Semantica del “Bene” e del “Male”

Di Robert Anton Wilson. Originale pubblicato il 12 dicembre 2015 con il titolo The Semantics of “Good” and “Evil”. Traduzione di Enrico Sanna.

Il compianto Laurance Labadie una volta mi raccontò la parabola di quel re che un giorno decise che avrebbe dato un calcio nel sedere a tutti quelli che incontrava, tanto per rimarcare il suo potere. Credo che con gli anni la mia memoria abbia cambiato leggermente la trama, ma sostanzialmente la storia continua così: poiché questo cretino indossava una corona e aveva un esercito, la gente ben presto imparò a lasciarsi prendere a calci molto spesso, e anzi cominciò ad accettare la cosa con filosofia e stoicismo, così come si accettano le tasse e altre imposizioni di re e governanti. Impararono anche ad inchinarsi quando vedevano arrivare il re.

Poi il re morì e il suo successore continuò la tradizione prendendo a calci chiunque incontrasse. Passarono i secoli e, come accade solitamente, la nobiltà finì per acquisire lo stesso “diritto” del re: i baroni potevano calciare tutti quelli di rango inferiore a loro, i cavalieri potevano calciare tutti tranne i baroni e la famiglia reale, e così via. Quasi tutti passavano gran parte della giornata chini davanti a un muro, in attesa del prossimo calcio sui fondelli.

L’arrivo della democrazia, in quell’incredibile universo parallelo, poteva essere inteso soltanto nel senso della tradizionale forma di pensiero o nel senso delle abitudini mentali acquisite di quello strano popolo. Democrazia, per queste singolari persone, significava semplicemente che chiunque poteva prendere a calci chiunque, sempre che il calciatore (o la calciatrice) potesse dimostrare di avere un conto in banca più grosso della persona che riceveva lo stivale sul didietro. Visto il dizionario filosofico, la griglia interpretativa o il tunnel della realtà di quel mondo, la parola “democrazia” non poteva avere altro significato immaginabile. (Se ciò vi sembra fantasioso, leggete The Social Creation of Reality di Berger e Luckman).

Ovviamente, all’inizio tutti esultavano per la nuova costituzione: finalmente la “giustizia” (almeno come la intendevano loro). Con buona salute e un po’ di fortuna potevi mettere da parte un po’ di soldi in banca e conquistare il “diritto” di prendere a calci tante persone quante avevano il “diritto” di prendere a calci te. Se eri particolarmente scafato, o particolarmente fortunato, potevi arrivare a un livello tale per cui potevi prendere a calci praticamente tutti senza che nessuno potesse prendere a calci te.

Ovviamente, come nel nostro mondo, anche lì spuntarono gli eretici. Chiedevano l’abolizione totale dei calci, proposta che per loro non era affatto “assurda e radicale”, ma una semplice questione di “buonsenso” e “decenza”. Ovviamente, nessuna persona sobria avrebbe potuto prendere sul serio anche solo per un attimo questi lunatici. Al fine di evitare anche solo di pensare all’argomento eretici, il buon cittadino onesto creò tutto un lessico volto a screditarli e disumanizzarli. Così chi criticava il calcio era definito “piagnucolone”, “cagadubbi”, “codardo”, “frocio”, “vigliacco liberal”, “perdente”, “deficiente”, “deviante”, “svitato”, “pezzente” e così via.

Pensavano che, dopo aver etichettato così gli eretici, non ci sarebbe più stato bisogno di riflettere sulle loro idee. (E qui tralascio l’inquietante possibilità che certi contributi alla critica siano arrivati da una buffa realtà alternativa, per cui le loro idee su cosa costituisce ragionevole dibattito sono rimaste immutate nel corso della trasformazione spazio-temporale).

Con questa parabola, l’anarchico Larry Labadie voleva dire i socialisti statalisti stavano trasferendo nel loro mondo utopico il peggio del capitalismo. A me pare che la parabola abbia un significato più generale, ovvero: Se le persone vivono quotidianamente di certe cose, e soprattutto se sanno che è sempre stato così, diventa pressoché impossibile porre in dubbio quelle cose senza apparire corrotti o eccentrici, oppure, nel migliore dei casi, senza apparire come certi sapientoni gradassi che fanno masturbazioni mentali o più semplicemente “giocano con le idee”. Nel peggiore dei casi, gli addomesticati dicono che vuoi distruggere il mondo, o sovvertire l’ordine divino, o fare atrocità simili, e allora cospirano per metterti a tacere.

