Di Kevin Carson. Titolo originale: GDP: The Last Refuge of Scoundrels? dell’undici aprile 2023. Traduzione di Enrico Sanna.
Da anni i libertari di destra amano diffondere numeri sulla “popolazione mondiale che vive in povertà estrema”, per dire che la povertà diminuisce in termini relativi dal 1815, e in termini assoluti dal 1980 circa. Il problema è che la “povertà estrema” è definita in termini monetari come capacità di vivere con meno di una certa cifra al giorno. Come noto io qui e come nota Jason Hickel qui e qui, la rilevazione è, per molti versi, insufficiente, per non dire disonesta. In realtà, i grafici indicano il grado di monetizzazione forzata dell’economia mondiale, con l’eliminazione del diritto comune, presso intere popolazioni, di vivere della propria terra, popolazioni che sono state convertite in lavoratori salariati che devono guadagnare denaro per poter acquistare gli alimenti da chi vende le merci. Così Hickel:
Ciò che dicono i numeri di Roser è che il mondo è passato da una condizione in cui gran parte dell’umanità non aveva alcun bisogno di denaro ad una, quella attuale, in cui gran parte dell’umanità lotta per sopravvivere con pochissimo denaro. Il grafico fa passare questo per una diminuzione della povertà, mentre in realtà si tratta di un processo di esproprio, che ha obbligato intere popolazioni ad entrare nel sistema lavorativo capitalista, prima in Europa con le chiudende, e poi nel sud del mondo con la colonizzazione.
Hickel spiega anche come i numeri sulla povertà vengano accuratamente “manipolati” fino ad ottenere il risultato voluto. Secondo l’originaria “soglia internazionale della povertà”, adottata nel 1990, i poveri sono cresciuti da 1,2 a 1,5 miliardi tra il 1987 e il 2000. Gli economisti addomesticati della Banca Mondiale non hanno fatto altro che abbassare questo valore di soglia fino ad ottenere il risultato voluto.
Il Pil ha già un passato opinabile come falso metro di un insieme di cose mal definite, viene usato da persone che vogliono nascondere i fatti o che hanno le idee poco chiare…
…Il che ci porta a Ron Bailey. Di recente su Reason Bailey ha sostenuto che anche un aumento della temperatura fino al valore massimo stimato non sarebbe catastrofico, e questo sulla base di una analisi fatta dall’economista Richard S.J. Tol, secondo il quale i costi necessari ad evitare un aumento della temperatura globale di due gradi eccederebbero i costi causati dal riscaldamento stesso dell’uno percento del Pil:
…la messa in pratica delle politiche climatiche che mirano a mantenere, entro il 2100, le temperature sotto i due valori di soglia stabiliti a Parigi di 2 e 1,5 gradi, costerebbero rispettivamente il 3,8 e il 5,6 percento del Pil mondiale. Per contro, i benefici ricavabili starebbero tra il 2,8 e il 3,2 percento del Pil. Dunque i costi superano i benefici di una riduzione delle emissioni di gas serra al fine di tenere le temperature medie sotto la soglia stabilita negli accordi di Parigi.
Già in passato Bailey sosteneva che, calcolato in termini di Pil, il riscaldamento globale non è poi così male. Già nel 2009 citava teorie simili prendendole da Tol:
“Secondo stime disponibili, in termini di benessere le perdite indotte dai cambiamenti climatici nell’anno 2100 sono dell’ordine di qualche punto percentuale del reddito,” spiega Tol. “Cioè, un secolo di cambiamenti climatici significa perdere uno o due anni di crescita economica.
Nel 2018, Bailey, sulla base di stime riportate nel quarto rapporto sul clima, spiegava che anche se la CO2 nell’atmosfera dovesse seguire l’andamento massimo stimato, il risultato sarebbe un Pil più basso del 10 percento alla fine del secolo, e anche in tal caso (supponendo una crescita media del 3 percento annuo per tutto il periodo) alla fine saremmo svariate volte più ricchi.
Da notare che Tol, pur criticando le recenti dichiarazioni dell’IPCC (Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici) sui potenziali effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, è responsabile del FUND, il “modello di valutazione integrato” usato dallo stesso IPCC, modello che stima i costi dei cambiamenti climatici; inoltre in passato Tol ha redatto le parti sull’impatto economico di alcuni rapporti dell’IPCC. Il che significa che questa sciagurata cultura metodologica esiste anche tra i “buoni”.
