Di Eric Fleischmann. Originale pubblicato il 28 luglio 2020 con il titolo An Anti-Statist Beginner’s Guide to (Taxation, Public Budgets, and) Participatory Budgeting. Traduzione di Enrico Sanna.
In materia di tassazione e conseguente finanza pubblica (anche se la prima non è l’unica fonte della seconda), l’atteggiamento più drastico e evidente, diffuso tra i centristi e i libertari di destra, è la richiesta di un taglio o della loro abolizione totale. Scrive Murray Rothbard, ad esempio, che in linea di principio occorrerebbe “ridurre le tasse, o abbassando le aliquote o allargando esenzioni e deduzioni, e opponendosi ad ogni aumento delle aliquote o diminuzione delle esenzioni. Insomma, la piaga della tassazione deve essere ridotta il più possibile.” Impostato su questa base, il dialogo tra statalisti e antistatalisti tradizionali somiglia al raduno del Fronte Popolare della Giudea (da non confondere con il Fronte Popolare Giudaico) descritto in Life of Brian, di Monty Python (1979), in cui si complotta il rapimento della moglie di Pilato. Nella scena, Reg sostiene che i romani non hanno fatto altro che derubare loro, i loro padri, e i padri dei loro padri (e i padri dei padri dei padri. E i padri dei padri dei padri dei padri) e conclude: “E cosa ci hanno dato in cambio?” Al che i congiurati elencano le solite cose: acquedotti, igiene, irrigazione, medicine, salute, vino, bagni pubblici e così via. Allora Reg rivede la domanda: “ma a parte una migliore igiene, medicine, istruzione, irrigazione, sanità, strade, acquedotti, bagni e ordine pubblico, cos’hanno fatto per noi?” Pur dando poco credito a tutto l’insieme di sistemi astatuali, reali o teorici, per offrire quello che offre lo stato, il confronto riassume bene il botta e risposta meccanico a cui conduce tale posizione.
Questo non significa che l’abolizione delle tasse (o la loro necessità) non sia una buona idea o un obiettivo di lungo termine. Alderson Warm-Fork sottolinea su Libcom.org, a proposito della posizione anarchico-collettivista in materia di tasse, che, dato che le tasse sono un sistema ridistributivo, volere la ridistribuzione del reddito significa che:
1) il sistema distributivo originario era profondamente tarato, e che 2) per qualche ragione non può essere modificato. Così che occorre sovrapporre un nuovo sistema distributivo a quello originario, e per far questo occorre un qualche potere che stia fuori e al di sopra della società. Non necessariamente lo stato, ma qualcosa di tragicamente simile.
Quindi, uno degli obiettivi di una società astatuale è la creazione di condizioni socio-economiche in cui la distribuzione del reddito sia, già a monte, equa ed efficiente abbastanza da permettere alle persone di impostare la propria vita e mettere assieme le proprie risorse per finanziare attività cooperative e imprese comunitarie. Queste ultime in particolare somiglierebbero a quello che l’anarchico sette-ottocentescoJoseph A. Labadie definisce una sorta di “tassazione come quella praticata dalle chiese, i sindacati, le società di assicurazioni e tutte le associazioni volontarie”, o a quella che Colin Ward definisce “autotassazione locale”, e che ha come esempio la Tredegar Medical Aid Society del Galles Meridionale. In tal caso, cade il bisogno di un meccanismo di distribuzione secondaria rappresentato dallo stato o altro simile (a meno che non si decida altrimenti). È proprio lo scetticismo riguardo la creazione di questa sorta di “eguaglianza relativa” astatuale – “condizione necessaria della mutualità e della libertà” – a spingere l’antistatalista e aspirante anarchico James C. Scott, nel suo Two Cheers for Anarchism, a rifiutare “l’abolizione dello stato, in teoria e in pratica”. Ma prendiamo il saggio di Kevin Carson “Who Owns the Benefit? The Free Market as Full Communism”, in cui sostiene che un libero mercato privato di tutti i privilegi garantiti dallo stato condurrebbe non alla privatizzazione, ma alla socializzazione dei “benefici del progresso tecnologico” e “produrrebbe una società simile, più che alla visione anarco-capitalista di un mondo di proprietà dei fratelli Koch e Halliburton, alla società comunista dell’abbondanza immaginata da Marx.”
Ma la questione è che in materia fiscale gli antistatalisti possono assumere posizioni più sfumate. Come spiega Carlos Clemente, “gli anarchici hanno con le tasse una relazione che va al di là di una semplice proposta di eliminazione totale. Gli anarchici di mercato non credono alle ragioni dietro la riduzione delle tasse alla Bush e compagnia neoconservatrice.” Vediamo ad esempio come Kevin Carson’s usa il concetto di “libertarismo dialettico” di Chris Matthew Sciabarra a proposito di tassazione e normative. Scrive: “non ha molto senso proporre deregolamentazioni o tagli delle tasse senza tener conto del ruolo che tasse e normative hanno nella struttura generale del capitalismo di stato. Questo è particolarmente vero se pensiamo che gran parte delle proposte in fatto di ‘riforme di libero mercato’ nascono dagli stessi interessi di classe che traggono benefici dallo stato corporativo.” Sempre Carson, in “How Not to Fight the 1%”, spiega che “quelle enormi ricchezze sono accumulate grazie allo stato: lo stato dei miliardari e delle grandi aziende. Tutte quelle ricchezze provengono dalla rendita generata da posticci diritti di proprietà imposti dallo stato, dalla scarsità artificiale, i monopoli, i cartelli normativi e le barriere all’ingresso (tranne quella parte che proviene dalle sovvenzioni pagate dai contribuenti).” Pertanto contesta l’idea di tassare miliardari e aziende non perché è un “furto” di ricchezza che “appartiene a loro di diritto”, bensì perché, su una base più utilitaria, eliminare i monopoli protetti dallo stato è un modo più efficace di combattere alla base l’emergere delle grandi disparità economiche.
Ci sono però anarchici che vedono in un’estesa tassazione dei più ricchi uno strumento di breve termine per ovviare alle enormi disuguaglianze economiche del capitalismo, il che solleva la questione riguardo interessanti approcci “positivi”, che storicamente sono tanti, da parte di antistatalisti riguardo la tassazione e il bilancio pubblico. Nel saggio Disobbedienza Civile, Thoreau dice: “‘Il miglior governo è quello che non governa affatto’, e quando gli uomini saranno pronti, sarà quello il genere di governo che avranno.” Ma poi assume un atteggiamento sfumato riguardo la tassazione, mette per iscritto che non paga la tassa pro capite del Massachusetts perché contrario alla schiavitù e al suo allargamento con la guerra del Messico, mentre accetta di pagare la tassa sulle strade extraurbane perché va a beneficio dei suoi vicini; in pratica, dunque, è contrario a quelle tasse che alimentano lo stato e la sua tirannia. Atteggiamento meno cordiale ma non del tutto diverso fu quello della libertaria di destra Ayn Rand che, pur criticando fortementequalunque tassa ridistributiva, accettava senza vedere contraddizioni le scuole pubbliche, lo stato sociale, i sussidi di disoccupazione e molto altro, pur opponendosi allo statalismo. Nel suo saggio del 1966, “The Question of Scholarships”, scrive che le “vittime” delle politiche di questo genere “hanno il chiaro diritto di chiedere indietro i propri soldi; non porterebbero avanti la causa della libertà se lasciassero i loro soldi, non assegnati, a beneficio dell’amministrazione dello stato sociale.” Lei stessa ricevette contributi sociali da anziana. Molto diverso invece è il caso dell’anarchico Pëtr Kropotkin che ne La conquista del pane sostiene che il grosso delle infrastrutture e molte istituzioni generalmente mantenute con soldi pubblici – “musei, biblioteche pubbliche, scuole libere, pasti gratis per i bambini, parchi e giardini pubblici, strade pavimentate e illuminate e liberamente accessibili, acqua corrente” – fanno parte di una tendenza più ampia che porta la società verso l’anarco-comunismo.
Molti antistatalisti (compreso Carson) mostrano interesse per la filosofia economia di Henry George, che, come spiega egli stesso nella sua opera principale Progress and Poverty, ruota attorno al concetto di terra comune ma ritiene che “il proprietario di una terra non debba essere espropriato… per alimentare lo stato con le tasse. Tale terra, a prescindere da come la si è avuta, sarebbe in realtà proprietà comune per il bene di ogni membro della comunità”, per cui, conclude, occorre abolire “tutte le tasse tranne quelle sulla rendita fondiaria.” Tra gli antistatalisti sostenitori di George, il famoso scrittore e anarchico cristiano Lev Tolstojche in vecchiaia scrisse: “La gente non polemizza con gli insegnamenti di George; semplicemente non li conosce. Dev’essere così perché chi li conosce non può che concordare.” Qualcuno direbbe che ciò dimostra l’allontanamento di Tolstoj dall’anarchismo, ma poi vediamo come nel romanzo Risurrezione (1899) esplora la questione del governo locale, opposto allo stato egemonico, come sistema atto a dirottare la rendita della terra verso il bene comune.
Ho illustrato la complessità e le sfumature dell’approccio antistatalista alla tassazione e alle finanze pubbliche come contesto preliminare all’argomento “bilancio partecipato” (BP). Con tale processo i cittadini – generalmente tramite l’amministrazione locale – decidono democraticamente sulla ripartizione del bilancio pubblico. I primi tentativi risalgono al Movimento Democratico Brasiliano sotto la dittatura militare, anche se, come spiega Steve Rushton, fu il Partito dei Lavoratori Brasiliani negli anni ottanta a sviluppare l’idea e farne un trampolino di lancio che dal successo elettorale portasse a forme più radicali di democrazia partecipata. Il primo esempio di successo lo troviamo nel 1989 a Porto Alegre, capitale dello stato di Rio Grande do Sul. Il modello fu presto adottato dalla città di Belo Horizonte nel 1992, e quindi da circa metà delle principali città brasiliane. Come spiega Rushton, in Brasile annualmente la città presenta il budget dell’anno prima, che i cittadini discutono negli incontri di quartiere, dove si fanno proposte e si decide sulla spesa. Queste assemblee a loro volta eleggono dei consiglieri che discutono e affinano ulteriormente ciò che le assemblee hanno proposto e discusso; la decisione finale spetta ai delegati eletti dai residenti.
L’impatto positivo di questo sistema parla da solo: un rapporto della Banca Mondiale, riferendosi in particolare all’iniziativa di Porto Alegre, parla di 27.000 persone che hanno ottenuto un alloggio nel 1989, rete idrica e fognaria che passa dal 75% al 98% nel periodo 1988-97, scuole quadruplicate a partire dal 1986 e finanziamenti per scuola e sanità che passano dal 13% al 40% nel periodo 1985-96. Chiariamo: non è tutto il bilancio ad essere ridistribuito e non tutti i cittadini sono coinvolti. Ma controllo e coinvolgimento crescono, tanto che il BP nel 1999 ha interessato il 21% del bilancio di Porto Alegre e metà degli investimenti locali a Belo Horizonte. La partecipazione, a tutt’ora, “non è limitata alla classe media o ai tradizionali sostenitori del Partito dei Lavoratori, ma coinvolge attivamente anche persone a basso reddito.”
Il BP si è diffuso in Europa negli anni 2000, emergendo simultaneamente in vari paesi, in particolare nel 2005 in Europa Occidentale. È stato adottato da oltre cinquanta città, tra cui Siviglia, Londra, Parigi, Roma e Berlino, oltre che Grottammare e Altidona in Italia. Anche negli Stati Uniti molte città, contee, comunità abitative, scuole e altro hanno inserito il BP tra le proprie strutture. Rushton illustra il caso della città di Greensboro, nella Carolina del Nord, che ha adottato il BP nel 2015 per investire in servizi informativi in tempo reale sui trasporti pubblici, attraversamenti pedonali, telefoni d’emergenza nei giardini pubblici e pensiline per l’attesa dell’autobus. “Il BP ha anche favorito una maggiore inclusione di comunità prima emarginate dalla lingua, l’etnia e la povertà.” In una particolare versione ha preso piede anche a New York, dove “agendo su una mappa, la popolazione può suggerire miglioramenti per i trasporti pubblici, gli alloggi e altro.” Al 2018, 3.000 amministrazioni cittadine avevano adottato una qualche forma di BP.
Data la diversità dei contesti, ovviamente, il BP ha assunto forme diverse. Hollie Russon Gilman riassume le quattro caratteristiche comuni:
1. Sedute informative: I cittadini accedono ai dati riguardanti costi e risultati dei programmi governativi.
2. Assemblee di quartiere: I cittadini plasmano le necessità di bilancio locali.
3. Delegati: Alcuni cittadini si offrono per fare da intermediari con i rappresentanti del governo locale e stendere una bozza di bilancio.
4. Voto: I residenti votano i progetti da finanziare.
Tra gli elementi importanti di questo sistema c’è la possibilità di un controllo pubblico su almeno una parte dei fondi pubblici, il fatto che “si dà ai cittadini la possibilità di accedere ad informazioni riguardanti l’amministrazione e eleggere rappresentanti”, nonché la possibilità di sviluppare “nuove relazioni con il prossimò” e acquisire “un senso più profondo della comunità e della solidarietà”.
