Di T. J. Scholl. Originale pubblicato il 26 febbraio 2016 con il titolo Drug Users Do Not Require State Supervision. Traduzione di Enrico Sanna.
I centri per il consumo controllato non sono un fenomeno nuovo. Sono luoghi designati dallo stato, diffusi in Europa da oltre vent’anni, in cui i tossicodipendenti possono iniettarsi sostanze stupefacenti legalmente e sotto il controllo di personale medico. Il concetto suscitò attenzione diffusa negli Stati Uniti nel 2003, quando aprì il primissimo centro, Insite, a Vancouver. Tredici anni dopo, questo è ancora l’unico luogo in tutto il continente in cui il possesso e l’uso di sostanze ricreative controllate dal governo federale (con l’eccezione della marijuana) non è un reato punibile con il carcere. Svante Myrick, sindaco di Ithaca, cerca di cambiare la situazione con l’istituzione di un centro a New York. Purtroppo per lui, però, ai guardiani antidroga non interessa la salute dei tossicodipendenti. Per loro, l’uso della droga deve essere sradicato. Al diavolo la riduzione del danno.
Tanto per essere chiaro, l’abolizione di tutte le leggi che delimitano i termini del possesso, l’uso e la vendita di sostanze psicoattive è di importanza primaria se si vuole diffondere la libertà chimica in America. Negli Stati Uniti, il discorso attorno alle droghe è immensamente problematico; anche i sedicenti contrari alla criminalizzazione su vasta scala notano che l’antidroga è sterile. Sia i liberal democratici che i repubblicani di tendenza “libertaria”, che teoricamente sarebbero a favore di misure che permettano l’apertura di centri per il consumo controllato, citano spesso il fatto che una tattica basata sul carcere non influisce sull’uso delle droghe e sulla dipendenza. Questo è vero. Ma, e se non fosse così? E se il carcere funzionasse? Cosa direbbero questi politici cosiddetti socialmente progressisti se criminalizzare la dipendenza, rinchiudere i tossicodipendenti e rovinare famiglie dimostrasse l’efficacia della crociata antidroga?
Offrire a chi ne ha bisogno un posto in cui poter usare legalmente le droghe è indubbiamente una buona cosa, ma non dovrebbe essere necessario. Il fatto che questi centri si stiano diffondendo non significa che lo stato cambia atteggiamento davanti all’uso della droga, ma solo che cambia il modo di controllare. Quando, ad esempio, i ficcanaso dell’epoca, di orientamento politico o medico, arrivarono alla conclusione che l’abuso di oppiacei richiedeva qualcosa più dell’arresto di spacciatori e del controllo di false ricette, si optò per terapie sostitutive basate sul metadone, obbligando i tossicodipendenti consenzienti a seguire un regime farmacologico fortemente restrittivo e completamente impersonale, pensato apposta per tenere a bada le loro abitudini degenerate mentre lo stato monitorava da vicino il loro comportamento; tutto nel nome del bene collettivo. Secondo il filosofo postmoderno Michel Foucault, il trattamento psichiatrico obbligatorio è una semplice applicazione pratica dell’obbedienza, per quanto molto più sottile e dall’apparenza meno violenta. Quest’opinione particolare è illuminante in un’epoca in cui tossicodipendenti e altri disgraziati vengono privati della loro capacità d’agire e costretti ad accettare “trattamenti” disumanizzanti per non finire in galera.
La medicalizzazione della droga e della dipendenza in assenza della libertà non è altro che una dittatura clinica, e l’istituzione di centri per il consumo controllato sotto l’egida dello stato non cambia la sostanza. È un bene che si cerchi di ampliare le possibilità degli individui di fare uso delle droghe senza incorrere in criminalizzazioni, ma è anche bene non solo mettere fine alla distruttiva guerra alla droga, ma anche all’approccio paternalistico riabilitativo. Sottoporre a controllo la vita dei tossicodipendenti ricorrendo al carcere o al trattamento obbligatorio serve solo a privarli del diritto di scegliere liberamente e a stigmatizzare ulteriormente la loro esistenza. Un tossicodipendente non è né un dipendente senza speranze né un mostro degenere, e soprattutto non ha bisogno del controllo statale.