Gli USA Premiano la Crudeltà di Israele

[Di Sheldon Richman. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 23 settembre 2016 con il titolo US Rewards Israel’s Bad Behavior. Traduzione di Enrico Sanna.]

Benjamin Netanyahu è stato forse il più anti-palestinese tra i primi ministri israeliani in una lunga serie di farabutti che si sono dedicati a cacciare i poveri palestinesi via dalle terre in cui loro e i loro antenati vivevano e lavoravano da millenni. Questa oppressione è un misto di pulizia etnica, guerra disumana contro le popolazioni della Striscia di Gaza, aggressioni, umiliazioni continue, e ampliamento illegale degli insediamenti ebraici in territori acquisiti con guerre di conquista, tutto con l’approvazione e l’incoraggiamento del governo americano fin dal 1948. Molto raramente un presidente americano ha espresso opposizione, o anche solo nervosismo, per un’azione brutale ufficiale di Israele; e anche in quei rari casi le conseguenze hanno oscillato tra il simbolico (ed effimero) e il nulla. Le richieste (di facciata) ad Israele perché abbandoni i territori palestinesi occupati (la soluzione dei due stati), come l’ultima del presidente Barack Obama, non hanno valore perché nessuno crede all’onesta del governo americano come mediatore sensibile alle ingiustizie perpetrate contro i palestinesi. (Giusto questa settimana, Obama ha ignorato i palestinesi parlando ad un incontro con Netanyahu).

Non è esagerato dire che il governo americano premia Netanyahu per la crudeltà del suo regime. “474.000 coloni ebrei, ad esempio, vivevano nei territori poco prima che Netanyahu assumesse l’incarico,” come nota Zaid Jilali su The Intercept. Alla fine del 2014, l’ultima volta che il governo israeliano ha diffuso statistiche esaurienti sulla questione, quel numero era cresciuto a circa 570.000.” E gli aiuti militari ad Israele non solo continuano, ma crescono.

I governanti israeliani non hanno alcuna intenzione di riconoscere il diritto dei palestinesi a possedere qualcosa, alla loro vita, alla libertà. Tentativi passati apparentemente concilianti, come gli Accordi di Oslo di Yitzhak Rabin, in realtà puntavano a frustrare chi proponeva che i palestinesi nei territori occupati diventassero cittadini dell’autonominato stato del Popolo Ebraico (la soluzione del singolo stato). L’altra alternativa alla soluzione dei due stati, l’apartheid formale, è giudicato politicamente inappropriato.

Oggi il governo americano continua a stare fermamente dalla parte di Israele, qualunque cosa dica la destra. Sono decenni che gli Stati Uniti danno ad Israele 3 miliardi l’anno in aiuti militari, andando spesso oltre per presunte ragioni speciali. Ora l’amministrazione Obama ha fatto un accordo per dare a Israele la cifra record di 38 miliardi di dollari in dieci anni. Non sorprende il fatto che gran parte di questi soldi vadano a beneficio del complesso militare-industriale, e presto finirà tutto nelle tasche delle aziende americane.

Ironicamente, forse Israele non è mai stato così sicuro (non che abbia mai affrontato una minaccia esistenziale). Già da tempo l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la Lega Araba, l’Iran e apparentemente anche Hamas si sono offerte di riconoscere Israele. (Nethanyahu ha alzato l’asticella chiedendo che Israele sia riconosciuto come lo stato del Popolo Ebraico). Il caos levantino serve gli interessi dello stato israeliano, ed è per questo che da tempo Netanyahu approva la proposta dei neoconservatori di minare i governi arabi aconfessionali con la prospettiva di jihadisti che prosperano nell’instabilità. Importanti rappresentanti israeliani non nascondono di preferire il settarismo violento sunnita (sì, al-Qaeda) allo sciita Iran e alla sua versione aconfessionale rappresentata dall’alleato siriano Bashar al-Assad. (Preferenza parzialmente condivisa da Obama fino a qualche tempo fa). Questo dice molto se si considera il fatto innegabile che l’Iran, dove esiste un’antica comunità ebraica che pratica liberamente la propria religione, non è affatto una minaccia per Israele. L’Iran non ambisce ad avere armi atomiche e ha firmato con l’occidente un rigoroso trattato contro l’atomica in cambio dell’eliminazione di sanzioni vecchie di decenni. Mentre Israele ha il monopolio dell’atomica in Medio Oriente e, a differenza dell’Iran, si rifiuta di firmare il Trattato di Non-Proliferazione Atomica e dunque, ancora a differenza dell’Iran, non è soggetto ad ispezioni internazionali. Per di più, email recentemente trapelate dall’ex segretario di stato Colin Powell rivelano che le 200 testate nucleari israeliane sono puntate contro l’Iran. È Israele che minaccia l’Iran, non il contrario. (Vedere quello che ho scritto sull’Iran qui).

