Di Spooky. Originale pubblicato il 28 giugno 2020 con il titolo Vulgar Anarcho-Communism: Pacifying Anti-Statism. Traduzione di Enrico Sanna.
È difficile far passare proposte estreme. Le reazioni sono per certi versi scontate quando, invece di limitarsi a riforme e a “soluzioni condivise”, si propone una diversa organizzazione della società. Alcuni, forse troppi, hanno cercato di smussare gli spigoli delle etichette politiche avvolgendone l’ideologia in un linguaggio più ampio, “buonista”, riducendone i punti di vista a definizioni tanto semplici quanto monche. Come Noam Chomsky quando definisce l’anarchismo una “opposizione alle gerarchie ingiustificate”. La cosa ha attirato tanti che, come me ad esempio, altrimenti non avrebbero mai indagato questi ideali.
Ci sono persone che, appigliandosi ad una certa definizione moderata, hanno inventato una branca di pensiero libertario che esse stesse descrivono come “anarchismo” pur essendo caratterizzata da un’idea di astatualità del tutto a sé. Analogamente al “libertarismo volgare” di Kevin Carson, vorrei definire queste persone anarco-comuniste volgari; una corrente di sinistra più incentrata su un concetto ampio di “eguaglianza” e proprietà collettiva e meno disposta ad accettare tutte le implicazioni della astatualità.
Il problema principale è che si insiste sul legame tra anarchismo e una definizione monolitica di “democrazia” che comporta una qualche forma di consenso universale, maggioritario, che tocchi ogni membro di una data comunità o sistema. C’è chi immagina un sistema rappresentativo con “delegati” che contrattano, votano e interagiscono con altre comunità in una sorta di congresso intercomunitario. Il fatto inquietante è che molti di questi sedicenti anarchici non ci vedono un sistema piramidale, oppure lo vedono ma pensano che basti la sua natura “democratica” a giustificarlo.
Il principio è significativo, l’anarco-comunismo volgare potrebbe essere definito una sorta di miniarchismo o di comunismo consiliarista. Di per sé non è un male, ma il problema è che queste persone distorcono la definizione di stato fin quasi a renderla irriconoscibile. Gli anarco-comunisti volgari rivedono la loro opposizione nei confronti dello stato, spiegano che non sono contro il “governo” ma solo “lo stato”, col che generalmente intendono la parte peggiore dell’attuale stato nazione: polizia, esercito, politici e così via.
Spesso ritengono che in una società postcapitalista l’unità organizzativa di primo livello debba essere formata dai consigli dei lavoratori, o dalle comuni, o da qualche forma di governo locale. La polizia non esisterebbe, dicono, perché eliminato lo stato scomparirebbero le “forze di polizia” intese nel senso attuale. La sicurezza, spiegano, sarebbe affidata a squadre comunitarie di volontari revocabili ogniqualvolta la loro opera sia giudicata insoddisfacente. Come queste istituzioni verrebbero organizzate varia notevolmente; si va dalle nomine a rotazione di membri della comunità ai gruppi di volontari fissi, sempre però specificando che si tratta di organizzazioni “gestite democraticamente” in un modo o nell’altro.
“How Would Anarchism Actually Work?”, la serie in cinque parti di Emerican Johnson, illustra bene questa versione particolare di “anarchismo”. Non che tutti gli “anarco-comunisti volgari” siano come lui, ma i concetti da lui esposti sono un esempio significativo delle basi comuni.
In una società anarchica, ogni persona avrebbe diritto al soddisfacimento di tutti i suoi bisogni materiali. Alimenti, vestiario, abitazione, acqua corrente, internet, sanità e altro. In cambio, dovrebbero offrire un ragionevole contributo alla comune. Cosa importante, il concetto di ragionevole contributo varia da persona a persona… Teoricamente, per gran parte delle persone si tratterebbe di quindici o venti ore settimanali di lavoro al servizio della comune.
Questo, come ho detto, ricorda più il comunismo consiliarista che una società astatuale. Cose come settimana lavorativa e “ragionevole contributo” lavorativo non sembrano affatto auspicabili, comunque si deliberi la cosa. Per gli anarco-comunisti volgari, la democrazia diventa un mezzo che giustifica molti fini; se si vota per una particolare temporanea forma organizzativa, questa diventa legge. Questo somiglia scandalosamente ai ragionamenti usati dai libertari di destra per giustificare i contratti di lavoro “spontanei” che in altri contesti essi stessi considererebbero costrittivi, scambiando la logica del mercato per logica del processo democratico. In alcuni casi, come fa anche Johnson, la stessa logica è usata per cercare di giustificare eventuali centri rieducativi “anarchici”.
… in una società anarchica, il crimine verrebbe considerato un problema sociale “correggibile” con misure riabilitative adattabili alle circostanze individuali… Gran parte dei crimini verrebbero affrontati con l’assistenza psicologica o educativa, o con altri interventi comunitari adatti a curare l’individuo e la comunità. Se l’atteggiamento violento non è un dovuto semplicemente al disadattamento sociale, ma nasce da certe condizioni biologico o neurologiche, la persona verrebbe affidata ad un ospedale per “casi particolari” in grado di offrire cure specifiche…
Con queste citazioni, prese dagli scritti di Johnson, voglio dimostrare dove può portare una miope attenzione per la democrazia e le relazioni economiche comuniste. Queste tendenze anarco-comuniste volgari sono particolarmente popolari tra i radicali e in ambiti anticapitalisti, il che fa intendere che ciò rappresenti la corrente di pensiero dominante nel socialismo libertario. Ciò si deve in parte alle pratiche di Chomsky e Johnson, che tacciono sulle premesse ideologiche al fine di attirare un uditorio moderato. Se il richiamo alla democrazia e all’anticapitalismo sembra funzionare come strategia di pubbliche relazioni, il fatto di non puntare sull’antistatalismo e sull’autonomia individuale, unito ad un rifiuto coerente delle gerarchie, sembra aver confuso le acque riguardo ciò che gli anarchici vogliono veramente.
Il tentativo di riconciliare l’antistatalismo significa doversi rivolgere ai moderati che vogliono sapere come funzioneranno le infrastrutture postacapitaliste. Questo, purtroppo, ha spinto molti a fare una mappa dettagliata di un ipotetico regno anarco-comunista invece di esplorare le implicazioni della astatulità. Il fatto di non saper spiegare come si faranno le strade o i videogiochi non è necessariamente una debolezza. La forza principale di una società astatuale sta nel suo decentramento totale; è possibile sperimentare tra le varie istituzioni sociali e i vari arrangiamenti economici solo perché non c’è lo stato che tiene in piedi sistemi monolitici. Gli anarco-comunisti volgari ignorano questo potenziale, optando invece per schemi che pretendono di dare la felicità a tutti, nonostante l’impossibilità di mantenere tale promessa.
Insomma, non dobbiamo annacquare i nostri ideali inseguendo il consenso delle banderuole.