Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 14 dicembre 2023 con il titolo Netanyahu’s Chickens Come Home to Roost. Traduzione di Enrico Sanna.
Ovvero, Come gli stati si creano i nemici
Probabilmente conoscete l’espressione “darsi la zappa ai piedi”. In un certo contesto significa che molte delle minacce esterne che gli stati nazionali si trovano ad affrontare sono conseguenza dei loro stessi precedenti interventi e atti di forza. L’attacco terroristico del 7 ottobre di Hamas contro Israele è un esempio classico.
Pochi sanno che se Hamas esiste ed è particolarmente potente è grazie a Israele. Mehdi Hassan e Dina Sayedahmed su Intercept citano le parole del generale Yitzhak Segev, governatore militare a Gaza nei primi anni Ottanta, che al giornalista del New York Times David Shipler dichiara “di avere collaborato a finanziare il movimento islamista palestinese perché facesse da ‘contrappeso’ alle organizzazioni di sinistra OLP e Fatah guidate da Yasser Arafat.” “Il governo israeliano mi dava una certa cifra,” dice Negev, “affinché il governo militare lo passasse alle moschee.”
Avner Cohen, funzionario israeliano a Gaza durante gli anni Settanta e Ottanta, ammette che “Hamas, purtroppo, è opera di Israele”. Lui ha visto il movimento islamista prendere forma, spazzare via i rivali palestinesi laici ed evolversi fino all’attuale Hamas, un gruppo combattente che vuole la distruzione di Israele. Cohen poi aggiunge che
invece di cercare di contenere la crescita islamista a Gaza fin da subito, Israele per anni ha tollerato questi gruppi, arrivando anche a incoraggiarlli come contrappeso delle organizzazioni nazionaliste laiche, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e la sua corrente principale, al Fatah di Yasser Arafat. Israele collaborò con lo sceicco Ahmed Yassin, il chierico paraplegico mezzo cieco che stava mettendo su quello che sarebbe diventato Hamas.
L’antesignana di Hamas, la Mujama al-Islamiya di Yassin, era un’innocua organizzazione dedita perlopiù ad opere di beneficenza e assistenziali a Gaza. L’organizzazione cambiò volto e diventò Hamas negli anni Ottanta, grazie al sostegno israeliano.
Israele vedeva in Mujama al-Islamiya e nella successiva Hamas un male minore rispetto alla Olp; pensava che dividere i palestinesi avrebbe fatto gli interessi dello stato ebraico. Israele bollava l’Olp come organizzazione terroristica, una grossa minaccia per i suoi interessi, ma anche Hamas le era contro per via del suo nazionalismo laico. Ma Israele e Hamas finirono per allearsi contro l’Olp…
A Gaza l’amministrazione israeliana a guida militare vedeva di buon occhio il chierico paraplegico che aveva messo su una rete di scuole, ambulatori, asili e una biblioteca. Lo sceicco Yassin fondò l’organizzazione islamista Mujama al-Islamiya, riconosciuta da Israele come opera assistenziale e, dal 1979, come associazione. Israele appoggiò anche la fondazione dell’università islamica di Gaza, che oggi considera un ricettacolo di attivisti.
(Ironicamente, Hamas è anche una escrescenza dei Fratelli Musulmani, l’associazione fondamentalista appoggiata dagli Stati Uniti per contrastare il nazionalismo laico di nasseristi e baathisti).
Ma Israele, fedele alla strategia del divide et impera, continuò ad offrire supporto a Hamas, anche se in misura minore, anche dopo la sua trasformazione in partito politico e movimento resistenziale antiisraeliano a partire dalla fine degli anni Ottanta.
Nel 1987, quando Hamas fu istituito e divenne partito politico e forza militare di resistenza all’occupazione israeliana, cambiò la politica del governo israeliano, ora meno disposto a dare libertà a Hamas. Ma questo non scoraggiò le autorità israeliane che continuarono a portare avanti la tattica del divide et impera tra i movimenti nazionali islamisti… e il nazionalismo laico… Questa è sempre stata la tattica usata dalle forze coloniali in tutto il mondo, e Israele non fa differenza. Si tratta di politiche, dirette o implicite, finalizzate a dividere la popolazione.
I sostenitori di Israele accusano spesso i palestinesi per aver rifiutato negoziati pacifici e la possibilità di un accordo su due stati, come a Oslo. Quello che non dicono è che fu Benjamin Netanyahu, l’attuale primo ministro, a fare di tutto per far fallire gli accordi di Oslo.
Se Hamas da un lato cercò di sabotare il processo di pace di Oslo (continuando però a prendere i soldi da Israele), l’opposizione più forte veniva dai coloni israeliani fascisti in Cisgiordania. Pur negando di essere stato complice, o anche di aver contribuito alla retorica incendiaria (“sostiene di non aver visto striscioni né sentito slogan”), Netanyahu, allora leader dell’opposizione, era coinvolto attivamente con le forze politiche di estrema destra che non solo demonizzavano l’allora primo ministro, il laburista Yitzhak Rabin, per aver firmato gli accordi di Oslo, ma ne chiedevano la testa.
Nelle settimane precedenti l’assassinio, Netanyahu, allora a capo dell’opposizione, organizzò a Gerusalemme assieme a membri anziani del Likud un raduno di protesta in cui Rabin veniva accusato di essere un “traditore”, “assassino”, “nazista” per l’accordo di pace con i palestinesi firmato quello stesso anno.
A Ra’anana Netanyahu partecipò a una marcia di protesta in testa ai manifestanti che sfilavano con una bara finta.
Tra i principali sostenitori di Netanyahu ci sono molti tra i coloni più estremisti della Cisgiordania oltre che fanatici religiosi ultranazionalisti per i quali la retorica anti-Rabin era la norma. Così Wikipedia a proposito dell’assassinio di Rabin:
Per i nazionalisti conservatori religiosi e i leader del Likud il ritiro dal territorio “israeliano” era un’eresia. Il leader del Likud e futuro primo ministro Benjamin Netanyahu accusò il governo di Rabin di essersi posto “fuori dalla tradizione […] e dai valori ebraici”. La destra rabbinica alleata con il movimento dei coloni proibì la concessione di territorio ai palestinesi, e proibì anche ai soldati delle forze di difesa israeliane di evacuare i coloni ebrei secondo gli accordi. Contro Rabin personalmente, alcuni rabbini invocarono il din rodef sulla base della tradizionale legge ebraica dell’autodifesa, perché a loro dire gli accordi di Oslo mettevano a rischio la vita degli ebrei.
Nei raduni organizzati dal Likud e da altri gruppi di destra Rabin era raffigurato vestito da SS o al centro di un mirino. I manifestanti paragonavano il Partito Laburista ai nazisti e Rabin a Adolph Hitler, e urlavano in coro: “Rabin assassino”, “Rabin traditore”. A luglio del 1995, ad un raduno contro Rabin, Netanyahu guidò un finto funerale con tanto di bara e nodo scorsoio, mentre i manifestanti urlavano in coro “Morte a Rabin”. Il capo della sicurezza interna Carmi Gillon, venuto a conoscenza di un complotto per assassinare Rabin, chiese inutilmente a Netanyahu di abbassare i toni.
Riflettiamo. Il capo dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani, dice a Netanyahu che Rabin è seriamente minacciato di morte e gli chiede di abbassare i toni. Netanyahu si rifiuta. Con l’assassinio di Rabin si spegne il processo di pace di Oslo, e subito dopo Netanyahu diventa primo ministro.
Secondo le fonti citate nei link, molti dei funzionari israeliani coinvolti nel sostegno iniziale a Hamas hanno poi definito il fatto un “errore”. Ma anche quando è diventato chiaro che Hamas era un’organizzazione terroristica, Netanyahu (che ultimamente insiste a definire Hamas “parte di un’alleanza del male che comprende gli Hezbollah e l’Iran” e che ha “il chiaro obiettivo di uccidere quanti più ebrei è possibile”) ha continuato per vent’anni a sostenere il governo di Hamas a Gaza.
Secondo Tal Schneider del giornale The Times of Israel, Netanyahu ha, perlomeno tacitamente, trattato Hamas come un “collaboratore” contro Abbas e l’autorità palestinese, nella speranza di indebolire l’idea dei due stati definita a Oslo e sostenuta dall’autorità. Dopo il ritiro militare israeliano, Netanyahu cinicamente appoggiò il governo di Hamas al fine di separare Gaza dalla Cisgiordania: “per evitare che Abbas, o chiunque all’interno dell’autorità governativa palestinese in Cisgiordania, fosse in grado di proporre l’istituzione di uno stato palestinese.” Nel sostegno rientrava anche l’appoggio nascosto al trasferimento di fondi dal Qatar verso Gaza.
Perlopiù la politica israeliana consisteva nel trattare l’Autorità Palestinese come un peso e Hamas come una risorsa da sfruttare…
Secondo varie testimonianze, Netanyahu sostenne qualcosa di simile ad un incontro di una fazione del Likud agli inizi del 2019, quando, secondo testimoni, disse che chi era contro lo stato palestinese doveva appoggiare il trasferimento di fondi a Gaza, perché tenere separate le autorità di Gaza e della Cisgiordania avrebbe evitato la nascita di uno stato palestinese.
Come spiega Tareq Baconi, del Palestinian Policy Network, Netanyahu sperava di azzoppare la più ampia causa palestinese e soffocare qualunque speranza in una soluzione a due stati.