Mi spiego: due secoli dopo Voltaire, molte persone istruite sono in grado di comprendere il suo deismo. La storiografia, però, ha dimostrato ampiamente che i contemporanei di Voltaire non lo capivano affatto. Spessissimo Voltaire era etichettato come “ateo”, e non solo da persone in polemica con lui, ma anche da molti che pensavano chiaramente di fare un’esposizione acritica. La maggior parte dei suoi contemporanei non capiva che negare il Dio cristiano (per comodità, Dc) non significava negare la possibilità di un Dio (Dx).

Più o meno a metà tra i tempi di Voltaire e i nostri, Theodore Roosevelt in un suo famoso discorso definì Thomas Paine un “piccolo sporco ateo”. Cronache del tempo dicono che Paine era pulito e alto, mentre i suoi scritti esprimono deismo, non ateismo. Pare che attorno al 1900 molti ancora trovassero difficile ammettere che tra l’ortodossia cristiana e l’ateismo esistono molte altre possibili posizioni filosofiche, i “terzi esclusi” aristotelici, che una mente curiosa è in grado di trovare. Saltando dall’asilo alle superiori, vediamo ora un esempio più sofisticato: tra il 1900 e il 1926 circa, la fisica quantistica ha scoperto che certe “leggi del pensiero” non si applicano a livello subatomico. Nella fattispecie, non si può ragionevolmente affermare che una “particella” subatomica possieda “proprietà” intrinseche separate dall’osservatore con il suo apparato di osservazione. Peggio ancora, una “particella” subatomica non può neanche essere definita “particella”, senza le virgolette, perché si comporta tanto come onda quanto come particella.

Come dicevo, questo non-aristotelismo ha origine negli esperimenti e nelle analisi svolte nel corso del primo quarto del novecento. Durante il mezzo secolo seguente arriva la conferma che il mondo subatomico agisce in maniera ancora più non-aristotelica di quanto non fosse apparso inizialmente, e tutti che i tentativi di costringere i dati a stare nel quadro aristotelico falliscono.

Cosa è emerso da tutto ciò? Come spiega la parabola del mondo alternativo di Labadie, pare che la conseguenza sia che la matematica quantistica appare strana non solo agli occhi dei profani, ma anche a quelli degli stessi fisici, che hanno difficoltà a comprendersi tra loro. Se un sistema scientifico non può essere espresso in termini aristotelici, nessuno nella nostra società sa per certo come può essere espresso. Per tornare alla metafora di prima, è come se il filosofo quantico cercasse di immaginare un mondo senza il calcinculo con un cervello sottilmente programmato per un mondo sostanzialmente calcinculistico.

Allo stesso modo, la famosa, o infame, “interpretazione di Copenhagen” fatta da Bohr e i suoi studenti (1926-28) secondo me significa che non possiamo ragionevolmente parlare di “realtà” aristotelica assoluta separata da noi, ma solo di “realtà” relative che noi possiamo trovare solo esistenzialmente o sperimentalmente e/o misurare; ma questa è solo una interpretazione della interpretazione di Copenhagen che può essere descritta solo nel modo in cui essa appare a me. Secondo il dottor Nick Herbert, dell’università di Santa Cruz, l’interpretazione di Copenhagen significa che è impossibile conoscere una bestia chiamata “realtà”. Impossibile. E non esagero. In Quantum Reality, il dottor Herbert spiega che secondo il punto di vista di Copenhagen “Una realtà profonda non esiste”. Ma lui detesta il punto di vista di Copenhagen, lo definisce “il cristianesimo scientista della fisica”. Il professor Mermin, della Columbia University, d’altro canto, difende l’interpretazione di Copenhagen con lo stesso estremismo con cui il dottor Herbert l’attacca; Mermin afferma senza mezzi termini che “quando nessuno la guarda, la luna cessa oggettivamente di esistere”.

