Israele e Palestina: Contro lo Stato Nazionale

Di John A. Rooke. Articolo originale: Israel and Palestine: Against the Nation State, del 15 novembre 2023. Tradotto da Enrico Sanna.

Nella voce irata di una giovane ebrea sopravvissuta al massacro nel kibbutz Be’eri c’è disperazione e speranza riguardo la crisi attuale: “È stata la gente ad accorrere in aiuto. La gente. Lo stato non si è fatto vedere.” In effetti, tra i primi ad organizzare gruppi di volontari alla ricerca degli israeliani dispersi ci sono i beduini del Negev.

Il moderno stato nazionale si basa sull’appartenenza etnica. I liberali magari vorrebbero allargare il concetto di cittadinanza oltre l’identità etnica, ma dietro l’apparenza imparziale della repubblica democratica si nasconde lo spettro del razzismo. Non dovremmo star qui a ricordare queste cose alla luce degli accadimenti recenti, gli orrori in Israele-Palestina non sorprendono. Possiamo anche, come fa Fredy Perlman, arrivare a pensare che il genocidio, lungi dall’essere un’anomalia del progresso delle nazioni, ne è parte integrante.

Dov’è lo stato quando si commettono atrocità contro la sua popolazione? Non c’è.

Per Perlman il ciclo della violenza è infinito. Non ha soluzioni da offrire alla dialettica della liberazione nazionale e dell’oppressione imperialista: il genocidio è parte integrante del movimento di liberazione. L’analisi di Michail Bakunin, anarchico ottocentesco, è più puntuale e ottimista:

La nazione, così come l’individuo, è un fatto di natura. Indica il diritto inalienabile di singoli, gruppi, società e popolazioni ad un proprio stile di vita. E questo stile di vita è il risultato di un lungo sviluppo storico (il punto d’incontro di esseri umani accomunati dalla storia, la lingua e lo sfondo culturale)[1].

Ma il nazionalismo non può essere preso a principio perché:

ogni principio deve avere la forza dell’universalità; al contrario, la nazionalità, che è esclusiva, divide… Il diritto della nazionalità non può mai essere preso in questione… se non come conseguenza naturale del principio supremo della libertà; e cessa di essere un diritto non appena va contro la libertà o anche solo contro la libertà esteriore.[2]

A partire dal congresso di Praga del 1848 Bakunin rivede il suo pensiero: ammette che occorre porre un limite alle aspirazioni nazionali quando il suo tentativo di promuovere un movimento di liberazione pan-slavista precipita davanti alle rivalità dei gruppi nazionali in competizione tra loro.[3]

I delegati cechi, spiega, puntavano a istituire un potere egemonico sugli slavi all’interno di una monarchia austriaca riformata, i polacchi cercavano il predominio sugli ucraini della Galizia, mentre per gli slavi di Ungheria esisteva solo ciò che li interessava direttamente: l’occupazione magiara.[4]

Questi conflitti sono inevitabili finché è il nazionalismo a guidare i movimenti di liberazione. Secondo una certa tradizione accademica di pensiero, il Sionismo non ha un concetto appropriato dell’“altro” arabo, ma anche senza questa lacuna l’emigrazione degli ebrei europei in Medio Oriente avrebbe prodotto comunque tensioni.[5]

La storia, complessa di per sé, è resa oscura dalle interpretazioni contrastanti, ma ci sono anche punti chiari: Il passaggio delle terre dai contadini arabi ai più ricchi immigrati europei, agevolato dalle relazioni di proprietà imposte dai vari poteri imperiali, hanno prodotto risentimento: le rivolte e i massacri arabi contro gli ebrei, soprattutto sotto l’impero britannico, hanno portato alla militarizzazione degli ebrei e all’emergere di elementi fascisti in entrambe le parti. Ciononostante, il Sionismo rimase un programma largamente socialista fino all’ondata migratoria causata dalla Scioà con la successiva decisione di far nascere lo stato di Israele. Fu allora che le aspirazioni progressiste sfumarono e il Sionismo divenne l’ennesima impresa coloniale, mentre nel mondo arabo cresceva esponenzialmente l’antisemitismo.

Gli oppressi diventarono oppressori, ma questo non toglie legittimità alle aspirazioni di ebrei e palestinesi all’autodeterminazione. E una volta liberati dalle pretese territoriali e economiche degli stati nazionali, non si vede perché queste aspirazioni non debbano coesistere pacificamente. Oggi la situazione in terra israelo-palestinese è lontanissima dai nostri auspici. I massacri di Be’eri e Supernova sono orribili, le sofferenze di Gaza inimmaginabili. Ma forse è proprio in questi momenti di disumanità assoluta che l’impulso naturale dell’uomo verso l’anarchia può esprimersi con maggior forza. Lascio l’ultima parola alla giovane donna citata all’inizio:

Bibi, Hamas, non m’importa. So solo che Be’eri soffre, Nahal Oz soffre, e così Kfar Aza, Sderot e Gaza. Credetemi, la terra trema allo stesso modo a Be’eri e a Gaza per ogni [razzo] Qassam a quattro chilometri e mezzo di distanza.

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Note

1. Bakunin on Anarchism, 1980, seconda edizione riveduta, tradotta e corretta da Sam Dolgoff, Black Rose Books, pagina 401 (nota: la citazione è presa dal capitolo “On nationality, the state, and federalism”, presente solo nella seconda edizione riveduta).

2. Op. cit. pagina 106. Vedi anche la prima edizione.

3. Cipko, S. (1990)  ‘Mikhail Bakunin and the National Question’ in The Raven 9, Freedom Press, London.  Lo stesso Bakunin non era esente da sciovinismi distruttivi, i suoi scritti sono disseminati di occasionale antisemitismo, e i suoi sentimenti antitedeschi possono aver contribuito al suo atteggiamento nei confronti di Marx.

4. Op. cit. pagina 4.

5. Belinsky, Z. (2019) ‘Zionism and State Violence: Torwards a Jewish Critique’ Zionism and State Violence: Towards a Jewish Critique.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory