Di Kali Akuno. Originale pubblicato il 19 giugno 2021 con il titolo We are our liberators. Traduzione di Enrico Sanna.
Si fa un gran parlare in Inghilterra e in tutto il cosiddetto mondo anglofono del 200º anniversario dell’abolizione della tratta degli schiavi nell’Impero Britannico e nella sua colonia ribelle, gli Stati Uniti d’America.
Cosa pensano di afrikani1 di tutto il mondo di questa fanfara? Si commemora, si fanno dichiarazioni in pubblico, si esprime “rammarico” – nota: non scuse formali, che sono moralmente e legalmente altra cosa – per l’enorme crimine contro l’umanità. E questo è positivo, ma non è la risposta adeguata.
In questi ultimi duecento anni dalla cessazione della tratta negli imperi anglofoni, le sofferenze e lo sfruttamento delle popolazioni afrikane non sono calati, hanno semplicemente cambiato forma.
Se un tempo lo sfruttamento impietoso degli afrikani era strutturato attorno alla schiavitù, oggi al centro c’è il neocolonialismo. La questione che sta al fondo di tutte queste commemorazioni è: come fare per risarcire e sanare il danno fatto in tutto il mondo alle popolazioni afrikane dai governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, nonché dalle numerose imprese economiche edificate sul capitale accumulato con la tratta degli schiavi protetta da questi stati?
Il risarcimento è solo il punto di partenza, il necessario primo passo verso l’eliminazione dell’eredita attuale della tratta e della schiavitù delle popolazioni afrikane. Se noi afrikani non facciamo pressione per ottenere risarcimenti in occasione di questi eventi commemorativi, stiamo semplicemente giustificando il loro rifiuto.
C’è poi da rivedere la questione storica degli afrikani che si liberarono della schiavitù. In particolare la rivoluzione haitiana e il ruolo determinante che questa ha avuto nell’abolizione della tratta. Al di là del carisma morale degli abolizionisti quaccheri e metodisti, fu il successo e la grande popolarità della rivoluzione presso la diaspora afrikana a costringere colonizzatori e capitalisti britannici e americani a porre fine alla tratta, al fine di frenare l’onda liberatrice mossa dagli haitiani.
Negare questo fatto serve a mantenere viva l’idea dei suprematisti bianchi secondo cui gli afrikani non ebbero, e non potevano avere, un ruolo decisivo nella propria liberazione. Negare serve anche a distorcere la comprensione dei processi storici, soprattutto riguardo le trasformazioni rivoluzionarie.
Forza determinante per la liberazione degli afrikani, ieri come oggi, è l’organizzazione autonoma degli afrikani stessi. La vera, sincera solidarietà con la nostra causa non viene dai buonisti liberal o da altri non afrikani.
Questa logica, distorta, genera iniziative di sostegno che partono dalla premessa che gli afrikani devono essere salvati da se stessi, non che l’imperialismo e il neocolonialismo devono scomparire dalla faccia della terra.
Pertanto la conclusione è che gli afrikani e i veri rivoluzionari, ovunque si trovino, devono cogliere l’opportunità fornita dagli eventi commemorativi del 200º anniversario per eliminare le tare ereditarie della schiavitù, della tratta, del colonialismo, dell’imperialismo e del neocolonialismo, per lottare senza compromessi affinché siano risarciti i crimini orrendi commessi contro il nostro popolo al fine di costruire le roccaforti degli imperi britannico e americano.