Anche John Gribbin, della redazione di fisica di New Scientist, afferma senza mezzi termini in una pagina di un suo libro, In Search of Schrödinger’s Cat, che l’interpretazione di Copenhagen significa che “niente è reale”, salvo poi aggiungere più sobriamente che “la ‘realtà’ in senso quotidiano” nella fisica non serve. Secondo il premio Nobel Eugene Wiegner, l’atteggiamento di Copenhagen dimostra che siamo noi a creare quelle manifestazioni che osserviamo in laboratorio (pianificando gli esperimenti che producono tali manifestazioni) e che pertanto non possiamo conoscere niente in sé ma solo come appare a noi. Perlomeno, questo è quello che io penso che Wiegner dica. Secondo i suoi detrattori, Wiegner dice che possiamo creare la “realtà” semplicemente pensandola, il che fa pensare che il vecchio è in overdose da acido o ha visto troppi programmi su Shirley MacLaine.

Nel 1933, John von Neumann disse che i sistemi quantistici matematicamente dovrebbero avere tre possibili stati (in termini non matematici, sì, no e forse), non due (sì e no) come nella logica aristotelica. Secondo David Finkelstein il ragionamento è più sensato rispetto ad altri modi di immaginare il mondo subatomico, ma la maggior parte dei fisici pensa che Neumann abbia fatto una semplice “acrobazia” matematica, insignificante dal punto di vista della fisica.

Nel mondo alternativo di Labadie, il predominio della cultura del calcio, nonché nel nostro mondo della logica aristotelica, è indice delle difficoltà incontrate dall’uomo nel cercare di percepire, o di comunicare percezioni, fuori dalla griglia interpretativa del tunnel della realtà condizionata della sua “tribù” o società.

Prendiamo l’espressione “it is raining”.[1] È un esempio di quello che Bertrand Russell chiamava dominio della forma grammaticale soggetto-predicato nel “pensiero” o nella filosofia (o percezione?) occidentale. Qui evidentemente “it” compare solo perché la forma grammaticale soggetto-predicato richiede un soggetto che accompagni il verbo “is raining”. Quel misterioso “it”, è un rompicapo (per chi non crede in un primitivo dio della pioggia come Giove o Geova…). Questa stessa struttura soggetto-predicato sta alla base di tanto pensiero pseudo scientifico, è come quello del medico di Moliere che dice che l’oppio fa dormire perché contiene una “proprietà che induce il sonno”. Molte teorie sul comportamento umano ricadono in questa categoria. Ad esempio, una donna direbbe che non lavora perché ha il “demone della pigrizia” o perché “è” “pigra”, mentre un’analisi funzionale andrebbe a cercare una spiegazione più esatta e meno spirituale in una depressione economica, uno scompenso nutrizionale o endocrino o, più probabilmente, in qualche combinazione sinergica tra dinamiche sociali e interiori.

In genere il pensiero occidentale, soprattutto quello popolare, spiega ogni cosa in termini di “essenze” aristoteliche (o spiriti), laddove la scienza – e, caso curioso, anche la filosofia orientale – tende a cercare spiegazioni andando a vedere le relazioni funzionali descritte fenomenologicamente in termini di interazioni osservabili. Questo potrebbe spiegare perché la scienza e la filosofia orientale appaiono entrambe assurde (o entrambe nefaste) agli occhi di chi è cresciuto nel tunnel della realtà tradizionale occidentale e cristiana.

Noi del mondo occidentale, in particolare, siamo stati condizionati per duemila anni dalla metafisica cristiana, o ci hanno fatto il lavaggio del cervello, a proposito del “bene” e del “male”. Mettere in dubbio quel sistema di pensiero, o quel tunnel della realtà – o offrire un’alternativa fenomenologica – ha come effetto probabilissimo (il 99,97% secondo me) che nessuno riesce più a capire cosa si vuole comunicare. Ciononostante, qui io voglio correre questo rischio. Sarei enormemente sorpreso, e non poco lieto, se qualcuno dovesse dimostrare di aver capito ciò che voglio dire.

