[Di James C. Wilson. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 7 gennaio 2017 con il titolo Steal This Film Review: See it, Share it, Copy it!! Traduzione di Enrico Sanna.]
Se siete abbastanza interessati da leggere quanto segue, allora guardate il film. Steal This Film è disponibile gratis su Youtube e altrove su internet e dura neanche un’ora e venti minuti. Il film è stato girato da un gruppo autodefinitosi League of Noble Peers, e intende esaminare la questione dei copyright dal punto di vista di chi lo viola, ovvero i cosiddetti “pirati” e i loro complici. Il messaggio principale è che copiare non significa rubare e che le attività creative devono adattarsi ad un mondo post-scarsità digitale.
La prima parte (in origine il film era in due parti) dura circa mezz’ora e narra la storia di The Pirate Bay, il popolare sito di condivisione torrent, prima del 2006, quando è stato girato il film. Da uno a due milioni di visitatori giornalieri è la stima fatta nel film, che comprende anche interviste ai suoi fondatori Fredrik Neij (tiamo), Gottfrid Svartholm (anakata) e Peter Sunde (brokep), oltre a membri del Pirate Party svedese. Gran parte del film è girata in Svezia, dove si trova The Pirate Bay, che a maggio 2006 è stato oggetto di un raid di cui si parla ampiamente nel film. Il raid è avvenuto dopo una segnalazione al governo svedese fatta dall’associazione dei produttori cinematografici americani. Gli intervistati affermano che pochi giorni dopo il sito era nuovamente online con un traffico raddoppiato dall’attenzione ricevuta. Anche se il film non lo riconosce direttamente, questo è un eccellente esempio dell’effetto Streisand per cui un tentativo di evitare la diffusione di informazioni finisce per generare attenzione e pubblicità più di quanto non avverrebbe altrimenti. Questa è sempre una realtà importante in un’era in cui l’informazione aspira ad essere libera.
Secondo il film, molti dei timori dell’industria dello spettacolo ricordano le paure generate dall’avvento del VHS, la registrazione musicale o la pianola, cose che si pensava avrebbero mandato in pensione chi le aveva precedute. Non solo le paure si rivelarono errate, ma nacquero nuovi settori con nuovi profitti. Un fenomeno interessante, che qui potrebbe essere approfondito, si ebbe quando la musica registrata, con l’ascesa dei dischi e dei nastri, prese il posto delle esecuzioni dal vivo. L’accresciuta popolarità della musica scaricata potrebbe invertire questo sviluppo, e dobbiamo chiederci fino a che punto sarebbe un male. Secondo gli intervistati, quando i rappresentanti delle vecchie tecnologie ricorrevano alla giustizia, quest’ultima era molto più a favore dei consumatori, mentre oggi è molto più favorevole alle industrie. Richard Dreyfuss (proprio lui) ha speso la sua autorità per sostenere che le leggi riguardanti il copyright sono costrette a cambiare seguendo i tempi. Questo è il motivo guida della prima parte del film.
La seconda parte, forse la più forte, è di più ampio respiro, e pone la condivisione online in un contesto storico più vasto. Tra gli intervistati figurano Yochai Benkler della Yale Law School, il cofondatore di Reddit Aaron Swartz, e l’avvocato della Electronic Frontier Foundation Fred Von Lohmann. Si parla della diffusione della stampa con il conseguente diffondersi dei libri piratati nella Francia del diciottesimo secolo. La stampa liberò l’informazione dal controllo degli scribi e portò alla rapida diffusione di nuove idee radicali che alimentarono l’Illuminismo e le due rivoluzioni americana e francese. In precedenza, era lo stato francese a dare un diritto esclusivo di pubblicazione a persone specifiche per opere specifiche, avvantaggiando così i suoi clientes e limitando le idee in circolazione. Questo sfociò in una grossa industria editoriale illegale e che diffondeva clandestinamente opere sovversive.
Quindi si arriva al ventesimo secolo, con il dipartimento della difesa americano che sviluppa la Advanced Research Projects Agency Network (ARPANET), antesignana di internet. ARPANET aveva il compito di facilitare la condivisione di informazioni tra tutti i partecipanti alla rete, in maniera decentrata. Internet mantiene questa caratteristica, e combatterlo significa essenzialmente combattere la natura di internet, cosa disperatamente futile. Questo decentramento estremo porta all’ascesa delle reti in sostituzione dei rapporti gerarchici. Dal film si desume che questo implica un allontanamento dalla produzione fordista per avvicinarsi ad un modello produttivo snello e ad un luogo di lavoro fluido (come generalmente sostenuto dai libertari di sinistra).
Al fondo di tutto c’è l’idea che le reti permettano a più consumatori di diventare produttori, mentre cultura e divertimento si liberano dell’aspetto industriale e scompare la necessità limitante di grossi capitali. Oggi i consumatori non sono più passivi ma liberi di manipolare le opere esistenti, creandone di nuove con pochi mezzi. Il film fa l’esempio dell’attuale desolante scena musicale britannica. L’unico difetto del film è il fatto che non arrivi a mettere la questione copyright nel più ampio contesto della proprietà intellettuale. Molto di quello che dice potrebbe allargarsi fino a coprire i brevetti, i marchi commerciali e i segreti industriali, tutte cose che hanno l’inconveniente di essere monopoli garantiti dallo stato a beneficio di pochi.
L’opera offre lo spunto a questioni che, dall’uscita del film, sono cresciute d’importanza. Chi critica o è contro il copyright non dovrebbe semplicemente guardare il film, ma anche copiarlo e diffonderlo. Ironicamente, non si tratta di furto perché copiare non significa rubare.