Il BP è stato proposto anche per far fronte a situazioni e problemi particolari. Come accennato, negli Stati Uniti il fenomeno è comparso nel contesto scolastico. Come spiega il cosiddetto Participatory Budgeting Project, “scuole, distretti scolastici e college in tutto il mondo usano il BP per invogliare studenti, genitori, insegnanti e personale scolastico a fare proposte di spesa riguardo il bilancio scolastico.” Le comunità acquisiscono maggior controllo sulle loro scuole. Come spiega Agustin B. del Phoenix Union High School District, si tratta di dare agli studenti un maggiore senso di partecipazione. Non sono un esperto, ma mi pare psicologicamente plausibile che la possibilità di influire sulle istituzioni di cui si fa parte dia un grande senso di libertà e soddisfazione; questo vale probabilmente per gli studenti di oggi, che talvolta si sentono come in un regime burocratico. Come spiega Emma Goldman, le scuole, “non importa se pubbliche, private o parrocchiali”, sono “per i bambini quello che per i detenuti è il carcere e per i soldati la caserma: un ambiente in cui tutto è volto a spezzare la volontà del bambino, polverizzarlo, impastarlo e trasformarlo in un essere alieno a se stesso.” Il BP non incarna l’ideale di un’istruzione veramente libertaria (nel senso tradizionale), ma certo si muove in quella direzione.
Il Participatory Budget Project propone il BP anche come strumento per affrontare l’attuale emergenza climatica. L’idea è che “l’evidente indifferenza nei confronti della questione climatica da parte di alcuni potrebbe essere generata dall’incapacità percepita di agire su un problema apparentemente intrattabile.” Il BP potrebbe quindi essere lo strumento che attira le persone verso iniziative ecologiche “(più piste ciclabili, meno spreco alimentare, ad esempio). Più coinvolgimento, insomma, piuttosto che programmi di transizione imposti dall’alto.” Ecco quindi che il BP funge anche da meccanismo per indirizzare praticamente, ispirare e mobilitare singoli e comunità verso pratiche ambientaliste più consce.
PBP ha definito il BP uno strumento importante per fronteggiare l’epidemia di covid-19.
In una pandemia, lo stato tende facilmente all’autoritarismo, e migliaia di miliardi vengono distribuiti in aiuti. È adesso che bisogna rafforzare la democrazia, per far sì che i fondi siano distribuiti equamente e democraticamente, per garantire alle comunità locali – soprattutto alle persone più emarginate e vulnerabili – una parola in quelle decisioni che riguardano loro. A livello personale, mentre si è isolati e ci si sente inermi, occorre qualcosa che dia un senso di unione e di controllo della situazione. Il BP offre entrambe le cose.
Al di là di un “neutro” beneficio utilitario, un antistatalista potrebbe essere attratto per tante ragioni: c’è più trasparenza nel governo delle cose, c’è più controllo dei cittadini sui fondi pubblici, si evitano imposizioni autoritarie dall’alto in caso di crisi. È dimostrato, inoltre, che un’opposizione totale alla tassazione non è necessariamente antistatalista, pertanto appoggiare il BP non equivale a una bestemmia. Su un piano più formalmente strategico, Carson, in “Libertarian Municipalism”, lo definisce un aspetto della “nascente economia distribuita basata sui beni comuni”, un possibile “strumento per il superamento del capitalismo”. Carson vede nel “progetto BP… una parte integrante del governo partecipato” a cui si aggiungono diverse strategie che servono alla formazione di cooperative comunitarie o basate sui beni comuni, nonché alla produzione open-source e alla governance “su tre livelli: il micro-villaggio con le sue forme di coabitazione o coproduzione, le città come unità a sé e le città federate regionalmente o globalmente”. Secondo Carson, come lui stesso ha spiegato su Mutual Exchange Radio, l’obiettivo del “nuovo municipalismo” è di “spingere i governi locali ad operare in maniera meno statuale e ad assumere un carattere più di piattaforma”, obiettivo che lui fa risalire ad “una corrente analitica più ampia” che ha le sue origini in Henri de Saint-Simon e la sua graduale eliminazione dello stato, caratteristica di ogni importante analisi socialista e anarchica, dalla dissoluzione dello stato di Pierre-Joseph Proudhon alla graduale estinzione dello stato di Marx.
Agli occhi di un antistatalista, il BP sembra seguire una strategia simile a quella di Noam Chomsky riguardo il rifacimento dello stato sociale. Chomsky scrive in Understanding Power che “l’obiettivo immediato, anche di un anarchico convinto, è la difesa di certe istituzioni dello stato, che devono essere costrette ad una partecipazione più ampia e poi dissolte in una società molto più libera.” Il BP appare quindi come ilsacro graal di un tale pensiero antistatalista perché rappresenta il cuore dello stato sociale, ed è una struttura partecipata che è non solo gestibile ma, secondo il primo Carson, rappresenta anche un passo avanti verso l’abolizione dello stato così come lo conosciamo. Nonostante problemi e limiti – qui non affrontati, ma per i quali rimando ai vari link – il BP si presenta come una politica coerente per quegli antistatalisti che vogliono un approccio differente al tema della tassazione e del bilancio pubblico.