Per cominciare, a me sembra, come diceva Nietzsche, che l’idea ingenua o intuitiva, di “bene” e di “male” abbia una storia diversa, e dunque sia altra cosa, rispetto a delle ipotetiche entità spirituali dette “Bene” e “Male”. Come forse anche per i nostri antenati, anche per tante persone di oggi “bene” e “male” hanno lo stesso significato che hanno per tutti gli altri animali: “bene” significa “bene per me” e “male” significa “male per me”. Un cane, ad esempio, sa che il cibo che puzza significa “male per me”. Mentre una persona istruita “sa” che il cibo dal buon odore può anche essere “male per me”. Tutti gli animali, compresi gli esseri umani, “sanno” fin dalla nascita, e continuano a “sapere” anche dopo – a meno che, nel caso degli umani, non siano stati condizionati o abbiano subito il lavaggio del cervello – che abbracciare, coccolare, accarezzare e stimolare oralmente e/o genitalmente sono atti che hanno sull’organismo un effetto del tipo “bene per me”.

Agendo da questo punto di vista pre-metafisico, fenomenologico o operazionale, identifico immediatamente e facilmente tanti eventi o “cose” nello spazio-tempo che sembrano “bene per me” (come il cibo buono, la libertà di stampa, una comica brillante, un bel dipinto, fare l’amore, Beethoven, il mio elaboratore di testi, soldi che arrivano regolarmente in dosi massicce, certe medicine e vitamine, i succitati abbracciare, coccolare eccetera, e altro). Ma noto anche che tante cose che appaiono come “male per me” appaiono come “bene” o neutralità per altri.

Continuando su questa base esistenziale fenomenologica, a me pare che “bene per me” e “male per me” debbano essere considerate funzioni relative in più sensi. Ciò che appare “bene per me” spesso appare “male” per qualcun altro; oppure, ciò che appare “bene per me” potrebbe prima o poi avere conseguenze che giudico “male per me”; o ancora ciò che appare “bene per me” a vent’anni non è più “bene per me” a cinquanta; un certo svago che io giudico “bene per me” più tardi può apparire “male per me”. In termini generali, “bene per me” è sempre relativo alla mia conoscenza o alla mia ignoranza del momento in cui esprimo il giudizio, e per esperienza so che talvolta il mio giudizio è sbagliato. (In particolare, sebbene abbracciare, coccolare eccetera mi appaiano sempre “bene per me”, col tempo potrebbero rivelarsi chiaramente e inequivocabilmente “male per me” se ho scelto la compagna sbagliata o il momento sbagliato. Ciò è probabilmente alla base di molte superstizioni, fobie e fissazioni in materia sessuale.).

Certi animali sembrano geneticamente programmati per riconoscere, in certi casi, ciò che è “bene per il mio branco” e addirittura ciò che è “bene per la mia specie”, come documentato, tra gli altri, da E. Wilson in Sociobiology, Dawkin in The Selfish Gene e altre opere simili. Con o senza questi programmi genetici occulti, anche molti uomini hanno la capacità palese di individuare e mirare a ciò che appare “bene per la mia specie”, o anche (ultimamente) “bene per la biosfera nel suo insieme”. Questi giudizi ruotano attorno al benessere di chi giudica, o al luogo e al momento nell’ambito spazio-temporale (ciò che appare come bene per le volpi magari appare come male per le galline). Nel caso di ciò che è “bene per la biosfera”, il giudizio si basa sul sapere o non sapere di chi valuta.

Prima di andare avanti, vorrei dire al lettore che se la semantica umana fosse rimasta a questi primordiali livelli fenomenologici, e se la relatività del giudizio fosse rimasta evidente a tutti, il negoziato e il compromesso avrebbero avuto un ruolo ovviamente più importante nel corso della storia, e “crociate”, guerre di religione o ideologiche avrebbero avuto un ruolo minore. È possibile scendere a compromessi su ciò che ci appare come bene o male nel concreto. Molto più difficile è farlo quando nell’universo del dialogo entrano entità metafisiche dette “Bene” e “Male”. Allora subentra la battaglia, nella forma più violenta possibile, come dimostra la storia raccapricciante del dogmatismo cristiano, e come dimostrano anche certe religioni secolari di questo secolo, come il nazismo e il comunismo.

