Considerato che quel poco di libertà di cui ancora godiamo in occidente deriva in gran parte da istituzioni legali in concorrenza tra loro che operavano entro di giurisdizioni sovrapposte secoli fa, è curioso il fatto che tanti libertari pensino ancora che un tale ordine, caratteristica essenziale dell’anarchismo basato sul libero mercato o sul diritto naturale, sia nemico della libertà. Perché ciò che ha prodotto libertà non può garantire il suo mantenimento?
Ovviamente, dire che la concorrenza ha prodotto libertà non significa che la libertà era l’obiettivo. Eppure la libertà emerse comunque, come per via di una “mano invisibile”. È così che spesso vanno le cose. Le conseguenze, buone o cattive, sono il risultato dell’azione umana ma non delle intenzioni umane (tanto per usare un’espressione cara a F. A. Hayek, presa in prestito dall’illuminista scozzese Adam Ferguson).
Dovremmo essere contenti di sapere che qualcosa di meraviglioso come la libertà può emergere involontariamente. Il fatto dovrebbe farci sperare per il futuro; anche con un movimento libertario è debole, non dobbiamo pensare che la libertà sia senza speranze. (Sulla libertà come conseguenza inattesa nel contesto della Magna Carta parlo più diffusamente qui).
Molti autori a partire dal diciottesimo secolo hanno scritto dei buoni risultati, non intenzionali, prodotti dalla competizione, ovvero in assenza di un controllo centrale. Notano come le rivalità tra chiesa e stato, tra nobili e parlamento e corona, e tra stati nazione, hanno prodotto spazi di libertà che, anche se ridotti, durano ancora oggi. La concorrenza tra istituti legali (tribunali e corpus giuridico) entro giurisdizioni sovrapposte ebbe un ruolo determinante in questo plurisecolare e benefico processo. Certo non è anarchia: lo stato esisteva eccome. Ma regimi legali sovrapposti in concorrenza tra loro sono un elemento dell’anarchia di mercato. Dunque, laddove con lo stato esisteva un ordine legale policentrico, possiamo dire, citando Bryan Caplan, che esisteva uno stato “meno che minimo”; ovvero qualcosa di ancora più limitato del guardiano notturno tanto caro ai libertari sostenitori di uno stato minimo.
Se si vuole leggere qualcosa di interessante riguardo la competizione in questioni legali e nelle risoluzione dei contenziosi, un buon punto è l’articolo, facilmente accessibile, “The Rise and Fall of Efficiency in the Common Law: A Supply-Side Analysis”, scritto per la Northwestern University Law Review da Todd J. Zywicki. Una caratteristica importante che “influenzò l’evoluzione del diritto comune,” scrive Zywicki, “era l’ordine legale competitivo, o ‘policentrico’, entro cui si sviluppò questo diritto. A quell’epoca esistevano numerosi tribunali inglesi le cui giurisdizioni si sovrapponevano in gran parte degli ambiti del diritto comune. Risultato: le parti in causa potevano optare tra tribunali diversi. Questo, a sua volta, metteva i tribunali in concorrenza tra loro per attirare i clienti.”
L’idea che un tribunale competa per “attirare clienti” oggi suona strana, ma era un fatto comune prima del ventesimo secolo. (L’estensione dell’arbitrato privato nell’ambito del commercio internazionale è largamente sottovalutato). Il saggio di Zywicki dimostra come il diritto comune, tra le cui caratteristiche c’era questa competizione, era considerato efficiente da chi se ne serviva. Il monopolio è inefficiente anche (o soprattutto) in materia di sicurezza, risoluzione delle controversie e giustizia. E, come spiega Hayek in Law, Legislation, and Liberty (I volume), è errato ritenere il governo fonte del diritto.
L’allontanamento dalla competizione e dal diritto comune, dunque, non può essere spiegato in termini di servizi scadenti offerti ai consumatori. Semmai è l’ambizione politica a spiegare meglio questo allontanamento. (Per quanto riguarda il diritto penale, vedere qui).
Zywicki trae lo spunto dallo storico del diritto Harold Berman, che scrive: “La caratteristica forse più distintiva della tradizione legale occidentale è la coesistenza nella stessa comunità, in concorrenza tra loro, di diversi sistemi di diritto.”
