci sono leggi da cambiare, istituzioni da smantellare, alleanze da far nascere. Concertando gli sforzi, Trump potrebbe ridurre questo periodo di incubazione a otto anni consecutivi, ma non quattro.

Più che il consolidamento di una dittatura vera e propria, il risultato più probabile è una guerra civile azzoppata, o al rallentatore, in cui gli editti dell’esecutivo verrebbero attuati, ignorati, combattuti o sabotati in diverso grado a seconda dello stato o dell’istituzione.

Adam Gurri vorrebbe un programma democratico che “faccia ostruzionismo contro il fascismo”.

In questa lotta, ad avere le armi istituzionali e legali più potenti sono le istituzioni statali e locali in cui governano i democratici. Gran parte di quella che crediamo politica federale dipende di fatto dalle possibilità amministrative locali e statali. Questo dà potere di leva a tante figure istituzionali fuori dal governo federale. È in questi luoghi di potere che manifestanti e attivisti dovrebbero fare pressione e agire al momento giusto: fare opposizione strategica così da ridurre le possibilità che un governo federale dominato da Trump raggiunga i propri obiettivi.

Anche il federalismo potrebbe ostacolare le mire espulsionistiche di Trump. Amministrazioni democratiche cittadine o statali potrebbero rifiutarsi in vario modo di collaborare con le politiche migratorie o più genericamente autoritarie del governo federale.

Due governatori democratici, Pritzker dell’Illinois e Polis del Colorado, hanno dato vita a una associazione di governatori: Governors Safeguarding Democracy (Governatori a Difesa della Democrazia, NdT),

per contrastare le “crescenti minacce dittatoriali” e i possibili colpi di mano della seconda amministrazione di Donald Trump. Gli aderenti all’associazione “Governors Safeguarding Democracy” mettono assieme le loro forze al fine di “catalizzare la collaborazione tra stati…”

Particolarmente preoccupante è l’intenzione di risuscitare l’Allegato F, che qualifica decine di migliaia di funzionari di alto livello come nomine politiche facilmente licenziabili. Nel migliore dei casi, si ridurrebbe la possibilità degli stati di opporsi ai programmi di Trump, ma si azzopperebbero anche i programmi federali.

Gli effetti peggiori potrebbero essere attenuati dal fatto che probabilmente occorreranno mesi per sostituire i circa 50 mila funzionari in questione, mentre ai livelli più bassi l’amministrazione resterà come prima. Potrebbe derivarne uno scenario in cui i funzionari di nomina politca sarebbero costretti, per certi versi, ad “adattarsi alle abitudini del posto”, ovvero a venire a patti col funzionamento di base della macchina.

Ma la corruzione dei funzionari addetti all’attuazione salirebbe alle stelle. Molto probabilmente, agenzie come l’ufficio per le politiche migratorie (IRS) diventerebbero un’arma da utilizzare, caso per caso, contro i principali nemici di Trump.

Ad ogni modo, anche se si applicasse pienamente l’Allegato F, una burocrazia deve seguire norme procedurali di base per il suo funzionamento quotidiano, o per il funzionamento tout-court. Questo offre numerose opportunità a chi cerca di rallentare o sabotare l’azione semplicemente sfruttando le normative. Come dice Gurri, “rimandare, rimandare, rimandare”:

Neanche le dittature personali riescono a mettere in pratica alla lettera il volere del loro Duce. Qualunque sistema politico basato sulle leggi, di una certa dimensione, è appesantito dai requisiti basilari necessari a far funzionare una grossa organizzazione; da qui una notevole inerzia a livello di attuazione pratica. E il sistema americano, nonostante i suoi difetti, è tutt’altro che totalitario. Tutti i presidenti hanno cercato di personalizzare il potere, senza però riuscirci. La frammentazione dell’autorità politica, per quanto ridotta dopo la guerra civile e soprattutto con la crescita del potere esecutivo federale nel Novecento, è perlopiù rimasta tale. Proprio la crescita del potere esecutivo federale, pur rafforzando teoricamente l’autorità presidenziale, di fatto ha dato vita a numerose istituzioni che rispondono ognuna in modo diverso al volere del presidente. Alcune, spesso volutamente, non rispondono affatto.

Tutta da vedere poi è l’affidabilità dell’esercito: quante frizioni ci saranno se dovesse essere utilizzato per le espulsioni di massa o per sopprimere le manifestazioni? I vertici militari e gli alti ufficiali, pur essendo in maggioranza repubblicani, hanno mostrato ostilità verso i precedenti tentativi di Trump di impadronirsi del potere. Anche tra i falchi ufficiali di carriera, tra i più irriducibili conservatori, la fedeltà alla costituzione è un riflesso radicato. Secondo un rapporto della CNN,

gli ufficiali del Pentagono stanno discutendo informalmente sulla possibile risposta del dipartimento della difesa nel caso in cui Donald Trump dovesse dare l’ordine di spiegare truppe sul territorio nazionale e licenziare un gran numero di funzionari apolitici…

Sono diversi i possibili scenari delineati dagli ufficiali nel caso dovesse esserci una presa del potere del Pentagono.

“Ci stiamo preparando al peggio, ma nella realtà non sappiamo ancora come andranno le cose,” ha detto un ufficiale della difesa.

Al Pentagono ci si chiede cosa fare nel caso se il presidente dà un ordine illegale, soprattutto se i suoi nominati non oppongono resistenza.

“I militari sono costretti per legge a disobbedire ad un ordine illegale,” dice un altro ufficiale della difesa. “La questione però è: cosa succede a questo punto? I capi militari anziani si dimetteranno, oppure resteranno perché dimettersi sarebbe considerato un abbandono della popolazione?”

Ora come ora, non è chiaro chi andrà capo del Pentagono, anche se secondo gli ufficiali Trump eviterà relazioni “ostili” con i militari come nella passata amministrazione, ha detto un ex ufficiale della difesa allora in servizio.

“Allora le relazioni tra la Casa Bianca e il dipartimento della difesa erano pessime e quindi… credo che questa volta ci penseranno a lungo prima di nominare qualcuno al dipartimento,” ha detto l’ex ufficiale.

Io sospetto che quegli “incontri informali” sui possibili scenari e le opzioni siano molto più sostanziali e concreti di quanto non facciano capire le dichiarazioni pubbliche. E se il fine a breve è evitare dissapori con i vertici militari, credo che ripulire il corpo ufficiali sulla base della loro fedeltà provata sia un pessimo modo per arrivarci. Tanto più che il processo sarebbe lungo e snervante, e Trump potrebbe arrivare a vedere con sospetto gran parte dei vertici militari.

Circola un’allarmante bozza di ordine esecutivo che creerebbe una commissione ad hoc per accelerare il processo di destituzione di quei generali considerati troppo vicini all’ideologia “woke”, o non abbastanza fidati. Non si conosce l’entità delle epurazioni nel caso Trump dovesse firmare l’ordine. Io però credo che l’obbedienza dei generali verrebbe contestata solo in casi straordinari, come l’imposizione della legge marziale o l’uso delle forze militari per sopprimere le manifestazioni o ancora per imporre il proprio volere sugli stati democratici ai termini dell’Insurrection Act. L’istintivo attaccamento alla costituzione di cui parlavo prima è diffuso ma, grazie ad un’altrettanto istintiva riluttanza a fare dichiarazioni in pubblico, è anche un fatto tacito che potrebbe venire alla luce nel momento meno opportuno per un aspirante autocrate. È poco probabile che un gruppo di generali dichiari pubblicamente le proprie intenzioni in caso di presa del potere, anche perché così facendo giustificherebbero le epurazioni. Questo significherebbe un gran numero di “falsi negativi” e dissidenti taciti non toccati dalle epurazioni, se Trump dovesse forzare la mano. E com’è facile immaginare, questi dissidenti sopravvissuti, molto probabilmente la maggioranza del corpo ufficiali, sarebbero furiosi e pieni di risentimento feroce.

La nascita di questa commissione e la dichiarazione di Trump di ripulire il corpo ufficiali sulla base della fedeltà, unite alla nomina a segretario della difesa di un idiota come Pete Hegseth di Fox News, non potrebbe suonare più offensiva per i falchi della commissione sul servizio armato del senato, neanche se fosse voluta.

Inoltre, l’attuazione dell’Allegato F e la sostituzione di certi ufficiali di grado superiore con altri più fidati richiederà mesi. Visto il carattere di Trump e dei suoi tirapiedi, ci sono non poche possibilità che forzino le cose prima di essersi assicurati l’obbedienza di militari e burocrati, attirandosi così le disgrazie.

Ad ogni modo, una presa di potere militare non è una passeggiata. Se è furbo, un aspirante dittatore si guarda bene dal provocare una crisi prima di aver consolidato il proprio potere; e anche dopo, evita di fare gesti che possono irritare la maggioranza della popolazione. Con o senza la fedeltà dei generali, se Trump dovesse prendere il potere troppo presto le conseguenze sarebbero probabilmente disastrose. Cito ancora Aydintasbas:

A dare a Erdoğan quel potere che cercava furono i poteri presidenziali di emergenza dopo il fallito colpo di stato del 2016, che assicurarono al ministero della giustizia turco il diritto arbitrario di liquidare o trasferire i magistrati.

