Ignoranza Razionale, Distorsione Cognitiva e Anarchia

Kevin Carson. Originale: Rational Ignorance, Cognitive Distortion, and Anarchism, del 24 maggio 2025. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

Secondo la teoria della scelta pubblica, si parla di “ignoranza razionale” quando il costo di informarsi su un argomento non vale il potenziale beneficio che darebbe tale conoscenza; in particolare, quando tale costo prevale sulla possibilità che il proprio voto influenzi un risultato elettorale o sulla possibilità di influenzare le scelte fatte da un politico. Il che ha un senso: le persone preferiscono dedicare tempo e energie, che sono limitate, alla cura di ciò che gli è più vicino, ovvero la famiglia, il lavoro, gli amici o i vicini di casa, più che ai lidi remoti della politica.

Il problema è che chi decide di ignorare qualcosa non necessariamente rinuncia a formarsi un’opinione al proposito. Se comprensibilmente si presta poca attenzione alle questioni sociali o politiche, è però vero che spesso sulla base di queste scarse informazioni ci si fanno opinioni forti su questioni nazionali. Da qui la prevalenza di opinioni fortemente negative, bigotte, su LGBT, persone di colore o immigrati.

La cosa mi è tornata alla mente oggi durante uno scambio di messaggi con un’amica. Che a proposito del suo superiore diceva:

È un uomo tarato, abbiamo opinioni diametralmente opposte, ma non ne parliamo e poi lui è cortese con me. In cambio, io gli ricordo quando deve bere l’acqua. È il massimo che posso fare per uno sporco fan di Trump.

Ho voluto essere ottimista notando che certe persone sono migliori delle loro idee. E lei ha risposto:

Ciò che mi confonde è l’aspetto psicologico… Queste persone correrebbero in soccorso di chiunque durante un alluvione, con le camionette e gli stivali. Una volta passato l’allarme, però, ricomincia l’odio.

Sembra strano ma spesso certe persone, nel rapporto diretto con persone di categorie emarginate, agiscono in modi che contraddicono le opinioni che si son fatte su quelle stesse categorie sulla base di ideologie e posizioni politiche.

Prendiamo ad esempio le espressioni imbarazzate di chi ha votato per Trump, perché prometteva di espellere gli immigrati senza documenti, quando hanno visto in faccia le vittime di quella politica.

O i 29 tiratori franchi repubblicani che hanno votato contro un disegno di legge anti-trans nel parlamento del Montana dopo aver ascoltato le parole commoventi di due deputati trans. Un anziano, non ricordo più la fonte, chiamato a parlare a favore della proposta, si è scusato dicendo di aver cambiato opinione e ha annunciato il voto contrario dopo aver appreso certe cose prima di entrare in aula. Molti sono detestabili anche in presenza; ma molti di più sono quelli che, pur nutrendo in astratto idee cariche d’odio verso intere categorie, diventano rispettosi quando hanno a che fare con qualcuno di loro direttamente.

Perché? Io credo che, essendo noi scimmie che si sono evolute in un ambiente in cui gran parte delle interazioni e delle scelte riguardavano piccoli gruppi di qualche dozzina di persone, non siamo in grado di far fronte a una molteplicità di questioni su scala continentale o mondiale sulla base di realtà simbolicamente mediate che ci giungono da un sistema di comunicazione globale. Gli esseri umani subiscono gli effetti di paraocchi cognitivi e distorsioni, tanto più forti quanto più si è lontani dal contatto diretto. Quando la nostra percezione degli altri si basa soprattutto, non su un’esperienza diretta, quotidiana, basata sulle interazioni, ma su categorie ideologiche astratte che riceviamo di seconda mano da apparati culturali come OANN o Radio Rwanda, i risultati sono il più delle volte patologici. Ecco perché spesso c’è questo scarto enorme tra come ci si comporta nell’interazione diretta e come si vorrebbe che fossero trattate le stesse persone viste però come elementi di gruppi astratti.

In parte la ragione potrebbe essere che giudicare le persone come gruppi astratti, distanti, simbolicamente mediati comporta un costo sociale e psicologico bassissimo. Per contro, in un’interazione personale con persone escluse tale costo diventa più evidente e pesante.

Questa è una  delle ragioni per cui, da anarchico, credo che si debbano trasferire quante più funzioni e scelte riguardo la nostra vita a entità locali che abbiano un contatto quotidiano diretto, come attività e servizi pubblici autogestiti, mentre laddove serve il consenso credo che ci debba essere il massimo di democrazia diretta. Le restanti funzioni di larga scala, su aree geografiche estese, verrebbero gestite il più possibile da piattaforme permanenti il cui funzionamento è perlopiù automatico, amministrativo, non politico. Per citare Saint-Simon, “amministrazione delle cose, non governo delle persone”.

Va da sé che questo non significa che il pensiero simbolico astratto è un male. Se non ci fosse, non esisterebbero la letteratura, la musica, l’arte, la scienza, la storia e la filosofia. Il problema nasce quando le scelte avvengono sulla base di una realtà simbolicamente mediata, quando invece servirebbe il contatto diretto. Il problema nasce quando si trattano le persone in carne ed ossa secondo categorie ideologiche di seconda mano, quando le si considera semplici esemplari di quelle categorie il cui lato umano resta sconosciuto.

Vediamo persone che imparano tardi, a volte troppo tardi, a vedere esseri umani laddove prima vedevano solo entità dette “immigrati clandestini” o portatori di “ideologie di genere”. Bisognerebbe partire dal lato umano, invece.

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