[Di Kelly Kvee. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 9 aprile 2017 con il titolo 59 Missiles Launched at Syria – How Did the U.S. Get Here? Traduzione di Enrico Sanna.]
La notte del sei aprile 2017, gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili da crociera Tomahawk sulla Siria. È stato un tentativo di lanciare rappresaglia e terrore dopo che il dittatore siriano Bashar al-Assad aveva lanciato armi chimiche contro la popolazione siriana. Azioni di guerra in Medio Oriente (e altrove) da parte degli Stati Uniti con pretese umanitarie e di diffusione della democrazia non sono una novità. La storia delle azioni militari americane in Medio Oriente è oscura e complessa, e certo non ha niente a che vedere con lo spirito umanitario o la diffusione della democrazia. Per capire cosa, e perché, è successo è bene ripassare la storia.
È opinione popolare che l’undici settembre 2001 segni l’inizio della politica estera americana in Medio Oriente. Questa opinione mette gli Stati Uniti in una buona luce: stanno solo rispondendo ad un attacco deliberato dei cattivi musulmani che “ci odiano per la nostra libertà”. La realtà è molto meno scagionatrice.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il nemico americano passò da nazismo e fascismo al comunismo, soprattutto l’Unione Sovietica. Durante gli anni che si conclusero con la caduta della Germania nazista, in Medio Oriente furono scoperti grossi giacimenti petroliferi. Di conseguenza, le due uniche superpotenze rimaste avevano interesse ad assicurarsi lì quanta più influenza e potere era possibile. La minore presenza britannica nella regione fu considerata un “vuoto di potere”, che doveva essere riempito dagli occidentali se si voleva la stabilità. Il nemico di oggi può anche chiamarsi estremismo e terrorismo islamico, ma il nome è la parte meno significativa della guerra. Lo scopo vero che sta sotto tutti gli interventi oltremare americani, soprattutto in Medio Oriente, è il potere.
Nel 1947, gli Stati Uniti aiutarono a far passare una risoluzione Onu che divideva in due stati la Palestina, stabilendo la nascita di Israele come nazione. Quest’imposizione portò alla Guerra Arabo-Israeliana, che causò 700.000 profughi palestinesi, la prima di tante crisi di rifugiati della regione pilotata dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti riuscirono comunque a istituire una maggioranza non islamica sul posto, assicurandosi un avamposto occidentale e una “causa umanitaria” per gli anni a venire. Da allora ad oggi, gli Stati Uniti hanno dato 125 miliardi di dollari in aiuti ad Israele.
Nel 1949, gli Stati Uniti appoggiarono un golpe in Siria, che bandì il governo eletto e istituì una dittatura militare. Perché? Gli Stati Uniti temevano che il debole governo favorisse il Partito Comunista Siriano. Il golpe sfociò in anni di caos politico e disordini sociali, alleviati solo nel 1970 quando Assad prese il potere. Gli Stati Uniti cambiarono strada e puntarono sul cambio di regime in altri paesi.
Nel 1953, dopo la nazionalizzazione dell’industria petrolifera inglese Anglo-Iranian, la Cia in modo simile rovesciò il governo iraniano, pure democraticamente eletto, mettendo al suo posto lo Scia che governò da dittatore spietato. Nel 1976, Amnesty International pubblicò un rapporto sullo stato dei diritti umani in Iran sotto lo Scia, denunciando l’arresto ingiustificato di opponenti politici e l’uso della tortura, della condanna a morte, e dei morti non ufficiali (ma almeno non era comunista!).
Dopo la deposizione di re Faisal II in Iraq nel 1958, gli Stati Uniti nel 1963 appoggiarono un golpe del partito di destra Ba’ath e fornirono i nominativi dei comunisti iracheni da uccidere. Il partito fu spodestato alla fine dell’anno, salvo essere rimesso in sella da un secondo golpe nel 1968. Fin da subito, alla sua guida andò Saddam Hussein, che provvide ad uccidere migliaia di membri del Partito Comunista locale. Nel 1973 (dopo la nazionalizzazione del petrolio iracheno), gli Stati Uniti spostarono l’appoggio verso i ribelli curdi, a cui fornirono armi per 16 milioni di dollari promettendo sostegno alla rivolta. L’obiettivo di fondo, però, era la destabilizzazione del paese durante una contesa di confine con l’Iran. Quando Iran e Iraq nel 1975 raggiunsero l’accordo, l’Iraq procedette a sopprimere nel sangue la rivolta e gli Stati Uniti cessarono il sostegno ai ribelli. L’idea di sostenere e poi abbandonare i curdi fu ovviamente di Henry Kissinger.
