Di Tim Hopkins. Originale pubblicato il 4 agosto 2019 con il titolo Drugs, Harm Reduction and Restorative Justice. Traduzione di Enrico Sanna.
Di recente nella città di Brantford, nell’Ontario, la polizia ha intensificato le azioni antidroga, apparentemente in risposta ad un’ondata record di overdosi dovute a droga tagliata con fentanyl. Il sindaco Kevin Davis, dopo aver dichiarato di approvare la proposta di istituire una sala per il consumo controllato, ha dimostrato tutta la sua “coerenza” approvando i raid. Ma gli anarchici conoscono benissimo la legge di ferro del proibizionismo: più cresce la repressione e più il mondo della droga si fa sporco.
Oggi il proibizionismo è una delle principali minacce alla libertà. Uno dei temi centrali del pensiero libertario è la fede nell’indipendenza della persona fisica, e la lotta alla droga è una violazione violenta delle nostre libertà più personali. Si pensa solitamente che la lotta alla droga riguardi unicamente la produzione, la distribuzione e il consumo di droghe illecite (“ricreative”). Ma riguarda anche le prescrizioni e le norme sui farmaci, nonché l’oligopolio delle concessioni che ne risulta. In senso più ampio, è proibizionismo qualunque barriera imposta dallo stato all’accesso spontaneo alle droghe, ed è incompatibile con il diritto alla sovranità personale.
Come vediamo nel caso della pseudo legalizzazione della cannabis, anche l’atteggiamento diffuso verso il proibizionismo diventa sempre più liberale man mano che i danni collaterali di tale proibizionismo si riversano sulla classe media. I crociati antidroga vogliono limitare le perdite, in tutto il Nord America la cannabis da illegale tout court diventa “illegale con eccezioni”, prima per “uso medico” regolato dallo stato e poi per uso ricreativo. Si vuole subordinarne il commercio al rilascio di una licenza, ma il mercato nero continua a crescere e prosperare. L’allentamento delle restrizioni sull’erba è un modo di limitare il danno. Nella stessa direzione vanno le iniziative per la “riduzione del danno”. Si tratta di programmi che comprendono il trattamento della dipendenza, dell’overdose o dell’avvelenamento con somministrazioni gratuite di Narcan e Naloxone, l’uso di siringhe nuove e le sale per la somministrazione controllata, tutte cose solitamente giustificate sulla base di questioni sanitarie e con uno spostamento delle priorità dal carcere per chi usa droga al trattamento della dipendenza intesa come problema di salute. Ovviamente, i conservatori reagiscono accusando i sostenitori della riduzione del danno di voler “viziare i tossici” e incoraggiare comportamenti autodistruttivi. Credo che noi anarchici dobbiamo sostenere queste iniziative, per quanto siano finanziate e gestite dallo stato, non per questioni sanitarie o di compassione bensì come semplice atto di giustizia riparatoria.
Faccio una proposta semplicissima. Gli anarchici di mercato devono sostenere questi programmi di “riduzione del danno”. Qualcuno dirà: nonostante gli evidenti benefici, un anarchico dovrebbe essere a sostegno di questa apparente crescita netta dello stato nonché, come sostiene T.J. Scholl in “Drugs Users Do Not Require State Supervision,” dell’invasione subdola nella libertà personale?
Il mio ragionamento si basa sul principio libertario della riparazione. Chi fa uso di droghe vietate ha il diritto di difendere la propria proprietà e la persona dall’uso iniquo della forza da parte dello stato quando questo lo colpisce con leggi proibizioniste. Certo in molti casi l’autodifesa diretta è un atto inutile e incauto, pur esigendo la giustizia, per principio, che il colpevole risarcisca la vittima e ne ripari il danno finché possibile. Ma come può lo stato generare giustizia se promuove l’ingiustizia? E come può un risarcimento non pesare sui contribuenti?
In Anarchy, State and Utopia, Robert Nozick offre agli anarchici il suo ideale di stato ultraminimo come forma di risarcimento per aver imposto con la forza il monopolio del legittimo uso della forza. Ciò che ho in mente io, invece, non richiede l’esistenza dello stato, che se crollasse ci farebbe un grande regalo, creerebbe il clima ideologico ideale, ma è assai improbabile che accada domani. Penso invece che un programma per la riduzione del danno funzionerebbe come una normativa secondaria della lotta alla droga, sarebbe un tentativo di alleviare alcuni degli effetti peggiori delle droghe come l’overdose, l’avvelenamento, i possibili pericoli rappresentati dalle siringhe gettate via e la dipendenza, tanto per citarne alcuni. E poi, dato che l’accesso è su base volontaria, gli utenti se ne servirebbero solo se lo valutassero positivamente. Prendiamo le sale per l’uso controllato, ad esempio. La loro importanza principale non sta nel fatto che permettono di usare la droga senza correre rischi per la salute (fatto pur sempre vero), ma nel fatto che offrono la possibilità (molto limitata e condizionale) di stare al riparo dalla polizia. Lo stato punta a potenziare la lotta alla droga introducendo misure ad hoc per eliminare o contenere la devastazione che la droga stessa produce, ma perché non dovremmo sostenere queste azioni visto che allo stesso tempo indeboliscono la causa proibizionista e alleviano, anche se di pochissimo, le sofferenze di chi ne è vittima?
Un anarchico potrebbe rispondere citando le perplessità della gente davanti alla possibilità di usare i soldi delle tasse per finanziare e gestire i programmi per la riduzione del danno. Pur ammettendo che la lotta alla droga è sbagliata, direbbe che chi fa uso di droga dovrebbe assumersi la responsabilità della propria vita e delle proprie decisioni. Ma se uno è moralmente contrario al proibizionismo e capisce che causa un’ingiustizia di cui non si vede la fine, non vedo perché dovrebbe essere contrario anche al risarcimento del danno in modi che diano giovamento a chi di quel danno è la vittima principale. Credo che chi si oppone ai programmi per la riduzione del danno debba essere considerato un complice di questa ingiustizia.
Se mai un giorno il proibizionismo dovesse collassare sotto il peso della sua strafottenza e stupidità, consumatori di droghe e società tornerebbero in pace. Finché questo giorno non arriva, qualunque iniziativa per la riduzione del danno resta una forma non di paternalismo, permissivismo o favoritismo, ma di giustizia.