Il Pil come strumento di valutazione, infatti, porta agli stessi errori dei grafici sul “calo della povertà estrema”. Per prima cosa, cerca di quantificare problemi che non sono quantificabili. Mi chiedo, ad esempio, come si possa quantificare in termini di Pil l’esperienza di centinaia di milioni di rifugiati climatici vittime dell’innalzamento del livello del mare, della desertificazione, o degli effetti della morte degli oceani, o i potenziali catastrofici effetti ambientali non lineari del riscaldamento oltre una soglia critica. In un saggio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science, Timothy Lenton e altri spiegano: “La società forse è stata indotta ad un falso senso di sicurezza da proiezioni rassicuranti sui cambiamenti globali. Sintetizzando le conoscenze attuali, sappiamo che esiste tutta una serie di elementi che, nel contesto dei cambiamenti climatici antropogenici, potrebbero raggiungere un punto critico entro la fine del secolo.”
Seconda cosa, anche supponendo che l’impatto umano sul riscaldamento globale possa essere rappresentato fedelmente in termini di Pil, il modo in cui quasi tutti gli studi lo fanno è semplicemente grottesco. L’economista dissidente Steve Keen ad esempio critica la metodologia di William Nordhaus su cui si basa Tol per stimare il costo in termini di Pil dei cambiamenti climatici. Keen cita diversi modi sbagliati di stimare i costi, come: “dire che il 90 percento circa del Pil non è influenzato dai cambiamenti climatici perché si produce al chiuso”, oppure “calcolare gli impatti futuri sulla base della relazione tra temperatura e Pil oggi…” In quest’ultimo caso, la metodologia usata da Nordhaus, come quella di gran parte della letteratura, stima le perdite economiche causate dai cambiamenti climatici sulla base della correlazione tra la variazione della temperatura media e il Pil negli Stati Uniti.
Tol, su Twitter, usa lo stesso sistema e afferma: “10° Kelvin è meno della differenza di temperatura tra l’Alaska e il Maryland (che grossomodo sono ugualmente ricche), o tra l’Iowa e la Florida (idem). Il clima non è un fattore chiave del reddito.”
Keen scarta il ragionamento definendolo “peggio di niente”, e accusa Nordhaus e Tol di “usare dati comparativi temperatura/pil attuali, che evidenziano una debole relazione non lineare, come base per calcolare gli effetti dei cambiamenti climatici. Sono sciocchezze deliranti usate come ‘assunto di base al fine di semplificare’.”
La cosa peggiora quando Tol, da perfetto pagliaccio, difende l’analisi costi-benefici in termini di Pil. Non dubito delle buone intenzioni di Bailey, che è un credulone alla buona, quanto invece a Tol, che alla base incorpora i tratti peggiori di Herman Kahn, Pangloss e Gradgrind, si tratta di un troll di prim’ordine.
Ad esempio, rispondendo a qualcuno che gli chiede “sta dicendo che un aumento della temperatura superficiale di 10°C sarebbe gestibile?” Toll risponde: “Basta stare dentro casa, come fanno i sauditi.” E quando gli fanno notare che in un mondo molto più caldo “durante un’ondata di calore si morirebbe anche semplicemente stando all’aperto, nudo e all’ombra”, la sua risposta frivola è: “Bè, è per quello che abbiamo inventato l’aria condizionata.”
Difficile credere che una persona sia così ingenua da non chiedersi, ad esempio, come farebbero a sfamarsi i sauditi senza il cibo prodotto in climi più temperati, o come farebbero gli agricoltori a lavorare all’esterno senza l’aria condizionata. Tol inoltre non considera gli effetti sistemici (e il probabile effetto che avrebbe il collasso del sistema alimentare sul suo amato Pil) dell’aumento della temperatura su, tra l’altro, la produzione di alimenti, la vita oceanica, l’intera biosfera e altro, ma c’è una persona che dice la cosa giusta sull’intera questione: “Ma come cazzo hanno fatto a mettere una persona così insensibile, così sprezzante verso il genere umano, tra i collaboratori del rapporto IPCC? E che cazzo!”
Quello che penso anch’io. E aggiungo: com’è possibile che qualcuno sia stato così ingenuo da trattarlo come fonte credibile e affidargli l’incarico di redattore scientifico?
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