Cos’è la Giustizia?

Di Cayce Jamil. Originale: What is Justice? del 22 gennaio 2021. Traduzione di Enrico Sanna.

Ad una manifestazione di protesta sentiamo spesso proclami che si rifanno alla giustizia, come ad esempio “non c’è pace senza giustizia”. Cosa s’intende per “giustizia” però non è specificato. Per alcuni significa che lo stato deve risarcire direttamente chi ha subito ingiustizie. Secondo altri, significa diritto di vendicarsi contro gli aggressori. In realtà, nessuno di questi generi di “giustizia” è veramente giustizia.

Secondo Pierre-Joseph Proudhon, e più tardi anche Georges Gurvitsch, la giustizia è essenziale per tenere assieme la società (Bosserman 1968). La religione s’impone perché la società per andare avanti ha bisogno di un concetto condiviso di giustizia. Come scrive Proudhon, “La giustizia è la cosa più primitiva nell’animo umano, la più fondamentale nella società, la più sacra tra le nazioni… È ad un tempo l’essenza delle religioni, la forma della ragione, l’oggetto occulto della fede… (citato in De Lubac 1948, p. 278).” Inizialmente, la religione si presenta come grande forza unificatrice all’interno della società perché contiene un’idea condivisa di giustizia.

Proudhon definisce giustizia autoritativa la nozione culturalmente condivisa di giustizia propria delle religioni. Dato l’intreccio di religione e autorità, risalente alla notte dei tempi, la giustizia autoritativa si basa sulla “legge del più forte”. “La giustizia, così come l’ordine, nascono con la forza. In principio era la legge del principe, non della coscienza. Alla legge si obbedisce per paura, non per amore, la legge è imposta, non illustrata (Proudhon 2004, p. 255).” Presso le civiltà antiche la forma prevalente di giustizia autoritativa è la cosiddetta legge del taglione, riassumibile nell’espressione “occhio per occhio”. Numerosi riferimenti alla legge del taglione esistono in quasi tutte le civiltà più antiche. L’attestazione più antica dell’espressione si trova nel codice Hammurabi del 1754 a.C. È però durante il “periodo assiale”, tra l’800 a.C. e il 600 d.C. che si riscontra un’evoluzione del concetto di giustizia in molte religioni (Graeber 2014). Da Pitagora a Budda a Confucio, Zoroastro, Gesù Cristo, Maometto, il concetto di giustizia viene ridefinito quasi per intero. La giustizia autoritativa non ha più come obiettivo la vendetta ma la riparazione.

Ma la giustizia autoritativa, basata sulla fede e l’obbedienza, rimase intatta. Così Proudhon (1890, p. 80): “in tutte le epoche il prete si sottomette al principe, e gli dei esprimono le idee dei politici.” Per quanto la giustizia autoritativa nelle nuove forme evidenziasse la necessità della riparazione, il controllo che essa esercitava sulla giustizia era ancora considerato un atto legittimo. Fu solo con “l’età della ragione”, a cominciare dal sedicesimo secolo, che la giustizia autoritativa cominciò ad essere smantellata. Scoperte scientifiche come il modello eliocentrico dell’universo, e invenzioni come la stampa, cambiarono e finalmente rovesciarono il potere autoritario della religione sulla giustizia. Senza volerlo, gli scienziati liberarono la giustizia dalla religione. Il risultato fu lo smantellamento graduale della giustizia autoritativa. Tolta dalle mani della religione, la giustizia poteva ora basarsi solo sull’individuo. Anche davanti a un crimine, dice Proudhon (2004, pp. 257, 260), “c’è solo un modo per fare giustizia: dev’essere il colpevole, ossia l’imputato, a farla… Solo allora la giustizia, in quanto prodotto della libertà, smette di essere vendetta per diventare riparazione.” La giustizia a questo punto diventa un atto della coscienza verso se stessa, non un verdetto imposto dall’esterno.

La società, sostiene Proudhon, vedeva nell’individuo sempre più la fonte legittima di giustizia, da lui definita giustizia immanente. Né la religione né lo stato potevano più costringere l’individuo a conformarsi alla loro lettura autoritativa della giustizia. La giustizia era unicamente nelle mani dell’individuo. Non a caso proprio in quest’epoca Martin Lutero si opponeva al potere della Chiesa, cadeva la religione di stato, compariva la teoria del contratto sociale, e l’Europa veniva attraversata da un’onda di rivoluzioni. La religione non era più la grande forza unificante della società. La giustizia immanente divenne l’opposto della giustizia autoritativa. Con il dominio della giustizia immanente, la “legge del più forte” cessò completamente di essere fonte legittima di giustizia. Secondo il nuovo sentire comune, l’unica fonte legittima di giustizia poteva basarsi unicamente sulla coscienza individuale. Ma la società, soprattutto alla base di gran parte delle sue strutture sociali, portava ancora il marchio della giustizia autoritativa. Tutte le strutture sociali emerse in epoche antiche, come lo stato e la proprietà, restavano sostanzialmente legate ai principi della “legge del più forte” e della giustizia autoritativa. Queste antiche strutture sociali erano in contrasto con le nuove forme condivise di giustizia basate sull’individuo. Questo accentuava la lotta sociale perché impediva al nuovo concetto culturalmente condiviso di giustizia di attecchire pienamente.