L’etica confuciana, per contro, è fenomenologica. Confucio diceva chiaramente che il suo sistema “non andava contro la natura umana”, un po’ come “amare un bel fiore e odiare un cattivo odore”, che poi è come dire “seguire il proprio naso”. Il taoismo e il buddismo differiscono dal confucianesimo soprattutto per la grande importanza attribuita alla relatività del giudizio (e per la possibilità di una percezione trans-ego o separata dalla percezione dell’ego); ma nessuna delle due contempla qualcosa di simile all’occidentale concetto metafisico di “Bene” e “Male”. Alcuni tra i più famosi passaggi degli scritti taoisti e buddisti deridono qualunque tentativo di definire metafisicamente concetti  assoluti di “Bene” e “Male”; concetti che in oriente comparivano occasionalmente ad opera di persone considerate eccentriche, così come in occidente talvolta compare il panteismo ad opera di persone considerate altrettanto eccentriche.

Nietzsche, come molti sanno, pensa che i concetti metafisici di “Bene” e “Male” non solo contraddicano nozioni intuitive, spontanee, di “bene per me” e “male per me”, ma siano stati creati appositamente con l’intento di contraddire (e confondere) queste reazioni spontanee o “naturali”. (Molte interpretazioni ecclesiastiche di “Bene” e “Male” in materia sessuale, ad esempio, contraddicono palesemente e confondono qualunque giudizio spontaneo, naturale e spontaneo). Semplificando, Nietzsche dice che le autorità ecclesiastiche hanno inventato i concetti di “Bene” e “Male” al fine di esercitare un potere sugli altri, convincerli a non fidarsi del proprio giudizio e a riporre invece tutta la propria fiducia sui capi religiosi in quanto presunti rappresentanti di un ipotetico vertebrato gassoso dalla massa astronomica chiamato “Dio”. Pare che fosse opinione di Nietzsche che, data l’impossibilità di localizzare questo ipotetico vertebrato gassoso nel normale spazio-tempo sensoriale-sensibile (esistenziale), i preti abbiano detto: “Non fidatevi di voi stesse, fidatevi di noi” o, più terra terra, “Non pensate, siamo noi a pensare per voi”.

Secondo questa interpretazione, un tiranno politico, che controlla soltanto i nostri corpi e le nostre azioni, è meno “affamato di potere” di un papa o di un ayatollah o di altre figure sacerdotali che vogliono controllare i nostri pensieri e le nostre opinioni, invadendo il nostro santuario più intimo. (Per un’analisi approfondita del fenomeno, vedi Volontà di Potenza di Nietzsche).

Qualunque cosa si pensi del tentativo nietzschiano di psicanalizzare le ragioni che muovevano i primi ministri del culto, è storicamente evidente che la metafisica del “Bene” e del “Male”, altra cosa rispetto ai semplici giudizi spontanei di “bene per me” e “male per me”, abbia avuto come funzione di dare potere, sempre più potere, in dosi massicce, a sacerdoti e predicatori di ogni risma. (Uno immagina spontaneamente un monaco buddista o taoista, o ad uno studioso del confucianesimo, come persone che vivono in isolamento, mentre un prete cristiano, per definizione, è uno che dice agli altri cosa devono pensare o fare, ovvero possiede un potere solitamente basato sulla minaccia e la paura, ad esempio: “Se dubiti di quello che dico, vai all’inferno”).

È vero che la storia conferma l’opinione di Nietzsche secondo cui questo sistema metafisico ultramondano (interpretato da sedicenti esperti sulla base di un presunto altro mondo) porta alla “degenerazione”, la “decadenza”, il “malessere”, la “nevrosi”, la “pazzia”, l’“epilessia” e altro? Riguardo l’epilessia (che oggi pare di natura biologica o genetica più che sociale) non so, ma tutti gli altri termini, citati da Nietzsche, si riferiscono al prevalere nella società cristiana di quello che lui chiama “risentimento” e “vendetta”: invidia o rabbia verso chi vive senza una metafisica cristiana, a cui si aggiunge il desiderio feroce di punire o distruggere. Pare impossibile leggere una pagina di san Paolo senza trovare quasi immediatamente questo genere di astio, questa voglia di vendetta compulsiva, e basta accendere la tivù una qualunque notte e sintonizzarsi sui canali dei fondamentalisti, per sentire evangelici di spicco che sputano odio contro chi non è cristiano (a meno che non confessino in lacrime tutti quei peccati e crimini già scoperti e ben pubblicizzati dai media pagani). Storicamente parlando, il teologo cristiano sembra una persona intenta a terrorizzare gli altri per convincerli a fare o pensare quello che vuole lui, pena la morte.