Questa politica raggiunse l’apice nel 2007, quando Hamas, dopo aver vinto le elezioni democratiche l’anno prima, salì al potere, e le autorità israeliane cercarono assieme al governo statunitense di provocare un cambio di regime, dando vita a una guerra civile tra Hamas e Fatah che portò Hamas a prendere il potere sulla Striscia di Gaza. Da allora, le autorità israeliane cominciarono a sostenere apertamente l’idea di Hamas come autorità di governo a Gaza… Israele voleva separare Gaza dal resto della Palestina storica così da poter dimostrare che la Palestina è un’entità statale a maggioranza ebraica. Eliminati dal panorama due milioni di palestinesi, due terzi dei quali rifugiati che chiedono di tornare, Israele potrebbe presentarsi come stato ebraico democratico con una sua forma di apartheid. Per questo lasciò che Hamas continuasse a governare e allo stesso tempo annunciò l’embargo alla Striscia di Gaza perché Hamas era al potere…
Hamas al potere a Gaza diventò la scusa ideale per mantenere separata Gaza dal resto della Palestina… Ma servì anche a intensificare lo sforzo israeliano volto a mantenere divise le dirigenze palestinesi, applicando così la politica del divide et impera all’Autorità Palestinese e a Hamas.
Il modo in cui Israele incanalava il denaro dal Qatar a Gaza (ma anche la politica di Netanyahu che contrappose tra loro i diversi movimenti palestinesi così che nessuno diventasse forte abbastanza da unificare Gaza e Cisgiordania) è descritto in dettaglio in un articolo di India Today:
Netanyahu pensava che l’Autorità Palestinese tornasse utile ad Israele, e che pertanto pertanto non dovesse essere lasciata morire.
Da anni questa è la politica di bilanciamento attuata da Israele con Netanyahu: tenere separati i centri di potere di Gaza e della Cisgiordania. Non permettere all’Autorità Palestinese di rafforzarsi, ma al contempo evitare che collassi, e soprattutto sostenere Hamas…
“Chiunque si opponga alla nascita di uno stato palestinese dovrebbe agevolare il trasferimento di fondi a Gaza, perché tenere separate l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza serve ad evitare la nascita di uno stato palestinese.” ~ The Jerusalem Post, da una dichiarazione del primo ministro Netanyahu del 2019.
Tutti questi nodi vengono al pettine il sette ottobre corso: uno stato autoritario che nel tentativo di imporsi alimenta le forze da cui poi viene attaccato.
Si tratta di un fenomeno ricorrente. Un luogo comune diffuso presso gli americani è: “si combattono da millenni e non possiamo farci nulla”. In realtà, la violenza in Medio Oriente è quasi interamente conseguenza di interventi imperialistici occidentali dell’ultimo secolo circa. Il primo passo lo fece T.S. Lawrence quando spinse i nazionalisti arabi a lottare l’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale, con la promessa di uno stato arabo indipendente negli accordi postbellici: una promessa tradita nel momento stesso in cui veniva formulata dal trattato segreto franco-britannico Sykes-Picot, che prevedeva la divisione delle province arabe della Turchia in altrettanti mandati amministrati dai due paesi autori dell’accordo. In particolare la Grande Siria, cuore del previsto stato arabo, fu divisa in due mandati: Siria e Libano amministrati dalla Francia, e Palestina e Cisgiordania amministrate dalla Gran Bretagna. Nel frattempo, la Gran Bretagna incoraggiò e armò l’ondata opposta nazionalista e il Sionismo che, con la Dichiarazione di Balfour, ebbe come effetto un’impennata degli insediamenti in Palestina da parte di ebrei europei.
Sempre la Gran Bretagna appoggiò attivamente l’occupazione della Hegiaz (comprendente le due principali città sante dell’Islam) da parte della famiglia saudita, unificando così gran parte della penisola arabica sotto il regno saudita. La religione ufficiale del regno saudita è il Wahhabismo, una versione profondamente fondamentalista dell’Islam sunnita, a cui aderiscono i Fratelli Musulmani e i Mujaheddin afgani, così come Al Qaeda e l’Isis di oggi.
Come detto, gli Stati Uniti hanno sostenuto il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, da cui discende Hamas, per contrastare in senso religioso la politica di Nasser. I Fratelli Musulmani rovesciarono il governo laico e liberale di Mossadegh in Iran, ponendo le basi per il rovesciamento dello Scià e il trionfo del fondamentalismo una generazione più tardi. Gli Stati Uniti hanno finanziato anche i Mujaheddin, poi evolutisi in Al Qaeda. E in reazione agli attentati dell’undici settembre 2001, avvenuti per mano della loro stessa creatura, hanno invaso l’Iraq, creando così il vuoto da cui sono emersi Al Qaeda in Iraq e l’Isis.
Arriviamo così a Israele e Hamas.
La realtà è evidente. Ogni volta che uno stato cerca di imporre il proprio volere sul resto del mondo, alimenta forze che prima o poi inevitabilmente colpiranno la sua popolazione. Quindi ad ogni atto di ritorsione lo stato invoca più potere nel nome della “lotta al terrorismo”. Che a sua volta crea nuovi nemici all’estero.
È ora di lasciarli perdere.
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