Nel 1973, un golpe nazionalista spodestò il re dell’Afganistan. Seguì immediatamente una rivoluzione che portò al potere, con il sostegno sovietico, il Partito Democratico Popolare di stampo stalinista. Per contrastare i crescenti legami tra afgani e sovietici, gli Stati Uniti finanziarono segretamente i ribelli fondamentalisti islamici Mujaheddin. L’Unione Sovietica rispose mandando l’esercito ad appoggiare il governo afgano. I ribelli spianarono la strada al dominio talebano, e i suoi campi d’addestramento (finanziati dagli Stati Uniti) diventarono poi “campi d’addestramento terroristici”. Se il governo precedente sostenuto dai sovietici era laico, questo dei Mujaheddin e talebano imponeva il regime della sharia in senso stretto. Sono stati proprio gli Stati Uniti a permettere la sharia in Afganistan.
Nel 1978 scoppiò la rivoluzione iraniana. Gli Stati Uniti fecero pressione sullo Scia affinché soffocasse la protesta con la forza, cosa che portò al massacro dei manifestanti nella piazza Jaleh di Teheran. Lo Scia fu rovesciato e sostituito con la Repubblica Islamica con a capo l’Ayatollah Khomeini. Nel 1980 l’Iraq invase l’Iran e gli Stati Uniti colsero l’occasione per indebolire i due regimi e intervenire su entrambe le parti così da estendere il conflitto; probabilmente ciò che cercano di fare ora in Siria. Durante la guerra, gli Stati Uniti appoggiarono apertamente l’Iraq, e segretamente l’Iran tramite Israele, fornendo finanziamenti e armi ad entrambi. Durante tutta la guerra, l’Iraq usò armi chimiche contro militari e civili con il sostegno americano. Queste armi erano simili a quelle che si dice siano state usate in Siria. Nel 1978, gli Stati Uniti mandarono un armata nel Golfo Persico per favorire la fornitura di armi all’Iraq. Saddam Hussein continuò ad usare armi chimiche per tutti gli anni Ottanta contro i ribelli curdi senza subire condanne internazionali.
Fu solo con la Guerra del Golfo Persico, pochi anni dopo il cessate il fuoco tra Iraq e Iran, che gli Stati Uniti condannarono l’uso di armi chimiche in Iraq, sostenendo che il mondo era stanco di attendere un’azione. La guerra coincise convenientemente con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991. Con l’indebolimento dei sovietici, gli Stati Uniti si accorsero di aver bisogno di un nuovo nemico a giustificazione della sua lunga presenza militare in Medio Oriente. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, nel 1990, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Tempesta nel Deserto. Le Nazioni Unite, spinte dagli Stati Uniti, imposero all’Iraq sanzioni pesanti, che durarono a lungo anche dopo la guerra. Queste sanzioni causarono moltissimi morti per fame e per malattie altrimenti curabili. In tutto, la Guerra del Golfo Persico uccise tra i 100.000 e i 200.000 iracheni. Il Congresso passò nel 1998 la “Iraq Liberation Act” (Legge sulla Liberazione dell’Iraq, ndt), che stabiliva che “Dovrebbe essere compito degli Stati Uniti appoggiare ogni tentativo di rimozione del regime di Saddam Hussein in Iraq.” La legge dava circa 100 milioni di dollari in aiuti ai gruppi che cercavano di rovesciare Saddam. La stessa legge fu usata nel 2002 per giustificare l’invasione dell’Iraq. Molto utile.