Gli animali, i bambini, le società primordiali, i confuciani, i buddisti, i taoisti e gran parte del mondo vivono in tunnel della realtà in cui “bene” e “male” sono denotati spontaneamente come “bene per me o per la mia tribù” e “male per me o per la mia tribù”. Sotto le sette cristiane – oltre a certe religioni secolari come il nazismo e il comunismo che possono essere considerate, come faceva lo storico Toynbee, eresie tardo cristiane – contemplano l’idea del “Bene” e del “Male” assoluti, e l’incitamento alla violenza implicito.

La mia impressione, allora, è che “capovolgendo tutto” (Nietzsche) – ovvero, negando la possibilità di una valutazione spontanea, relativa, di “bene” e “male” e sostituendola con definizioni di “Bene” e “Male” stabilite da qualche comitato clericale o comitato centrale – siamo passati dalla ragionevolezza al regno della fantasia e dell’assurdo. Quando giudico qualcosa come “bene” o “male” so che sono stato io a emettere il giudizio, e so anche che non ho prove certe della mia infallibilità; mi assumo la responsabilità del mio giudizio, in senso Esistenzialista, sono disponibile all’apprendimento, posso cambiare idea se qualcosa mi dice che dovrei rivedere il mio giudizio. Ma quando classifico qualcosa come “Bene” o “Male” in senso metafisico, sulla base di definizioni imposte da un clero o da un partito, io non mi “assumo la responsabilità”, divento sostanzialmente il pupazzo di un ventriloquo, tramite il quale parla e agisce il sacerdote o l’ideologo, rinuncio a qualunque possibilità di saperne di più e di rivedere i miei errori. Allora non sembra esagerato che Nietzsche dica che tutto ciò è “un capovolgimento totale”, perché sottomettendomi ad un sistema astratto e negando le mie percezioni sto mettendo a testa in giù l’evoluzione, mi sto “dimettendo”, diciamo così, dalla razza umana. A questo punto, al mio posto potrebbe esserci un robot o un servo-meccanismo. Di solito gli esseri umani non si comportano come robot, a meno che non siano stati indottrinati da qualche sistema metafisico come il cristianesimo o da qualche suo parente prossimo, come il giudaismo o l’islam, o dalle sue tarde eresie: nazismo e comunismo.

Per evitare che questo saggio sia considerato eccessivamente polemico, o gonfiato, mi sento in dovere di spiegare meglio la differenza tra giudizi spontanei “bene” e “male” – “che confucianamente seguono il naso” – e quelli metafisici “Bene” e “Male”. Così il mio ragionamento sarà chiaro anche a chi non è affatto d’accordo.

Poniamo che certi giudizi spontanei, intuitivi, primitivi, come “bene per il mio gruppo genetico” e “male per il mio gruppo genetico” – anche in forma contratta “bene” e “male” – riflettano la nostra condizione di corpi che si muovono nello spazio-tempo. L’evoluzione ha fornito alle specie superstiti un assortimento di programmi genetici che grossomodo informano i singoli organismi riguardo ciò che è “bene per me” e “male per me”. Questi geni non sarebbero infallibili, come testimonia il cane che lecca la vernice perché l’odore sa più di cibo buono che di cibo cattivo. Nel caso di cani, gatti e altri mammiferi, comprese alcune persone (non dogmatiche), tuttavia, possono essere modificati con l’esperienza e l’apprendimento. L’apprendimento empirico a sua volta può essere modificato ragionando per inferenza o altro. Tutto ciò (programmi genetici, apprendimento, ragionamento) riflette il tentativo di raccogliere dati per fare una mappa della nostra posizione nello spazio-tempo e capire cosa è bene o male per la nostra tribù o specie. La dottrina metafisica che vede il “Bene” e il “Male” in senso assoluto, invece, non riflette affatto il nostro percorso di corpi nello spazio-tempo. La metafisica, e la sua struttura linguistica, riflette un mondo di fantasia, un mondo fatto di definizioni e privo di riferimenti alla nostra esistenza concreta sullo spazio-tempo. Per chi trova questo punto ermetico come le pagine più imperscrutabili di Heidegger, fornisco qui una serie di esempi in colonna.

