Anche se conoscere il diritto brasiliano è il mio lavoro, ogni volta che vedo tutto il potere che possiede lo stato brasiliano rimango allibito.
Con una legge chiamata la “Legge Fifa”, lo stato ha istituito, per tutta la durata della coppa del mondo di calcio, le cosiddette “aree di commercio esclusivo” a tutto vantaggio della Fifa.
L’articolo 11 di questa legge stabilisce che è compito dello stato garantire “che alla Fifa e ai suoi rappresentanti sia permesso pubblicizzare in esclusiva i loro marchi, distribuire, vendere o comunque reclamizzare i loro prodotti e i loro servizi, così come altre attività promozionali e commerciali che si svolgono nelle strade, nei Siti Ufficiali delle Gare, nelle loro vicinanze e nelle principali vie d’accesso.” Il paragrafo 1 precisa che per vicinanza si intende un’area nel raggio di 1,3 miglia (2 km) dai siti delle gare.
È sempre successo che lo stato brasiliano abbia agito per il beneficio sistematico di un gruppo di plutocrati a scapito della popolazione. Ma la Legge Fifa è sorprendente perché non c’è neanche un pretesto. Come si giustificano da un punto di vista costituzionale queste aree commerciali esclusive? Come fanno a promuovere il bene pubblico queste aree esclusive in cui solo alcune aziende specifiche e i loro partner possono fare commercio? Non è altro che privilegio alla luce del sole. Come ai tempi del mercantilismo, quando i re garantivano il diritto “esclusivo” di produrre e vendere determinati prodotti.
Lo storico marxista Christopher Hill ha descritto così la vita dell’inglese medio nel diciassettesimo secolo: viveva in una casa fatta di mattoni prodotti da un monopolista e si pettinava con un pettine prodotto da un altro monopolista. Nel ventunesimo secolo questo rudere giudiziario è stato riportato in vita.
Anche i venditori ambulanti sono stati espulsi da queste zone. Quella economia informale che aggira continuamente la politica repressiva e l’imprevedibilità dello stato, che muove centinaia di miliardi di dollari ogni anno, non è stata invitata alla festa sportiva. “Migliaia di venditori ambulanti, privi di protezioni e di potere negoziale con lo stato, vengono mandati via dalle strade come se fossero macchie sul paesaggio,” dice la lettera aperta che la Commissione Nazionale dei Venditori Ambulanti ha pubblicato l’anno scorso.
Alcuni di loro sono riusciti a raggiungere qualche compromesso con il governo e la Fifa, assicurandosi il permesso di operare in queste “aree esclusive”, ma solo seguendo le regole e le linee guida imposte dalla Fifa. A São Paulo, ad esempio, l’accordo prevede che gli ambulanti possano vendere soltanto merce dei marchi sponsor (proteggendo così la loro “proprietà intellettuale”), a prezzi leggermente più bassi (solo prezzi di listino), e con il diritto al 30% dei profitti.
Cosa resta? Entrare in una di queste aree esclusive, occuparla con venditori ambulanti e altre attività commerciali non riconosciute, potrebbe provocare una reazione sproporzionata da parte dello stato, che ha mandato le forze di polizia militare e lo stesso esercito a garantire gli interessi della Fifa.
La prossima volta che vedete la polizia che confisca la merce di un ambulante con la scusa che non ha pagato le tasse, o che la sua licenza è stata revocata, ricordatevi che la Fifa non paga le tasse e guadagna miliardi dai suoi privilegi commerciali assicurati dal pugno di ferro dello stato. Allora capirete quanto è prezioso l’appello di Thoreau: “Lasciate che la vostra vita sia un freno alla macchina”.
Perché il mondiale di calcio è in Brasile, ma a fare affari non sono i lavoratori brasiliani.