Mi è capitato spesso di scrivere dell’immunità sistematica della polizia, un problema che solo quest’anno è costato la vita a centinaia di persone. Ma qual è la tattica da adottare contro questa violenza? Come possiamo contrastare questa assenza di responsabilità?
Da tre anni, Genevieve Huizarof protesta pacificamente e si interroga sulla questione. All’inizio pensava che per ottenere giustizia fosse necessario invitare chi protesta a farlo pacificamente.
La sua protesta cominciò nel luglio 2012, quando la polizia uccise suo figlio Manuel Diaz. La polizia giustificò il ricorso alle armi dicendo che Diaz, anche se disarmato, apparteneva ad una ben nota banda di malviventi e stava cercando di occultare della droga. Durante l’inseguimento, uno dei poliziotti lo sparò ad una gamba, mandandolo sulle ginocchia. Fu allora che un altro poliziotto, Nick Bennallack, uccise Diaz sparandolo alla testa.
Immediatamente dopo, un gruppo di manifestanti scese in piazza attorno al luogo in cui Diaz fu sparato, e la manifestazione sulle prime fu pacifica. Quando la folla raggiunse dimensioni eccessive, però, la polizia chiese loro di andarsene e questo innervosì alcuni manifestanti, che si diedero ad atti violenti. La polizia rispose con metodi repressivi non letali, come sparare proiettili bean bag tra la folla. Purtroppo fu accidentalmente (secondo la polizia) lasciato libero un cane, che attaccò diverse persone per conto proprio. Questo singolare incidente di per sé avrebbe meritato un’indagine.
Ma quando, il giorno dopo, fu sparato un altro componente della banda (stavolta armato) le rivolte ripresero e continuarono per dieci giorni. Fu allora che la Huizarof disse pubblicamente: “[La violenza] è un errore e deve cessare da entrambe le parti…”
Sono passati tre anni e nessuno dei due poliziotti che spararono Diaz è finito in tribunale. Né sono finiti in tribunale gli altri agenti per i crimini commessi durante le proteste pacifiche e i dieci giorni di rivolte. Al contrario, sono stati messi in “congedo retribuito”.
Col senno di poi, la Huizarof ammette ora di aver sbagliato a chiedere la pace. Dice: “Mi sono pentita di aver invocato la pace. Forse, se si fosse andati oltre la sollevazione popolare non ci sarebbero stati i fatti di Baltimora. … Troppe persone uccise, troppe famiglie sofferenti. Non dimenticate. Non smettete di lottare. Anche nei tribunali, non smettete di lottare.”
A volte con le rivolte si ottengono risultati irraggiungibili con la protesta pacifica. Questo non significa che io, o chiunque altro, pensi che i danneggiamenti e la violenza fisica siano una strategia positiva. Ma non si può neanche negare che alle origini del rapporto sulla corruzione della polizia locale ordinato dal Dipartimento della Giustizia ci sia la rivolta di Ferguson.
Concordo con la Huizarof quando dice che non dobbiamo smettere di lottare, ma da anarchico contesto i suoi metodi. Il male è troppo grande, alla polizia non dovrebbero essere concesse requie. Ma questo non significa che dobbiamo ricorrere al tribunale per avere giustizia. Dopotutto, i tribunali fanno parte di quello stesso sistema statale che comprende la polizia. È come le la Ibm mettesse su una commissione d’indagine che “indaghi” su eventuali illeciti commessi dal suo comparto tecnologico.
Piuttosto dovremmo essere noi a mettere su le nostre istituzioni, ad unirci sulla base di un ethos fatto di reciprocità, pari autorità, solidarietà e libertà. Dovremmo prendere esempio da organizzazioni, presenti e passate, dedite alla difesa della comunità, come le Pantere Nere e il gruppo di autodifesa armata di Huey P. Newton. Dovremmo anche cercare di creare un clima di disobbedienza e distacco verso l’autorità della polizia, per concentrarci sull’autonomia a livello di vicinato e sull’autogoverno.
Ma finché non sarà abolita la polizia non ci sarà né pace né giustizia.