I

II

L’elettrone è un’onda.

L’elettrone appare come onda quando viene registrato da questo strumento.

Il primo uomo pugnalò il secondo con un coltello.

Mi pare che il primo uomo abbia pugnalato il secondo apparentemente con un coltello.

L’auto che ha causato l’incidente e poi è scappata era una Ford blu.

Mi sembra di ricordare che l’auto che ha causato l’incidente fosse una Ford blu.

Questa è un’idea fascista.

Questa mi sembra un’idea fascista.

Beethoven era meglio di Mozart.

A me Beethoven piace più di Mozart.

Questo film è sessista.

Questo film mi pare sessista.

La prima colonna contiene dichiarazioni ordinarie come se ne sentono negli stadi più primitivi dell’evoluzione. Credo che contenga le stesse implicazioni strutturali della logica aristotelica e della metafisica cristiana di “Bene” e “Male”. Credo anche che rifletta una visione fantastica della realtà in cui noi non facciamo una valutazione “personale” ma paradossalmente abbiamo la capacità di discernere l’“essenza” spirituale, interiore delle cose.

La seconda colonna contiene dichiarazioni parallele riscritte in E-prime, una lingua ad uso scientifico proposta da persone come Alfred Korzybski, D. David Bourland e E.M. Kellogg III. L’E-prime usa lo stesso lessico dell’inglese standard ma è reso isomorfico alla fisica quantistica e alla scienza moderna in generale con l’abolizione dell’“è” aristotelico che denota identità, così che ogni dichiarazione viene riformulata fenomenologicamente in termini di segnali ricevuti e interpretati da un corpo (o uno strumento) nello spazio-tempo. In breve, penso che l’E-prime comporti le stesse implicazioni strutturali della scienza, del buddismo radicale (Zen, Mahayana) o delle valutazioni spontanee di “bene” e “male” che a tante persone non indottrinate dal cristianesimo o da un suo derivato totalitario moderno appaiono naturali.

In pratica, “L’elettrone è un’onda” impiega l’aristotelico “è” che denota identità e dunque introduce il concetto sperimentalmente falso per cui possiamo conoscere l’“essenza” aristotelica interiore dell’elettrone. “L’elettrone appare come onda quando viene registrato da questo strumento” riformula la frase in E-prime, elimina l’“è” che denota identità e ci riporta ad una precisa registrazione di ciò che accade nello spazio-tempo, ovvero che l’elettrone osservato con un certo strumento appare in una certa forma.

In ambito anglofono si parla allegramente di entità che possono o non possono esistere, e spesso anche di cose la cui esistenza o inesistenza è indimostrabile; in E-prime si può parlare solo di cose conosciute sperimentalmente e del modo in cui sono state sperimentate. La lingua aristotelica alimenta la nostra tendenza a vagare in mondi di fantasia; l’E-prime ci riporta alla concreta registrazione fenomenologica di ciò che sperimentiamo nello spazio-tempo.

Così, “Il primo uomo pugnalò il secondo con un coltello”, pur mancando formalmente questo “è” che denota identità, mi pare linguaggio aristotelico, perché parte dal non coinvolgimento dell’osservatore e dei suoi sensi. La traduzione in E-prime proposta qui, “Mi pare che il primo uomo abbia pugnalato il secondo apparentemente con un coltello”, nel fare un resoconto riporta scientificamente lo strumento (i sensi di chi parla), riconosce l’aspetto fenomenologico e, incidentalmente, spesso capita che si accordi con il fatto violento. Questo esempio, tra l’altro, si riferisce ad un noto esperimento psicologico: un uomo “pugnala” un altro uomo con una banana, ma gran parte degli studenti, condizionati dall’abitudine aristotelica e seguendo le proprie aspettative, “vedono” un coltello. Da qui si capisce come sia possibile creare allucinazioni senza ipnosi o droghe, semplicemente sfruttando l’abitudine a pensare di vedere “cose” che invece sono solo immagini mentali di cose.

