[Di Logan Glitterbomb. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 12 settembre 2016 con il titolo Fight Hate, Paint Back! Traduzione di Enrico Sanna.]
Ogni proibizionismo, per quanto ragionevole, ha il suo mercato nero, e ogni stato, per quanto autoritario, è incapace di vietare completamente alcunché. Così, quando un genitore berlinese ha visto delle svastiche, vietate dalle leggi tedesche, in un campo di gioco per bambini, ha capito che era meglio agire da sé.
Mettendo due bombolette di vernice spray sulla cassa di un vicino negozio di bricolage, questo genitore ha rivelato le sue intenzioni al cassiere. Quest’ultimo, pur ammirando la determinazione dell’uomo, ha capito che non si trattava di un artista e gli ha offerto una mano. È stato così che il cassiere, assieme alla NGO The Cultural Inheritance, hanno lanciato #PaintBack, un progetto che mira a trasformare le svastiche in qualcosa di artistico e avulso da sentimenti di odio.
Come dicevo, le leggi tedesche vietano tassativamente tutto ciò che ha a che fare con il Nazionalsocialismo: partiti, propaganda, slogan, saluti, simbologie. Ma nonostante i tentativi di denazificare la Germania dopo la seconda guerra mondiale, da quando sono in vigore queste leggi le attività neonaziste esistono ancora, e sono anche riuscite a conquistare una rappresentanza politica. Come tutti i proibizionismi, queste leggi falliscono perché considerare fuorilegge certe attività serve solo a costringere certe persone a cambiare tattica, mentre la legge viene usata contro persone che non fanno nulla di male. È già successo che degli antifascisti siano finiti nel mirino della legge per aver usato la svastica a fini antinazisti. Per questo la legge è stata modificata così che “non si applica se il mezzo propagandistico serve al progresso civile, punta a prevenire fini incostituzionali, promuovere l’arte, la scienza, la ricerca o l’insegnamento, riportare eventi storici attuali o altro simile.”
Quanto ai graffiti fascisti, la legge ha la stessa efficacia che ha contro i graffiti in generale. La maggior parte dei graffitari sta bene attenta ad evitare la polizia, e rintracciarli a fatto compiuto è impossibile in assenza di testimoni. Cosa fare, allora, per far capire che la comunità non vuole queste espressioni di odio? Bè, escludendo l’ovvietà del confronto diretto con queste persone, si può evitare che diffondano la loro propaganda.
Trasformando questi simboli bigotti in fiori, bestiole, finestre e altre belle immagini, si dimostra che si possono affrontare i simboli dell’odio senza ricorrere allo stato e la sua gang personale conosciuta come polizia. Con questa reazione pacifica i cittadini possono combattere l’odio con la creatività, abbellendo la città e coinvolgendo quei giovani del quartiere che hanno realizzato molta dell’arte di PaintBack.
“I ragazzi immaginano le cose diversamente. Per loro, la svastica è solo un simbolo,” dice Ibo Omari, il cassiere da cui è nata l’idea. “Non l’associano al razzismo o al nazismo. Tendono a camuffarla molto meglio di un adulto ed è per questo che la maggior parte delle opere vengono dai ragazzi.”
Chi poteva immaginare che la lotta contro l’odio potesse diventare un progetto artistico che coinvolgesse i ragazzi del posto? Questa è solo una delle tante idee creative che possono venire quando si sceglie di risolvere i problemi senza invocare lo stato.