Il calcio trascende le classi sociali e quelle economiche. In Brasile è giocato ovunque da bambini e adolescenti di ogni classe sociale. Se si può improvvisare una palla, il divertimento è sicuro.
Il calcio è anche alla base del patriottismo brasiliano, che durante i mondiali si innalza. La bandiera nazionale diventa oggetto d’adorazione. E sventola nell’aria.
Ma nel 2014 è diverso. Slogan come “La Coppa del Mondo non Esiste” abbondano, ci sono proteste e l’opinione pubblica si divide sull’impatto dell’evento. Le persone interessate dalle preparazioni hanno scritto una lettera aperta e, il quindici di maggio, c’è stata la Giornata Contro la Coppa del Mondo, che ha spinto migliaia di persone nelle strade in tutto il Brasile.
È stato il risultato prevedibile delle politiche adottate nel paese, politiche che hanno promosso l’uso massiccio di denaro pubblico e il pugno d’acciaio dello stato per mandare via la gente dalle loro case (espropri discutibili anche secondo i traballanti standard legali brasiliani) e costruire pachidermi bianchi per usarli soltanto per un breve periodo. I principali beneficiari sono la FIFA, le ditte di appalti, le grandi aziende alleate tra loro e lo stesso stato.
Per schivare la concorrenza, secondo la Lettera del Primo Incontro delle Persone Interessate dalla Coppa del Mondo, “la Legge sulla Coppa del Mondo istituisce zone di esclusione per un raggio di 1,25 miglia (2 chilometri) attorno alle aree della FIFA e gli stadi, e aree per i fan dotate di megaschermi, aree in cui soltanto gli sponsor possono vendere.” I venditori ambulanti, che muovono miliardi ogni anno, sono esclusi da grosse porzioni delle città.
Si potrebbe dire che viviamo una “situazione sportiva d’eccezione”, ma è un fatto che le preparazioni dei mondiali abbiano mostrato tutte le disfunzioni e le ingiustizie dello stato brasiliano. Le grandi imprese hanno ricevuto grossi aiuti economici tramite la banca pubblica BNDES, imprese che si sono alleate tra loro per attaccare coerentemente la proprietà dei poveri. C’è stato l’impulso irresistibile a controllare l’accesso dei poveri alla terra, per non dire della repressione generale dei venditori ambulanti in un paese in cui le leggi dicono di difendere la classe lavoratrice.
Questo incubo sportivo è la realtà quotidiana del paese, una realtà che punisce i poveri più di ogni altro, ma che oggi appare più evidente che mai per via dell’associazione con uno degli eventi mondiali più importanti per i brasiliani. Questo stato di cose è sempre esistito, ma oggi c’è un pretesto. Il paese del calcio ha capito che i campionati non sono semplicemente sport. Hanno a che fare con il denaro, le influenze, i mezzi politici, non lo scambio volontario.
Niente serve meglio ad illustrare la differenza tra mezzi economici (lavoro, produzione, scambio) e mezzi politici (forza, costrizione), per dirla con Franz Oppenheimer. Un’altra Coppa del Mondo è possibile, un mondiale senza espropri, repressioni, soldi pubblici, ma sarebbe una Coppa del Mondo senza il potere dello stato, fatta da persone che fanno a meno della forza.
Nel 2007, il governo disse che la Coppa del Mondo sarebbe stata pagata interamente dal settore privato. Con lo stato che ci ritroviamo oggi questo non accadrà mai. Nessuna società è disposta ad accollarsi il rischio di investire in un mondiale politicizzato come quello brasiliano. Neil Stephenson, in Snow Crash, la mette così: “Ecco com’è lo stato. È stato inventato per fare quello che un privato non si sognerebbe di fare, il che significa che probabilmente non c’è alcuna ragione di farlo.” Lo stato fa questo, ma fa anche cose che fanno pendere l’ago della bilancia a favore di certe imprese private.
“Speriamo che la nostra storia non sia soffocata dall’urlo goal,” dice la Lettera del Primo Incontro delle Persone Interessate dalla Coppa del Mondo. Se dovesse prevalere la coscienza, l’ingiustizia dello stato nel nome dello sport non potrà essere dimenticata.