Di ZH. Originale pubblicato il 20 dicembre 2021 con il titolo Process Totalitarianism. Traduzione di Enrico Sanna.
La parola totalitarismo fa pensare a un dittatore che detta il proprio volere a burocrati e prefetti, i quali poi eseguono diligentemente. Fa pensare ai nazisti, ai sovietici staliniani, o ai tanti dittatori della fantasia popolare, come l’impero di Star Wars. È questo che solitamente s’intende per totalitarismo, e forse è una forma debole e insicura perché richiede una pressione crescente per tenere a bada la popolazione. Credo che anche gli Stati Uniti siano un regime totalitario, ma in quella forma molto più stabile e sicura che è il totalitarismo processuale.
Il totalitarismo processuale non domina dall’alto ma attraverso un processo burocratico, il cui risultato è più o meno determinabile. Lo stato mette in atto processi che danno una gamma ristretta di risultati. A prescindere dal fatto che si condivida il processo o i suoi risultati, il punto è che è lo stato, e non una gestione democratica, a controllare il processo, producendo così risultati prevedibili che rafforzano il potere dello stato stesso. Come ogni organizzazione capitalista, lo stato mira soprattutto alla propria riproduzione; pensare che un processo controllato dallo stato serva a qualcosa di diverso dalla riproduzione del potere statale è un errore.
Perlopiù si tratta di cose banalissime. Vai alla motorizzazione, passi l’esame di guida, prendi la patente e legalmente puoi guidare. Il risultato del processo è più o meno determinato, puoi avere la patente, ma prima devi fare il salto mortale, che serve a legittimare l’autorità dello stato. Adesso puoi guidare.
Altri aspetti del totalitarismo processuale sono più subdoli. Prendiamo ad esempio l’istituzione di un processo penale. C’è l’istruttoria, si discutono le regole del processo, si seleziona la giuria e infine c’è il processo vero e proprio. Il processo serve a stabilire la verità, ma passa attraverso lo stato, che lo imposta in un certo modo, e il risultato è più o meno predeterminato.
Prendiamo ad esempio il processo Rittenhouse. Rittenhouse fu assolto dall’accusa di aver ucciso dei manifestanti. Prima di tutto, i giudici sapevano esattamente cosa si sarebbe detto al processo perché era venuto fuori nell’istruttoria, per cui al processo difficilmente potevano esserci sorprese. Prima ancora del processo, difesa e accusa conoscono la forza delle loro posizioni. Inoltre le regole possono essere impostate a favore della difesa o dell’accusa. In questo caso specifico, accadde che le persone uccise da Rittenhouse non potevano essere definite vittime ma erano chiamate rivoltosi. Infine c’è la giuria, impostata secondo un’ottica razziale bianca tramite la dottrina della “persona ragionevole” (vedi Milton, 2021, Bloomberg Law Review qui).
Altri processi sono invece impostati in modo da favorire l’accusa. Ad esempio con l’utilizzo regolare del patteggiamento per spingere gli accusati poveri ad accettare una condanna al carcere, anche se l’accusa è debole, semplicemente con la minaccia di una condanna più pesante. Ancora una volta, lo stato imposta il processo in modo da arrivare ad un risultato prefissato: il processo non è controllato democraticamente. Durante il caso Rittenhouse, il processo fu impostato a favore della difesa, ma la questione più importante è che è lo stato ad avere il controllo, non il popolo.
Dunque il risultato di un processo penale – che è una messinscena – è più o meno predeterminato. Questo è totalitarismo processuale: il controllo completo, totale della società da parte dello stato tramite il controllo dei processi attraverso i quali opera la società.
E questo avviene in ogni ambito. Le elezioni, ad esempio: le regole del voto vengono cambiate continuamente al fine di raggiungere un certo risultato, i distretti elettorali vengono bloccati in modo da favorire questo o quel partito. Un politico uscente ha il 95% di probabilità di essere confermato. Aggiungiamo che occorre un mucchio di soldi per candidarsi e capiamo che parlare di democrazia è a dir poco imprudente. E anche qui è lo stato che imposta il processo in modo da arrivare a risultati prefissati.
E impostando questi processi lo stato crea un velo di legittimità. Votano tutti quanti, gli avvocati fanno le loro arringhe, i giudici dirigono il processo e la giuria decide: dietro la maschera del processo democratico si nasconde il controllo statale.
Un’alternativa sarebbe la seguente. I giurati vengono eletti a caso tra le persone di un particolare ambito geoculturale; il giudice è una persona autorevole riconosciuta dalla comunità, viene eletto e svolge il suo compito part-time, e insomma è un delegato; gli accusati scelgono autonomamente il modo di difendersi; e a fare la parte dell’accusa è il ricorrente, la vittima o un suo famigliare. Non sarebbe più un processo dominato e manipolato da ufficiali dello stato, ma una questione locale, gestita in maniera di fatto paritaria. Forse in un’entità astatuale avverrebbe così o forse no, ma il fatto importante è riuscire ad immaginare un’alternativa, perché solo così possiamo vedere i processi che ci governano per quello che sono: un totalitarismo processuale.
Diamo uno sguardo alla nostra vita e vediamo come siamo sommersi da miriadi di processi che non possiamo controllare.