Dunque non esistono le basi per un aiuto militare americano ad Israele, tantomeno per un incremento degli aiuti. Ma l’instabilità e l’invenzione di una minaccia iraniana sono utili alle potenze perché più il Medio Oriente appare pericoloso, e più è probabile che gli americani perdonino Israele per la disumanizzazione inflitta giornalmente ai palestinesi.

Certo Israele resta al centro della politica americana, con democratici e repubblicani che gareggiano a chi è più ossequiosamente fedele al (cosiddetto) Stato Ebraico. (Sionismo è nazionalismo mascherato da giudaismo). I repubblicani, Donald Trump in testa (il suo discorso all’AIPAC tiene testa ai sionisti più fanatici), bollano Obama come il presidente più antiisraeliano di sempre; cosa che, come si vede, è un’assurda bugia. Così non sorprende la promessa dei senatori repubblicani di aumentare gli aiuti a Israele oltre i livelli record. (A proposito delle tipiche lamentele riguardo nuovi pacchetti di aiuti, vedere qui). Intanto un grosso gruppo di senatori democratici, tra cui Elizabeth Warren e l’aspirante vice di Hillary Clinton, Tim Kaine, assieme ai repubblicani (88 senatori in tutto) ha firmato una lettera pubblicata dall’AIPAC, la principale lobby di Israele, in cui si chiede a Obama di apporre il veto su qualunque risoluzione “unilaterale” del Consiglio di Sicurezza dell’ONU riguardante “gli insediamenti o questioni sullo status di Gerusalemme”. Secondo la lettera, tali risoluzioni “renderebbero più difficile la risoluzione del conflitto per israeliani e palestinesi”, ma è una finta preoccupazione perché Israele ha ripetutamente affondato i negoziati sostenendo con insistenza di avere il diritto di continuare a prendere per sé proprio i territori palestinesi che dovrebbero rappresentare il soggetto dei negoziati. Secondo Haaretz, la lettera dei senatori è stata “scritta e promossa” dall’AIPAC, “apparentemente su iniziativa dell’Ufficio del Primo Ministro a Gerusalemme e dell’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer.” Israele e la sua lobby negli Stati Uniti temono che dopo le elezioni Obama possa chiedere al Consiglio di Sicurezza una risoluzione sulla questione Israele-Palestina.

L’appoggio che l’élite di governo americana offre a Israele è guidato da interessi politici ed economici, oltre che da considerazioni di ordine elettorale e finanziario. Ma non si concilia né con la libertà e la sicurezza degli americani (sempre più ebrei americani non si identificano con Israele) né con la causa della pace e la giustizia mondiale.

Letture consigliate:

Jeremy R. Hammond, Obstacle to Peace: The US Role in the Israeli-Palestinian Conflict

Jeremy R. Hammond, The Rejection of Palestinian Self-Determination

Jeremy R. Hammond, The Myth of the U.N. Creation of Israel

David Hirst, The Gun and the Olive Branch: The Roots of Violence in the Middle East

Ilan Pappe, Ethnic Cleansing in Palestine

Sheldon Richman, “On Israel’s ‘Right to Exist’”

Sheldon Richman, “‘Ancient History’: U.S. Conduct in the Middle East Since World War II and the Folly of Intervention”

Shlomo Sand, The Invention of the Jewish People

Shlomo Sand, The Invention of the Land of Israel: From Holy Land to Homeland

Per un tentativo (fallito, a mio parere) di giustificazione libertaria della fondazione dello stato di Israele, vedere: Walter Block, Alan G. Futerman, and Rafi Farber, “The Legal Status of the State of Israel: A Libertarian Approach”

Per una critica al succitato saggio, vedere: Jeremy R. Hammond, “Top Ten Things That Piss Me Off About Anti-Palestinian Libertarians”; “On Libertarianism and the Jews’ 2,000 Year Old Claim to Palestine”; e “On Libertarianism and Land Ownership in Historic Palestine”

Per una critica di Farber da parte di Hammond sul Tom Woods Show, ascoltate qui.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory