Di Grayson English. Originale pubblicato il 14 giugno 2017 con il titolo Demolish the Demos. Traduzione di Enrico Sanna.
Questo articolo e l’ottavo saggio del June C4SS Mutual Exchange Symposium: “Anarchy and Democracy.”
Da qualche tempo all’interno dell’anarchismo aleggia un certo spirito democratico. Certo, quando si parla di ingiustizia statalista e autoritaria, ci sentiamo spinti a precisare che si tratta di un problema dato dal collettivismo: un problema che riguarda e si applica a tutti e che, come tale, è nell’interesse di tutti affrontarlo. Quando vogliamo convincere qualcuno del fatto che i suoi interessi non coincidono con quelli delle élite, diciamo che il volere e gli obiettivi della popolazione sono generalmente violati e contrastati. E non a caso, visto che per parlare pubblicamente di anarchismo occorre rivolgersi agli interessi pubblici, e nel linguaggio comune asserire pubblicamente che occorre separare la società dallo stato è parte integrante della domanda di democrazia, il modo indipendente in cui la società governa se stessa.
È forse facile comprendere, allora, perché un intellettuale anarchico di primo piano come David Graeber trovi plausibile l’affermazione secondo cui “anarchismo e democrazia sono – o dovrebbero essere – perlopiù identici (Possibilities, 330).” Se vogliamo una società senza stato, la soluzione ovvia non è forse l’autoorganizzazione, o l’autogoverno?
Un ragionamento del genere avrebbe se ci limitassimo a cercare l’eguaglianza nell’autorità. Ma quando diciamo che tutti devono avere un’eguale autorità, intendiamo in realtà che tutti devono avere autorità ma solo su se stessi, e che questa autorità deve essere assoluta, ovvero dev’esserci sovranità individuale. Non vogliamo un mondo in cui tutti sono schiavi, ma uno in cui tutti sono re. Ecco perché anche la costituzione di un demos rappresenta un problema, perché implica, in un certo senso, un centro di gravità esterno all’individuo, un centro di gravità che li attira verso un’identità e uno stile di vita collettivi.
In effetti, è proprio il demos il nemico primo degli anarchisti. Non è un caso se, con l’emergere del Popolo, emerge per forza anche la necessità di mediare sugli interessi e i progetti, e la rappresentanza diventa d’obbligo. Molti intellettuali vedono la rappresentanza in luoghi diversi, dal dittatore al comitato e anche in un’entità diffusa, e non a caso usano il linguaggio democratico per spiegare quei sistemi. Dato che, in ultima analisi, si presuppone l’annullamento dell’individuo nel collettivo, e dato che si tratta di una politica orientata al pubblico, ne consegue che i sistemi di governo popolare sono potenzialmente molteplici.
Davanti a questo antagonismo – tra sovranità individuale e democrazia – si potrebbe notare che nonostante tutto gli esseri umani sono entità sociali e che “una vita appartata” appare misera se non inconcepibile. Forse la democrazia è parte indispensabile di una dialettica in evoluzione tra l’individuale e il sociale. Ma io credo che così si fraintende l’essenza del nostro obiettivo. Ciò che dobbiamo cercare non è il compromesso. C’è una differenza fondamentale tra un’eguale autorità che non si realizza mai e una che si realizza in un dato momento. In definitiva, il sociale dovrebbe essere visto come qualcosa che facilita l’individualità, non come obbligo da rispettare in quanto tale. La nostra esistenza è incurabilmente sociale, questo è vero, ma il sociale esiste per lasciare spazio all’individuale, non il contrario. Le società non dovrebbero essere libere; dovrebbero essere considerate un partner interessato dell’individuale.
Questo perché, metafisicamente, individui e collettivi non sono allo stesso livello. L’individuo agisce, incarna uno spirito riflessivo e dialettico. Il collettivo non agisce, non riflette. È per questo che possiamo dire di essere contro tutte le nazioni, che siamo ingovernabili e che il nostro obiettivo è l’anarchia. L’anarchia non può essere definita in maniera procedurale – non è fatta di consenso né di maggioranze – né può essere definita in maniera pluralistica. L’anarchia è incompatibile anche con un nazionalismo senza stato, ad esempio, perché l’unica collettività che accettiamo per intero è quella che individua e facilita la capacità dell’individuo di definire se stesso. Vogliamo una società che si dissolva continuamente nell’individuo, che funga da semplice trampolino dell’individuo unico che si rapporta con altri individui al fine di accedere meglio alle tecnologie che permettono l’accrescimento di se stessi.
Le nostre ambizioni non ci permettono di accettare un mondo in cui l’individuo resta un rappresentante meccanistico dello spirito collettivo, pur riconoscendo realisticamente il bisogno umano di connettersi agli altri e di cercare un’identità trascendente. Non accettiamo il governo del popolo e la “autoorganizzazione” locale, a cui preferiamo l’individualità sociale. Il cittadino cosmopolita di un mondo anarchico è allo stesso tempo dentro e fuori, creatore di se stesso e collaboratore con gli altri.