La Vita Invisibile del Migrante

Di Citizen Ilya. Originale pubblicato il 7 novembre 2022 con il titolo The Invisible Life of Migrants. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

Da ex immigrato in Europa, ho visto persone che la cultura dominante e lo stato non vedono. Gli immigrati sono indesiderati, la società li usa solo per i lavori più umili. Parlo di immigrati e rifugiati che in Europa vivono di stenti. Sono le persone più a rischio, invisibili anche dopo la morte.

Molti sfidano la morte per attraversare le frontiere. Molti confidano nelle loro piccole comunità mentre il resto della società non li vede neanche. Molti lavorano dall’alba al tramonto per un salario che basta appena per vivere, o anche per meno. Leggende xenofobe li descrivono come subumani perché vengono da una cultura diversa, perché arrivano “illegalmente”, perché fanno lavori che le persone “normali” non vogliono fare, e per questo sono trattati come esseri senza diritti. La gente li considera ripugnanti, minacciosi: solo loro, dicono, commettono crimini come il traffico di droga o il furto, sono barbari analfabeti che vivono di soldi pubblici, lavorano pochissimo e diffondono la loro cultura “di odio”.

Da piccolo credevo a queste leggende. Oggi sono io il migrante e conosco le difficoltà di una vita invisibile. Per lo stato e il mercato del lavoro non sei nessuno, anche quando hai tutti i documenti a posto. Per chi la mattina va a lavorare non sei nessuno perché sei un immigrato. Torni a casa esausto e sfruttato e pensi che non tornerai a lavorare quattordici ore al giorno. Memorizzi gli orari dell’autobus notturno e i cassonetti dove trovare roba che quasi si può mangiare. Ti viene il panico quando qualcuno ti si rivolge nella sua lingua piuttosto che nella tua o in inglese. Sei nessuno.

Sei qualcuno solo quando sei classe media, allora ti trattano come un turista. O quando parli la loro lingua meglio della tua, e gli altri pensano che sei del posto. Capito l’ironia? È quasi impossibile farti considerare per quello che sei dalla società. Non sei tu che metti l’etichetta, è la gente attorno che dice che sei un “turista”, un “immigrato”, un “cittadino”, un “caro cliente”, mai un essere umano, un individuo.

Per diventare individuo devi combattere. Capisci che la società è malata quando è contro la società che devi combattere per essere trattato da essere umano. Riconoscere la tua esistenza sarebbe già un aiuto. Come forse sapete, la vita degli immigrati è dura, contorta. Lottano quasi sempre soli contro il sistema, ma tutto potrebbe cambiare drasticamente se qualcuno si offrisse di aiutarli. Sembra facile. Ma perché mai qualcuno dovrebbe aiutare gli immigrati se è più facile credere nelle leggende nazionaliste sulla loro cattiveria?

La xenofobia nasce dallo stato. Che ti disumanizza prima ancora di aver passato il confine. Se lo fai legalmente, è il tuo permesso di soggiorno a dire chi sei. Se lo fai illegalmente, per lo stato non esisti. Perché per lo stato attraversare il confine è un crimine, lo stato vorrebbe convincere il popolo dell’immoralità del gesto. Voi venite da un altro paese senza un’etichetta che spieghi come il capitalismo dovrebbe sfruttarvi e dividervi. La vendetta dello stato è la derisione di chi non prende la strada giusta che porta a diventare un cittadino.

Ottenere i documenti è un processo assurdo in sé. Non sei tu che vuoi fare qualche foto per i documenti e registrarti da qualche parte. È lo stato che vuole che tu ti addentri nei meandri di una burocrazia senza vita. Perché così lo stato e la giustizia possono rintracciarti. Questo è l’unico momento in cui lo stato riconosce gli immigrati come oggetti. Quando muoiono o stanno male il sistema non li vede. Li vede solo quando portano i soldi delle tasse alle finanze corrotte o quando costruiscono le case dei padroni.

Si parla dei migranti quando i nazionalisti diffondono la loro propaganda. Li accusano di tutto quello che a loro non piace. Un mito diffuso, ad esempio, è che i migranti rubano il lavoro alla popolazione locale. A dire il vero, fanno altri lavori, perlopiù temporanei e sottopagati. A volte il lavoro diventa schiavitù, con punizioni fisiche e senza paga, e la gente del posto lo sa ma non fa nulla. Altro problema è il mercato del lavoro. Se ci sono pochi posti di lavoro o il sistema economico non funziona è colpa degli immigrati? O dell’avidità dei padroni?

Lo stato è la radice del nazionalismo. Per lo stato, migranti e rigugiati saranno sempre un problema, è nella logica della prepotenza. Il nazionalismo non fa che gettare benzina sul fuoco dell’odio. La polizia tortura gli immigrati nel silenzio generale e i nazionalisti fanno i pestaggi in pubblico e devastano le loro case. E cercano di giustificare la violenza incolpando le vittime. Questa è una delle poche volte che la società sente parlare degli immigrati. Che vivono una vita invisibile finché non finiscono sui tiggì.

Come può aiutarli la società? Gli immigrati chiedono solo di essere trattati da esseri umani. Non da oggetti! Questo è un errore che fanno anche i volontari delle ong. A volte dimentichiamo che gli altri sono esseri umani come noi. Dimentichiamo che sentono e pensano come noi (tranne polizia e ministri). Sono i nazionalisti che mettono etichette secondo il colore della pelle o le origini, perché non vogliono riconoscere gli altri come esseri umani. I problemi legati alla discriminazione potrebbero scomparire se si smettesse di seguire questa logica. Non è l’etichetta che dice che sono unico, ma il fatto di essere un uomo. La mia origine, il colore della mia pelle, la lingua che parlo, il timbro sul passaporto, il salario, il titolo di studio, l’aspetto fisico e tante altre cose dovrebbero essere ininfluenti nel definire un essere umano. Trattare gli altri come esseri umani rende più umani.

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