Di Kevin Carson. Articolo originale pubblicato il 25 aprile 2024 con il titolo Capitalism Is Still Closer to Ceasar Than to God. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.
Su The Freeman, Cody Cook si chiede: “Gesù Cristo aveva simpatie per gli affari?”
Comincia citando alcuni passi dei vangeli che condannano chiaramente la ricchezza e nota come ciò rappresenti un problema per quel genere di libertarismo (amico dei ricchi, delle grandi aziende e dei grandi affari) che lui e The Freeman rappresentano.
Visto che le sacre scritture condannano la ricchezza, potrebbe apparire una contraddizione in termini che un cristiano creda anche nel capitalismo di libero mercato. Se i vangeli parlano come Marx, come può un credente credere anche nel capitalismo, che è l’esatto contrario di ciò che dice Marx?
Cook cerca di salvare il capitalismo facendo due distinguo: “Primo, noi diamo tacitamente per scontato che il sistema economico dei tempi di Gesù fosse il ‘capitalismo’.”
Prima di procedere con la critica dell’articolo, è bene notare che anche Cook per tacitamente scontate dà alcune cose: che l’attuale sistema capitalistico sia caratterizzato da un mercato “libero” nel vero senso della parola, che sia anche solo possibile un “capitalismo di libero mercato”, e che essere un sostenitore del libero mercato implichi necessariamente “simpatia” verso i ricchi. Cook confonde fin dall’inizio il “libero mercato” con il sistema capitalistico e gli interessi dei ricchi. Ed è bene che dia tutto per tacitamente scontato, perché non merita molta attenzione.
Ai tempi di Gesù Cristo era sensato condannare i ricchi, continua Cook, perché l’economia non era il “capitalismo di libero mercato” che abbiamo oggi.
A dire il vero, il capitalismo come filosofia economica ha appena qualche secolo. Il suo contributo principale alla sfera economica sta nel proporre che il mercato sia lasciato funzionare secondo principi di libertà, cooperazione e decentramento, l’opposto del controllo centralizzato dell’economia tramite la forza violenta dello stato.
Per contro, nel primo secolo dopo Cristo il sistema economico aveva come elementi chiave…
1. La ricchezza come gioco a somma zero
2. Un sistema economico coercitivo per cui la ricchezza era intrecciata con l’“imperialismo estrattivo”
Quindi elabora:
“Era normale dire che essere ricchi significava rubare ai poveri in un impero aristocratico in cui una piccola élite del due-tre percento della popolazione aveva un potere ereditario che consisteva nel controllo delle risorse, terra e lavoro, che consumava il 65 percento della produzione e che confiscava, secondo le stime, tra il 20 e il 40 percento di ciò che [i contadini] cacciavano, coltivavano o pascolavano.” Non sorprende che il semplice fatto di essere ricchi fosse considerato un furto ai danni dei poveri. Aggiungiamo allo sfruttamento il fatto che una buona percentuale di chi non era ricco era in schiavitù e non è difficile capire perché i vangeli avessero un’opinione così negativa della ricchezza. In un mondo così, ogni povero era inevitabilmente oppresso e ogni ricco inevitabilmente o un oppressore o qualcuno che coscientemente usufruiva dell’oppressione.
Sappiamo che in queste società si produceva poco perché l’innovazione era impedita e il profitto personale tra le classi produttrici incentivato. Restava poco da spartire, dopo che i potenti si erano presi la fetta più grande con la forza. Vivere senza libero mercato è davvero a somma zero.
Per contro, principi della proprietà privata del capitalismo moderno, regole eque che non favoriscono nessuno e libero mercato creano le condizioni di una mobilità verso l’alto che offre a chi sta in basso un’ottima occasione di migliorarsi economicamente. Date queste circostanze, la ricchezza totale cresce e si diffonde arrivando anche ai più poveri.
Se Cody sta leggendo, è meglio che si metta seduto. Perché l’attuale società capitalista da lui descritta così entusiasticamente è in realtà molto più vicina a Cesare che a Dio.
Parlando di profitti aziendali, una grossa fetta è composta di rendite economiche immeritate: redditi derivati dalla proprietà assenteista della terra e di risorse naturali (i cui diritti di proprietà risalgono perlopiù a espropriazioni del passato), brevetti e copyright, barriere normative all’ingresso (perlopiù scritte a beneficio delle industrie che si vorrebbe regolare) e così via. Se c’è una relazione a somma zero, è proprio qui: una parte trae profitto a spese dell’altra.
Chi perde di gran lunga di più in questo scambio a somma zero è la classe lavoratrice, il cui potere contrattuale è fortemente indebolito dal fatto che la proprietà dei mezzi di produzione è concentrata nelle mani di una classe capitalista assenteista. L’espropriazione del diritto comune alla terra e altri diritti comuni dei contadini, avvenuta tra la fine del Medio Evo e l’inizio dell’Era Moderna, rappresenta la precondizione del capitalismo. L’ultima fase di questo processo, le espropriazioni (enclosure) dei pascoli comuni e delle terre residuali decretate dal parlamento nel Settecento, fu portata avanti in risposta a un “problema” percepito, ovvero che chi lavorava la terra non era disposto a lavorare tante ore quante le classi possidenti avrebbero voluto finché poteva accedere personalmente ai mezzi di sostentamento.
A queste plurisecolari espropriazioni si accompagnò tutta una serie di draconiane restrizioni legali della libertà di movimento e associazione dei contadini così espropriati. Leggi contro il vagabondaggio che limitavano la possibilità di questo “canagliume testardo”, di questi “uomini senza padrone” che rifiutavano un lavoro salariato ai termini offerti fossero ridotti a forza al peonaggio, di andare da una parrocchia all’altra in cerca di una paga migliore. E leggi che imponevano limiti alle dimensioni delle assemblee pubbliche e il divieto per i lavoratori di organizzarsi.
La proprietà delle terre così espropriate è rimasta concentrata per effetto dei ritorni compositi delle rendite economiche derivanti dalla scarsità artificiale e da artificiali diritti di proprietà tutelati dallo stato. Il risultato è che la proprietà è perlopiù nelle mani di eredi e assegnatari dei ladri di un tempo.
Quanto all’“imperialismo estrattivo” di cui parla Cook, ricordo che dalla fine del Quattrocento gran parte del pianeta è stato gradualmente soggiogato dai paesi europei e da paesi di coloni europei come gli Stati Uniti. Le potenze imperialiste hanno privato intere popolazioni delle loro terre e risorse naturali, con un processo di appropriazione che ricalca le precedenti espropriazioni in Europa Occidentale. Anche dopo l’indipendenza formale delle colonie, avvenuta nel Novecento, le potenze capitaliste occidentali hanno continuato dietro la guida americana a sostenere i regimi amici, ricorrendo se necessario a invasioni, colpi di stato e squadroni della morte al fine di impedire che terre e risorse tornassero ai legittimi proprietari, sopprimendo qualunque tentativo dei lavoratori di organizzarsi. Aggiungiamo infine che l’occidente sostiene un regime di proprietà intellettuale globale e altre normative stataliste che permettono di rinchiudere il commercio internazionale in un guscio aziendale favorendo l’estrazione di ulteriori rendite economiche.
Cody Cook, insomma, così come molti altri opinionisti libertari di destra, non fa che difendere un sistema che esiste solo nella sua fantasia.
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