Anche “L’auto che ha causato un incidente e poi è scappata era una Ford blu” è permeata di assolutismo aristotelico e ignora lo strumento usato: il cervello. La traduzione in E-prime ci ricorda che il cervello può “ricordare” male.

“Questa è un’idea fascista” contiene l’aristotelico “è”, e dichiara che il parlante ha la capacità mistica di discernere l’“essenza” nascosta dentro o dietro i fenomeni. La traduzione in E-prime ci ricorda che il parlante in realtà ha fatto una sua valutazione interpretando segnali intercettati dal corpo che si muove nello spazio-tempo.

“Beethoven è meglio di Mozart” contiene la solita fantasia aristotelica riguardo spiriti o essenze interiori. La traduzione in E-prime, “Beethoven mi piace più di Mozart”, ci riporta sul normale spazio-tempo dove le orecchie e il cervello del parlante sono chiaramente le fonti della valutazione, e noi ci rendiamo conto che la dichiarazione in realtà si riferisce a dette orecchie e detto cervello e non ai rispettivi repertori musicali apparentemente in discussione.

“Questo film è sessista” (linguaggio standard) dà per scontato un fittizio osservatore esterno che percepisce misticamente le essenze intime, mentre “Questo film mi pare sessista” (E-prime) ci riporta sulla terra, al normale spazio-tempo con il particolare esistenziale che l’osservatore è coinvolto in una valutazione.

Secondo Korzybski, l’abitudine neurolinguistica ad usare l’E-prime allena la mente ad evitare comuni errori percettivi, inferenze acritiche, normali pregiudizi e così via. Inoltre rafforza il pensiero creativo, nonché il godimento e il coinvolgimento nella vita. Questo non è mai stato dimostrato, dato che pochi si son presi la briga di addestrarsi all’uso dell’E-prime e non sono stati testati da psicologi. La mia impressione però è che quegli scienziati e profani più inclini ad usare l’E-prime “nello spirito” (se non letteralmente) mostrano quei tratti positivi spiegati da Korzybski, perlomeno più di un campione casuale della popolazione.

D’altro canto, però, chi è più incline a dire “è”, che denota identità, storicamente rientra nella lunga lista di fanatici, paranoidi, crociati, inquisitori e ideologi responsabili delle più sanguinose e orribili atrocità mai registrate negli annali dell’umanità.

Per concludere, secondo le mie teorie l’essere non ha mai contenuto alcun “Bene” o “Male” – o anche “centimetri” o “erg di energia” o “gradi Fahrenheit” –, almeno finché il complesso cervello dei primati (“menti umane”, in linguaggio corretto) non ce l’ha messo a mo’ di sistema di classificazione. Aggiungo poi che concetti “spontanei” come “bene per il mio clan” e “male per il mio clan” contengono tutto quello che si può dire della nostra esperienza nello spazio-tempo, e che metafisici “Bene” e “Male” denotano fantasiosamente ambiti mitici al di là di ogni possibilità di verifica o di refutazione nello spazio-tempo.

Non mi sorprenderei se questo articolo dovesse provocare repliche accese e accalorate. Aspetto le repliche con equanimità. Spero però che nessuno risvegli lo spettro della vecchia, trita e ritrita teoria per cui senza concetti metafisici o assoluti di “Bene” e “Male” non riusciamo a proteggerci da mostruosità come Hitler, Stalin, Jack lo Squartatore e vari altri. Solo Acab poteva pensare che la balena era il Male assoluto (perché gli aveva strappato una gamba mentre lui cercava di ucciderla), né occorre considerare le tigri, i microbi della polio o altre entità naturali, fenomenologicamente considerate un “male per noi”, come un “Male” metafisico e assoluto al fine di contrastarle. Non occorrono dogmi metafisici per combattere ciò che è palesemente nefasto; basta la capacità di distinguere a colpo d’occhio il “male per me” non appena compare all’orizzonte. Gli animali fanno così, e possono farlo anche gli esseri umani, metaforicamente, usando il metodo di Confucio, ovvero seguendo il proprio naso.

Ripreso da The Anarchist Library


Nota del traduttore

[1] Letteralmente, “esso sta piovendo”. Lascio l’originale, intraducibile alla lettera nella lingua italiana dove il verbo piovere non ha soggetto.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory