Di Eric Fleischmann. Originale pubblicato il 9 giugno 2022 con il titolo Laurance Labadie’s “Marxian Socialism”. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Il socialismo può essere interpretato in parte come l’eterna aspirazione, l’eterna fede dell’uomo in un futuro migliore.
L’atteggiamento dogmatico e presuntuoso bolla il socialismo come antiscientifico.
Nell’interpretare materialisticamente la storia, il socialismo esagera l’importanza del lato economico.
Sostiene l’erronea teoria del valore del lavoro.
E la sua teoria del salario è sbagliata.
Dando un’importanza esagerata al determinismo economico, assume un atteggiamento fatalistico che si esprime nell’inevitabilità della “rivoluzione socialista”, senza riuscire a vedere i tanti fattori che potrebbero ritardare o eliminare del tutto quello che secondo i socialisti è l’inevitabile impoverimento delle masse.
Ha una fede smisurata nella giustizia, nell’uomo e nella saggezza di uno stato onnicomprensivo. Una fede senza basi scientifiche.
Non vede di buon occhio chi pensa che sia importante che l’uomo reagisca al proprio ambiente, classifica sprezzantemente tale sforzo come “utopico”.
Quando replicano a chi critica dicendo che l’enorme centralizzazione implicita nel socialismo porterebbe incompetenza, tirannia, corruzione, divisione in classi e un’insopportabile burocrazia che annulla ogni libertà individuale, i socialisti non fanno che esaltare la loro fede utopica. Una fede che loro definiscono “scientifica”.
La storia può essere spiegata meglio con l’anelito a vivere dell’uomo, con il suo insaziabile desiderio di esprimere tutte le sue potenzialità, e l’aspetto economico non è che una delle manifestazioni di questo desiderio.
Questo desiderio di vita si esprime in tante sfaccettature non economiche come l’arte, la religione, il sesso, il potere, l’ambizione, la sfida, lo sfoggio, il piacere, il gioco, la voglia di emulare e così via, tutte cose che, per quanto inseparabili dai processi economici, sono più o meno distinti da essi. In altre parole, la vita è molto più complessa di quanto non pensino i marxiani. Anche se è vero che per chi ha fame la cosa più importante è riempire la pancia.
L’uomo non si limita a subire passivamente il progresso, ma lo crea attivamente.
La storia può essere spiegata in larga parte in termini di lotta di classe, ma dire che questa lotta ha basi economiche significa vedere le cose in maniera asimmetrica. Il fatto è che, a differenza di quello che pensano i marxiani, raramente si trattava di lotte tra chi aveva e voleva avere di più e chi invece non aveva nulla.
Nota: il testo originale ha alcuni piccoli errori ortografici.
Commento di Eric Fleischmann
Scritto probabilmente attorno alla metà degli anni Trenta, facente parte della Joseph A. Labadie Collection presso la biblioteca dell’università del Michigan, questo brano, che fa parte del Laurance Labadie Archival Project, è una risposta breve ma chiara al marxismo. Il ritrovamento mi ha incuriosito molto, visto che, come ho già scritto altrove, “sono note le mie influenze marxiane e materialistiche”. Non mi ha sorpreso leggere che i marxisti “credono erroneamente nella teoria del valore del lavoro”, come dice Labadie, in un modo che anticipa, come ho già spiegato altrove, l’interpretazione nell’ottica mutualista fatta da Kevin Carson. Come dice Labadie, “data una libera competizione, ovvero il libero e equo accesso ai mezzi di produzione, alle materie prime e ad un mercato privo di restrizioni, il prezzo di ogni prodotto tenderebbe a riflettere la quantità di lavoro occorsa alla sua produzione. Detto altrimenti, nella determinazione del valore il lavoro diventerebbe il fattore principale.” Ma dire, come fa Labadie, che “è sbagliata la teoria del salario” marxista (credo che intenda la teoria dello sfruttamento tramite l’appropriazione del surplus), mi sorprende, dato che, come nota nel pezzo citato, il profitto è una delle “tre principali forme di usura”. Apparentemente, Labadie ha un’opinione diversa, rispetto a Marx, della differenza tra profitto e salario come furto da parte del produttore, ma finora non ho trovato una sua dichiarazione esplicita in tal senso. Dopotutto, Labadie è d’accordo con tutti gli altri anarchici nel condannare “l’enorme accentramento”, “la gretta incompetenza, la dittatura, la corruzione… la condizione di classe [e]… l’insopportabile burocrazia” propri dello “stato onnicomprensivo” del marxismo autoritario.
Labadie respinge categoricamente la visione della realtà secondo il materialismo storico, dicendo che “esagera l’importanza dell’aspetto economico nell’interpretazione materialistica della storia”, il che lo porta ad un “determinismo economico” e ad un “atteggiamento fatalistico riguardo l’inevitabilità della ‘rivoluzione sociale’, senza però tener conto dei tanti fattori che potrebbero ritardare o eliminare del tutto quello che [i marxisti] considerano l’inevitabile impoverimento delle masse.” Questa è una piccola (o grande) strumentalizzazione, ma è anche innegabile che c’è chi, soprattutto nell’ambito marxista-leninista, ha adottato un materialismo non dialettico, meccanico. Secondo Mario Cutajar, in “The Crisis of Dialectical Materialism and Libertarian Socialism,”, l’obiettivo originario dei marxisti era “il superamento dell’idealismo e del materialismo”, ma nella pratica post-Marx è andato troppo oltre spinto dall’influenza naturalistica del liberalismo volgare. È stato quest’ultimo a “indurre a credere che il comportamento dell’uomo può essere ridotto a leggi di natura ferree ed ‘esatte’” tanto che si può “rimpiazzare la ‘esperienza vitale’ (il mondo dell’esperienza umana) con un mondo astratto fatto di relazioni matematiche.” La posizione di Labadie è diversa, risente dell’influenza di Schopenhauer e Nietzsche. Secondo Labadie, “la storia è il prodotto della volontà di vivere dell’uomo, di quel desiderio infinito di esprimersi al pieno delle proprie potenzialità, e il fattore economico semplicemente rientra nella manifestazione di questo desiderio”. L’accento è quindi sull’individuo e la sua volontà (la cieca, istintiva volontà, e ancor più la volontà di potere che si autorealizza) in quanto motore della storia e della società.