Gli attacchi terroristici dell’undici settembre 2001, che uccisero 3.000 persone, riportarono temporaneamente l’attenzione sull’Afganistan. Appena tre giorni dopo gli attacchi, il Congresso autorizzò, “al fine di prevenire qualunque futuro atto di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti da parte di nazioni, organizzazioni o persone ostili, l’uso di tutta la forza necessaria e appropriata contro quei paesi, organizzazioni o persone che [secondo il presidente] ospitano organizzazioni o persone responsabili, o che hanno pianificato, autorizzato, commesso o incentivato, gli attentati dell’undici settembre 2001.” Ad ottobre la Patriot Act diventò legge e iniziò il bombardamento delle installazioni militari talebane e dei campi d’addestramento terroristici, cosa che portò all’instaurazione di un regime fantoccio in Afganistan.
Nel 2002, Donald Rumsfeld, allora segretario alla difesa, diede l’incarico al neonato Office of Special Plans di trovare prove dei legami tra Saddam Hussein e al Qaeda, legami di cui gli Stati Uniti avevano un disperato bisogno. Non esisteva niente del genere, ma il più piccolo accenno alla possibilità che Saddam stesse sviluppando armi di distruzione di massa (che oggi sappiamo essere completamente falso) bastò agli Stati Uniti per lanciare un’invasione su larga scala dell’Iraq nel 2003.
Nel 2006, Abu Ayyub al Masri istituì lo Stato Islamico in Iraq (ISI) per contrastare la presenza americana e fondare uno stato teocratico fondamentalista. Nel 2011, le forze ISI si spostarono in Siria per profittare della crescente instabilità del paese. La Primavera Araba del 2011, con i suoi sollevamenti popolari in tutto il Medio Oriente, era appena giunta in Siria. A marzo 2011, le forze di sicurezza di Assad uccisero a Deraa i manifestanti che chiedevano il rilascio dei detenuti politici. Seguirono diverse proteste antiregime mentre Stati Uniti e Unione Europea appesantivano le sanzioni. Nel 2012 nacquero in Qatar la Coalizione Nazionale per la Rivoluzione Siriana e le Forze di Opposizione, subito riconosciute formalmente come rappresentanti del popolo siriano.
Gli Stati Uniti fornirono aiuti finanziari e armi all’Esercito Siriano Libero perché si opponesse ad Assad. Quelle armi, oltre alle basi costruite con soldi americani, caddero presto nelle mani dell’ISI, ora conosciuto come ISIS, lo Stato Islamico in Iraq e Siria. Nel 2013, l’Onu arrivò alla conclusione che armi chimiche erano state usate da Assad per soffocare l’opposizione. Questo quasi convinse l’allora presidente Obama a ordinare un attacco. Un attacco simile fu lanciato nel 2014, ma stavolta contro l’ISIS, dopo le sue significative conquiste territoriali nella regione. La guerra civile siriana, a sostegno americano, tra le forze di Assad, l’ISIS, e i ribelli che si oppongono ad entrambi è all’origine di una crisi che ha portato a circa 13,5 milioni di rifugiati. La guerra civile continua, e gli attacchi missilistici americani contro Assad non fanno che allargare l’incessante distruzione.
Sono più di ottantacinque anni che gli Stati Uniti orchestrano cambi di regime in Medio Oriente. Sostenendo o eliminando dittature, schiacciando o instaurando regimi democratici, l’intervento americano non ha ragioni se non la sete infinita di potere. Non importa l’identità del nemico, purché esista e sia combattuto da noi. Il governo americano è passato nel giro di una nottata dall’ISIS ad Assad sostenuta dalla Russia quale nemico della pace e della civiltà. Le atrocità commesse da Assad non devono essere sottostimate, ma è ridicolo pretendere che questi attacchi missilistici abbiano a che fare con l’opposizione su base morale alle armi chimiche. Gli Stati Uniti stanno riaccendendo la competizione con la Russia per il dominio nella regione? Stanno spostando l’attenzione dall’estremismo islamico al terrore rosso della guerra fredda? Cercano di mettere il piede in due staffe per prolungare il conflitto? O semplicemente Trump si è alzato con il piede sbagliato? Certo con il tempo sapremo la verità, ma la vicenda diventa sempre più oscura man mano che il governo americano continua con il suo disprezzo della vita umana.