Scrive la Reuters che quest’anno la corte suprema degli Stati Uniti sarà chiamata a decidere sul più alto numero di casi riguardanti la proprietà intellettuale (PI) di tutta la storia. I giudici sono chiamati a decidere su otto casi: sei riguardano brevetti e due riguardano diritti di copia. Un vero e proprio segno dei tempi. In un mondo in cui esiste l’open source e creative commons sta diventando molto noioso per lo stato applicare le vecchie leggi alle nuove tecnologie.
Le leggi sulla proprietà intellettuale comprendono i brevetti, i diritti d’autore e i marchi commerciali. Da qualche decennio ad oggi le imprese americane, soprattutto quelle ad alto contenuto tecnologico, hanno preso a dipendere sempre di più da queste leggi per proteggere i “loro profitti”: l’impresa prende il capitale mentre il lavoro individuale raramente riceve una ricompensa. Nota la Reuters, inoltre, che questo aumento delle cause legali è il prodotto di differenze tra le sentenze dei giudici costituzionali e le sentenze di una corte d’appello specializzata con sede a Washington che si occupa dei casi di brevetto a livello nazionale; su alcuni punti chiave le due parti non hanno raggiunto un accordo. Tenete conto del fatto che una sentenza sulla proprietà intellettuale può avere vaste conseguenze sulla società: il genoma umano e i vaccini dovrebbero essere brevettati o possono rimanere risorsa comune? Io propendo per quest’ultima. Ma l’industria farmaceutica investe molti soldi e molte energie politiche a favore di una forte protezione dei brevetti, così da poter proteggere il suo “diritto” multimilionario ad incassare una rendita su un monopolio inventato.
Se poi le cause legali che riguardano la PI sono aumentate è anche perché questa restringe l’ambito dell’attività umana e l’innovazione.
Le cause aumentano perché la libertà è la nuova etica: creative commons è qui per restare. La rivoluzione tecnologica generata dall’open source sta emergendo davanti ai nostri occhi con il suo tema della decentralizzazione, costringendo lo status quo a cambiare, e questo agli interessi particolari non piace. Per nostra fortuna il mondo è anarchico. La rivoluzione stigmergica lavora per vie traverse attorno alle gerarchie tradizionali e il loro potere di coercizione: il vecchio ordine (per quanto ci provi) non riesce a stare dietro.
Quello che vediamo è forza sociale in azione. In questa nuova pubblica piazza le corti, il potere legislativo e gli interessi particolari sono impotenti. Il mercato così liberato non è interessato alla proprietà delle idee, ma al progresso, all’innovazione e alla collaborazione nel lavoro. Il colonialismo corporativo ha i giorni contati.
Se si vuole liberare la società le idee non devono avere padroni. Una volta che queste finiscono nel mercato, chiunque dovrebbe essere libero di aggiungervi le proprie conoscenze e mandarne avanti la realizzazione pratica. Questo significa semplicemente massimizzare le capacità innovative dell’attività umana. Le migliori realizzazioni pratiche dovrebbero essere lasciate libere di svilupparsi. La PI, con le leggi che riconoscono la “proprietà” dell’informazione, restringe il potenziale creativo e innovativo della popolazione in senso ampio. Le leggi sulla PI servono a proteggere il capitale a spese dei lavoratori dotati di talento. Le idee sono uno strumento potente, fondamentale, in una società libera; e non dovrebbero essere ingabbiate dall’attivismo legalistico.
Grazie alle nuove tecnologie, oggi informazione e idee si diffondono senza restrizioni. L’attività umana ha un nuovo management: l’individuo. L’uso dei tribunali per privatizzare le idee e proibire il libero flusso delle informazioni è un credo che appartiene al passato; ecco perché è emerso creative commons. Il mercato va sempre alla ricerca della libertà, perché l’attività umana opera per l’avanzamento reciproco di tutte le parti della società.
L’attività umana dotata di talento, libera, è il motore che fa andare una società libera. L’ordine anarchico sta emergendo. Mentre seppelliamo la proprietà intellettuale reclamiamo il nostro potere sul bene comune.