Quella fazione del centrosinistra che va in estasi davanti a Elizabeth Warren ama citare la frase di Barney Frank, “stato è il nome che diamo a ciò che decidiamo di fare assieme”. Ora, l’idea secondo cui il governo è la personificazione di ciò che “noi” decidiamo di fare presuppone qualche correlazione significativa tra ciò che il pubblico desidera e ciò che il governo fa. Ma secondo uno studio dell’Università di Princeton (Martin Gilens, Benjamin Page, “Testing Theories of American Politics: Elites, Interest Groups and Average Citizens”), gli effetti dell’opinione pubblica sulla politica governativa si possono paragonare a quelli delle macchie solari.
Lo studio non ha trovato alcuna correlazione tra l’opinione pubblica e la politica. Riportata graficamente, la probabilità che una qualunque proposta venga adottata è invariabilmente del 30% a prescindere dal supporto ricevuto da parte del pubblico. D’altro canto, però, la correlazione tra le preferenze delle élite economiche e le politiche adottate fa impennare la curva del grafico di 45°: il 70% delle politiche fortemente sostenute dalle élite si trasforma in politica del governo.
Niente di sorprendente. Il governo messo su dalla costituzione americana nacque in risposta alle lamentele delle élite, secondo cui i governi dei singoli stati erano troppo democratici, troppo sensibili al sentire popolare, tanto da infastidire seriamente le élite economiche. In molti dei nuovi stati indipendenti, coalizioni radicali in rappresentanza di agricoltori e piccoli commercianti passarono leggi di riforma fondiaria e di sospensione del debito, e si opposero all’aumento delle tasse per pagare le obbligazioni emesse durante la rivoluzione per pagare l’Esercito Continentale, e che attualmente erano nelle mani dei redditieri.
Gran parte della base elettorale che stava dietro la costituzione era formata dalle élite economiche, come quella terriera e quella mercantile. La loro costituzione – creata con un colpo di stato illegale contro gli Articoli della Confederazione – mise su un governo che era un’oligarchia gestita da élite economiche, e il cui controllo popolare era quanto più possibile nominale e indiretto. Il governo che abbiamo oggi, nonostante il linguaggio della propaganda ufficiale dei libri di educazione civica lo presentino come “democratico”, è ancora, nei suoi tratti essenziali, la stessa oligarchia messa su oltre 220 anni fa.
Costituzione a parte, è la struttura generale della società, dell’economia e del sistema politico americani, che rendono inevitabile il dominio di queste élite. Quando ogni aspetto della vita nazionale è governato da un intreccio di agenzie normative governative, alcune centinaia di grosse industrie e banche, giganteschi comitati burocratici, università e fondazioni di carità, e quando le stesse minuscole élite fanno avanti e indietro tra queste istituzioni, è ovvio che a far sentire di più la sua influenza sulla politica sono quelli che gestiscono queste grosse istituzioni. Sarebbe così anche con la riforma dei finanziamenti elettorali, presentate dai liberal come una panacea, perché il fattore principale in politica non è il denaro ma la supponenza di queste Persone Molto Serie che fanno politiche (che la gente come loro prende automaticamente per consigli seri) su ciò che è normale e naturale.
È inevitabile quella che Robert Michels chiamava la Dura Legge dell’Oligarchia: il fatto che, a prescindere dalla democraticità di un’istituzione, il potere tenda ad accumularsi nelle mani degli agenti e dei rappresentanti a spese dei titolari e dei rappresentati. È difficile trovare, anche in una comunità di poco più di qualche decina di migliaia di abitanti, un’amministrazione il cui programma non sia dettato quasi interamente da imprenditori edili, camera di commercio e amministrazione scolastica pubblica. Di fatto, molte “riforme” chiave delle amministrazioni cittadine promosse dai “progressisti” un secolo fa (circoscrizioni elettorali più grandi, rappresentanze generiche, governo locale diretto da un amministratore, elezione di indipendenti) miravano espressamente a ridurre l’influenza dei lavoratori ordinari e dei piccoli imprenditori sui governi locali per consegnare il potere a professionisti “competenti” della classe medio-alta.
In poche parole, quel genere di democrazia di cui parla Barney Frank non è solo una falsa rappresentazione della realtà americana. È del tutto impossibile. Gli stati nascono come comitati esecutivi della classe di potere, sono stati creati per servire gli interessi delle élite economiche imponendo scarsità artificiale, diritti di proprietà artificiali e monopoli che servono ad estrarre rendita da tutti noi. Aspettarsi qualcosa di diverso è come aspettarsi che un maiale voli.