Al fine di portare la società in linea con la giustizia immanente, tutte le strutture sociali ancora basate sulla giustizia autoritativa dovettero essere abbandonate. Per farlo, la società doveva prima essere pienamente convinta della verità della giustizia immanente. Bisognava dimostrare che la giustizia autoritativa non solo ostacolava la giustizia immanente, ma generava anche disordine sociale. Solo con l’accettazione completa della giustizia immanente la società avrebbe potuto riorganizzarsi sulla base della coscienza individuale (Jamil, in pubblicazione). Ovviamente, una società basata sull’idea condivisa di giustizia immanente implica una società basata sul contratto. Così scrive Proudhon (2004, p. 125) in Idée générale de la révolution au XIXe siècle:

“Il concetto di contratto, opposto al governo… attraversò i secoli diciassettesimo e diciottesimo senza che un solo giurista o rivoluzionario lo notasse. Per giunta, gli uomini più illustri della Chiesa, della filosofia, della politica, cospirarono per opporvisi.”

Questa struttura sociale basata sulla giustizia immanente, e non sulla giustizia autoritativa, portò così direttamente al concetto di proprietà basato sull’uso e allo “stato non governativo”, per dirla con Proudhon, ovvero lo stato basato sul consenso e non sull’imposizione della forza (Wilbur 2013). La proprietà basata sull’autorizzazione da parte dello “stato governativo” trae legittimità dall’eredità storica della giustizia autoritativa. La legittimità della proprietà, tolta l’autorità, fu affidata alla sola coscienza individuale. Similmente, secondo Proudhon lo stato sarebbe stato rifatto abbandonando il concetto di “stato governante”, ovvero il monopolio della forza e del dominio simbolico. “È evidente che un’organizzazione mutualista dello scambio… spinge inevitabilmente i produttori, ognuno con la sua specializzazione, verso una centralizzazione analoga a quella dello stato, ma è una centralizzazione in cui nessuno obbedisce, nessuno dipende e nessuno è libero e sovrano? (Citato in Wilbur 2013, p. 26).” Uno “stato non governante” non sarebbe imposto esternamente sulla società, ma nascerebbe teoricamente dall’interno e avrebbe come compito principale l’amministrazione.

Riassumendo, una giustizia immanente centrata sull’individuo rende possibile una giustizia basata sulla riparazione e segna la fine della giustizia autoritativa nella società. La giustizia immanente si attua attraverso la reciprocità dei punti di vista. Ammettere la reciprocità dei punti di vista significa inerentemente riconoscere la dignità umana (Bosserman 1968). Il dovere della giustizia diventa così unicamente il sostegno della dignità umana. Come scrive Proudhon, “La reciprocità nella creazione è il principio dell’esistenza. Nell’ordine sociale, la reciprocità è il principio della realtà sociale, la formula della giustizia (citato in McKay 2011, p. 283).” È con la reciprocità dei punti di vista, e non con la vendetta, che si può realizzare la giustizia riparatoria. Solo quando la società riorganizzerà la struttura sociale sulla base della giustizia immanente potrà emergere e rivivere l’ordine sociale.


Riferimenti:

Bosserman P (1968). Dialectical Sociology: An Analysis of the Sociology of Georges Gurvitch. Boston, MA: Porter Sargent Publishing.

De Lubac H (1948) The Un-Marxian Socialist. A Study of Proudhon. London: Sheed & Ward.

Graeber D (2014) Debt: The First 5000 Years. Brooklyn: NY: Melville House

Jamil C (in press) Resurrecting Proudhon’s Idea of Justice. Journal of Classical Sociology. Retrieved from: researchgate.net/publication/345981358_Resurrecting_Proudhon’s_idea_of_justice

McKay I (2011) Property is Theft! A Pierre-Joseph Proudhon Anthology. Oakland, CA: AK Press.

Proudhon  PJ  [1840]  (1890) What  Is  Property?  An  Inquiry  into  the  Principle  of  Right  and  of Government. New York, NY: The Humboldt Publishing Company.

Proudhon  PJ  [1851]  (2004) General  Idea  of  the  Revolution  in  the  Nineteenth  Century.  Honolulu, HI: University Press of the Pacific.

Wilbur SP (2013) Pierre-Joseph Proudhon: Self-Government and the Citizen-State. In: Contr’un 2. Gresham, OR: Corvus Editions, pp.1–18. Retrieved from: https://www.libertarian-labyrinth.org/contrun/pierre-joseph-proudhon-self-government-and-the-citizen-state-2/

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