Può Trump invocare simili poteri emergenziali? Non prima di essersi assicurato il consenso istituzionale e sociale. Anche in Turchia, è stato necessario un sanguinoso tentativo di colpo di stato perché Erdoğan potesse avere quel potere che cercava. A Trump servirebbe un evento altrettanto drammatico che faccia da causa di forza maggiore e giustifichi il controllo del potere giudiziario [e presumibilmente anche altri] davanti alla popolazione.

Insomma, Trump fa di tutto per scompigliare e alienarsi proprio quei militari e quei poliziotti senza i quali non potrebbe imporre la repressione.

Ciliegina sulla torta, Trump sembra fare del suo meglio per sabotare il suo potere d’influenza sul congresso. La nomina a ministro della giustizia di Gaetz, più le nomine di Stefanik e Waltz, oltre ad attirare le ire di quei senatori repubblicani che vogliono mantenere qualche residuo di dignità, falcia la maggioranza repubblicana alla camera che già ora si conta sulle dita di una mano, e che non sarà reintegrabile prima delle elezioni speciali da tenersi dopo qualche mese. Mike Johnson ha già detto chiaramente a Trump di non assottigliare la già sottilissima maggioranza. Intanto due repubblicani alla camera si dicono favorevoli all’impeachment di Trump, e anche un gruppetto di altri conservatori tradizionalisti pre-Trump basterebbe a rovesciare il Freedom Caucus.

Similmente, il senato ha rifiutato la nomina a capogruppo della maggioranza di Rick Scott, voluto da Trump, preferendogli un banale conservatore come sarebbe piaciuto a Romney o Jeb. E proprio Romney, Murkowski e Collins sono tra quei pochi voti che fanno la maggioranza repubblicana. Non hanno fama d’essere coraggiosi, ma è molto improbabile che approvino lo stravolgimento della sanità o dello stato sociale.

Anche il modo in cui Trump ha affrontato il congresso, cercando di costringerlo a mostrarsi obbediente autosospendendosi e lasciando che Trump imponesse i suoi prescelti, viola la regola principale degli aspiranti autocrati che cercano di consolidare il potere: non cercare lo scontro se non sei sicuro del risultato. A quanto pare, la richiesta di Trump di autosospendersi è rimasta lettera morta. E il ritiro di Gaetz, e forse anche di Hegseth, è un primo segnale di debolezza che quasi sicuramente incoraggerà i senatori incerti a rinnovare la sfida. Non si sa se ad andarsene per primo sarà Patel, Kennedy o Gabbard, ma sicuramente sarà uno di loro.

5. È probabile che le decisioni di Trump provocheranno forti reazioni. La regola aurea di un regime autoritario che vuole consolidare il potere è: mantenere un’atmosfera di generale sostegno passivo o di apatia, lasciare che la gente viva la propria vita, e soprattutto evitare gesti che possono urtare grosse fette della popolazione.

È importante tener presente che le elezioni del 2024 non sono un riallineamento ideologico. Trump ha avuto meno voti rispetto al 2020; milioni di elettori che nel 2020 avevano votato per Biden, sono rimasti a casa. Gli indecisi che hanno votato Trump, inoltre, erano molto poco informati, il loro voto è stato soprattutto contro Biden e l’inflazione seguita al covid. Come dice Seth Cotlar

quando i dazi voluti da Trump faranno salire l’inflazione, e i videogiochi costeranno centinaia di dollari in più, o quando le espulsioni priveranno l’agricoltura di manodopera e i prezzi degli alimentari cresceranno, quale sarà la reazione degli elettori “antiinflazione”?

Prima delle elezioni, a spingere Trump era il fatto che gli elettori proiettavano su di lui la speranza di un proprio miglioramento economico, impressione alimentata dalla macchina propagandistica della destra. Ma se Trump fallisce in economia gli elettori se ne accorgono.

La propaganda autoritaria può essere molto efficace, come abbiamo visto, ma oltre un certo limite non comanda più la realtà. Questa è una lezione che tutti i regimi autoritari del passato hanno imparato.

In particolare, la posizione degli elettori nei confronti di Trump appare unica. Gli elettori di Trump non corrispondono al partito repubblicano, come testimonia il comportamento bizzarro di tanti che hanno votato anche per governatori, legislatori e membri del congresso democratici. Esemplare è il caso di quei newyorchesi che hanno votato sia per Trump che per Alexandria Ocasio Cortez.

Nessuno erediterà gli elettori di Trump. Dopo Trump non ci sarà alcun trumpismo. Come dice Ned Resnikoff, “La forza elettorale della coalizione che sostiene Tump non gli sopravviverà. Se qualcuno riuscirà a mantenere il potere a livello nazionale dopo che Trump avrà lasciato la scena, sarà perché sarà al riparo dalle critiche democratiche.” E come abbiamo visto, la capacità di Trump e dei suoi aspiranti successori di stare al riparo dalle critiche è limitata. Perché non riuscirà a distruggere la democrazia elettorale prima del 2026.

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