Il filosofo del diritto Lon L. Fuller va oltre: “Una possibile obiezione all’idea di diritto esposta qui è il fatto che permette l’esistenza di più di un sistema legale sulla stessa popolazione. La risposta, ovviamente, è che sistemi multipli esistono tuttora, e in passato erano più diffusi dei sistemi unitari.” (Enfasi aggiunta).
I minarchisti che insistono a dire che un’anarchia di mercato non può funzionare perché manca un tribunale monopolistico di ultima istanza sono come il finto studioso di aerodinamica che calcola che il bombo non può volare. Basta puntare un dito fuori dalla finestra e dire: “Guarda!” Parimenti, ad un anarchico basta puntare il dito verso la storia.
Ancora Berman (citato da Zywicki): “La stessa persona poteva essere soggetta ad un tribunale ecclesiastico per qualcosa, quello di corte per un altra, quello feudale per una terza, e poi quello distrettuale, quello cittadino, [e] quello mercantile.” Detto così, non sembra che i tribunali siano veramente in concorrenza, ma che costituiscano una forma di specializzazione e di divisione del lavoro. Ma così non è. Per capirci meglio, ci rivolgiamo ad un acuto osservatore contemporaneo: Adam Smith. Ne La Ricchezza delle Nazioni, Smith nota che nonostante una divisione de iure del lavoro, i tribunali sono in concorrenza tra loro al punto da cercare di attirare clienti alla maniera dei commercianti. Perché? Perché i tribunali derivano i propri introiti dalle parcelle pagate dalle parti in causa. Più erano i casi e più il tribunale guadagnava; qualcosa che Smith, che certo non era anarchico, approvava: “Un servizio pubblico migliora quando viene fornito su richiesta e dietro onorario, e quando l’onorario è proporzionale alla qualità del servizio offerto.”
Smith descrive così l’ambiente legale dei suoi tempi:
“Pare che in origine gli onorari fossero l’unica fonte di finanziamento dei vari tribunali inglesi. Ogni tribunale cercava di avocare a sé quante più cause poteva, e per questo era pronto ad accollarsi un gran numero di cause che in origine non avrebbero dovuto ricadere sotto la sua giurisdizione. Il tribunale del re, istituito solo per le cause penali, prese ad occuparsi anche di quelle civili: infatti, capitava che il ricorrente si lamentasse dicendo che il suo convenuto, di cui era insoddisfatto, aveva compiuto una qualche infrazione. Il tribunale erariale, istituito solo per l’esazione delle tasse del re e per il pagamento dei debiti dovuti alla corona, avocò a sé anche tutte le altre cause debitorie: in questo caso il ricorrente si lamentava di non poter pagare la corona in quanto a sua volta non riusciva ad ottenere il pagamento del debito. Come conseguenza di questi finzioni accadeva, in molti casi, che le parti in causa decidessero a quale tribunale ricorrere; e ogni tribunale cercava di attirare a sé il più gran numero possibile di cause offrendo servizi imparziali e rapidi. I tribunali sono arrivati all’attuale forma forse ad imitazione del rapporto che anticamente esisteva tra i rispettivi giudici: ogni giudice, infatti, cercava di offrire nel suo tribunale un servizio il più possibile efficace e rapido per ogni genere di causa.” (Enfasi aggiunte).
Zywicki cita anche Lectures on Jurisprudence, sempre di Smith: “Altra cosa che andava a vantaggio della libertà e migliorava le procedure era la rivalità esistente tra tribunali.” Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che lo stato forniva lo sfondo adatto a questo ordine legale competitivo, così che un tribunale di ultima istanza era sempre disponibile. Ma l’obiezione si indebolisce se si tiene conto, come insegna Edward Stringham, del fatto che queste procedure per la risoluzione di contenziosi nacquero in ambiti da cui gli stati stavano fuori, come il nascente mercato azionario. (Per maggiori informazioni sulla debolezza della “ombra dello stato”, vedere qui).
“In breve,” conclude Zywicki, “emerse un mercato di servizi legali, con numerosi tribunali in competizione tra loro al fine di incrementare gli introiti. Questo processo competitivo generò regole che soddisfacevano le richieste dei consumatori (o parti in causa) in fatto di equità, coerenza e ragionevolezza.”
Il bombo può volare, e può nascere un sistema giudiziario che favorisca una libertà ragionevole, anche in assenza dello stato; checché ne dicano gli eremiti della teoria.
Pubblicato anche su Free Association.