Il sedici marzo è una data importante per tutti quelli che cercano pace e armonia tra gli uomini: la Giornata delle Frontiere Aperte. Il sito openborders.info, fondato da Vipul Naik, è al suo terzo anno di vita (è nato il sedici marzo 2012). Mira ad aprire la conversazione su immigrazione e libertà di movimento oltre i confini politici. L’obiettivo è “un mondo in cui la migrazione sia un fatto normale e ampiamente legittimo”. Il sito offre una miriade di informazioni a supporto della validità dell’obiettivo.
La popolarità e il traffico del sito nel corso degli anni sono cresciuti considerevolmente, man mano che la gente di tutto il mondo capisce che i confini statali e le corrispondenti restrizioni all’immigrazione sono guaste, e in fin dei conti controproduttive. Mentre una vera apertura delle frontiere, nella nostra realtà umana purtroppo statalista e territoriale, rimane un obiettivo alto e idealistico, una politica dei piccoli passi dovrebbe ispirare chi ama la pace.
Oggi, i conflitti più grossi e letali sono in gran parte conseguenza dell’imposizione delle frontiere da parte dello stato. Questo non significa che gli uomini non abbiano vere e proprie ragioni di diverbio: le terre, il denaro, il potere, la religione e altre differenze ideologiche. Ma la separazione dei popoli creata dai confini di stato ingrandisce enormemente questi scontri.
Quando due parti in conflitto sono separate a forza dalle muraglie, che siano vere o metaforiche, potete stare tranquilli che il diverbio cresce fino a diventare una vera e propria aggressione di una parte contro l’altra. E gli stati che governano questi confini ne sono coscienti. I conflitti personali, alimentati dagli stati con le frontiere politiche, sono la linfa vitale degli stati stessi. Creano nemici feroci che altrimenti non potrebbero esistere, e questo grazie alle divisioni tra esseri umani creata dall’esistenza di confini arbitrari. Il risultato è che “noi” dobbiamo essere protetti da “loro”. Questa è una comoda scusa per quei politici guidati da ambizioni imperialistiche.
In un mondo senza confini, i diverbi verrebbero probabilmente e in larga misura risolti pacificamente: con il compromesso, la collaborazione, il dialogo. Quelle parti che hanno il senso dell’unione, che scelgano di stare unite o meno, devono comporre le loro discordie pacificamente. Nel mondo di oggi, autoritario e dominato dallo stato, la diplomazia è solitamente l’ultima risorsa. I politici non guadagnano assolutamente nulla dalla risoluzione pacifica di una disputa. La guerra, il sangue, tutto ciò per gli stati coinvolti è una fonte di profitto, la possibilità di accumulare potere.
Il giorno prima della Giornata delle Frontiere Aperte, la rete Travel Channel ha trasmesso la prima puntata di un programma chiamato Breaking Borders (Distruggendo le Frontiere, es). Volutamente o forse no, Breaking Borders finisce per essere a favore dell’apertura delle frontiere. Il programma mette assieme persone che appartengono a parti opposte di un letale conflitto mondiale e le invita a spezzare il pane e discutere assieme. Lo chef americano Michael Voltaggio cucina e i rappresentanti delle parti fanno uno scambio di idee e culture a tavola. Se Travel Channel riesce nel tentativo di colmare le distanze tra israeliani e palestinesi della Cisgiordania, come è accaduto nella prima puntata, sicuramente gli stati potrebbero fare lo stesso. Ancora una volta, però, gli stati hanno un interesse particolare a tenere le loro popolazioni isolate dal resto del mondo, e a tenere vivi i conflitti tra le due parti del confine.
Dove le frontiere politiche si dissolvono prolifera il multiculturalismo, cosa che porta ad una maggiore tolleranza delle differenze, e spesso anche le ideologie e i dogmi si attenuano. Come dice il filosofo e fautore delle frontiere aperte Robert Anton Wilson, “stiamo imparando ad uscire dalla nostra pelle. La vita è tutta qui: creare finestre, uscire dalla gabbia.” Senza frontiere siamo liberi di impegnarci in questo salutare processo umano. Tutti assieme, non separati.