Di Emmi Bevensee. Originale pubblicato il 18 settembre 2017 con il titolo Restorative Justice and Sexual Violence Accountability. Traduzione di Enrico Sanna.
Noi anarchici siamo fortemente contrari al sistema carcerario e alle logiche punitive dello stato. Per questo cerchiamo alternative, puntiamo ad un processo di accertamento della colpa che metta al centro comunità e vittima, e che miri al ravvedimento del criminale e al risarcimento del danno. La giustizia riparatrice affronta la questione puntando alla riparazione del danno piuttosto che alla rimozione fisica o alla punizione di qualcuno. La mediazione trasformativa (MR) è quella grande lente strutturale che dovrebbe accompagnare il processo riparatorio nel tentativo di cambiare le condizioni che alimentano il ciclo di emarginazione, violenza e trauma, senza però dimenticare la responsabilità personale dell’aggressore. La mediazione trasformativa cerca di diffondere la cultura della riparazione, opposta alla giustizia punitiva, andando oltre i casi individuali.
Giustizia Riparatrice e Violenza Sessuale
In realtà, molte, forse la maggior parte, delle questioni interpersonali trattate nelle comunità anarchiste hanno a che fare con casi di violenza sessuale talvolta molto intricati. Questi casi portano spesso alla dissoluzione totale o alla rottura di reti di attivisti, a causa della ripetizione del trauma da parte della vittima e una sostanziale immutabilità da parte del responsabile. Quando la giustizia riparatrice, per tante ragioni, non funziona, o non funziona come dovrebbe, le comunità anarchiste spesso ricorrono, a malincuore e talvolta con spirito vendicativo, ad un insieme di atteggiamenti che vanno dalla dissociazione all’espulsione violenta. Alla violenza sessuale si accompagna spesso la violenza di stato, quando molti stupratori e misogini diventano delatori. Vista la complessità della trama, è importante accostarsi al processo di responsabilizzazione con un po’ di umiltà: nonostante l’urgenza di creare alternative funzionali al sistema punitivo razzista di stato, ancora non possediamo procedure perfette.
Ci sono precedenti significativi di giustizia riparatrice in casi di violenza sessuale. Si tratta però di una pratica difficile rispetto a tante altre, richiede un’intrinseca collaborazione da parte della vittima e, in genere, non funziona in caso di violenze su minori. Si possono anche usare vittime surrogate in processi riparatori per abusi contro minori o adulti. In questi casi, la difficoltà del “confronto vittima aggressore” tra adulti è che le dinamiche relazionali che hanno portato alla violenza sessuale possono essere ricostruite in forma sub-verbale, intelligibile alla vittima ma non ai complici del reo. Ci sono casi di violenza contro minori in cui la giustizia riparatrice funziona, ma sono casi molto complessi perché la persona spesso regredisce facilmente a ruoli di dominio infantile. Con vittime surrogate cambiano solitamente anche i segnali esteriori, non si riesce a far scattare altrettanto facilmente il sottile processo di dominio e manipolazione. Ma come nel caso di processi riparatori tra adulti, sia le vittime surrogate che i colpevoli prima del confronto sono sottoposti ad un intenso processo preparatorio che serve ad evitare che la persona che ha commesso l’atto violento ricrei il trauma nella mente della vittima. Generalmente si ritiene più appropriato l’uso della vera vittima e del vero aggressore, laddove si può. La giustizia riparatrice ruota attorno alla vittima, che riconosce profondamente sia il trauma che gli eventi che hanno portato l’aggressore ad agire.
La giustizia riparatrice riconosce che il reato non avviene nel vuoto, e che pertanto può essere affrontato solo entro la rete delle persone coinvolte. È per questo che in Nuova Zelanda il modello basato sull’incontro tra gruppi famigliari ha praticamente preso il posto del sistema giudiziario minorile. Qualche esempio di riparazione del danno: il reo deve capire a fondo l’entità del danno che ha causato alla vittima e alla comunità, risarcire il mancato guadagno (giornate lavorative perse, ad esempio) o i costi (come le terapie) risultanti dal danno, lavorare per supplire ad eventuali disabilità causate dalle proprie azioni (questo dipende dalla relazione del singolo processo), la comunità può imporgli restrizioni alla circolazione, attività di volontariato in un’organizzazione contro la violenza sessuale al fine di sviluppare empatia, eccetera. Questi esempi fanno capire come sia il danno che il processo riparatore sono ad un tempo collettivi e individuali.
Giustizia Riparatrice e Abusi Seriali
Il processo riparatore tendenzialmente non funziona con criminali seriali privi di senso di colpa, soprattutto con chi ha forti tendenze sociopatiche. Esiste una categoria di persone che riesce a ingannare il processo e riprendere il comportamento iniziale dopo aver guadagnato un minimo di fiducia o esser tornati nell’ombra. Non sono tutti, ma esiste una categoria ben definita per cui lo schema si ripete. Il processo che serve ad individuare la posizione di una persona è delicato e mutevole ma di importanza essenziale. Tutti noi, chi più e chi meno, tendiamo a negare o evadere la questione, o anche ad imporre la nostra versione. È la reazione di chi tenta di giustificare i propri impulsi oscuri, di spiegare le forze che lo hanno spinto, ed è ciò che contraddistingue chi ha commesso violenza sessuale.
Altra cosa difficile da appurare è fino a che punto la violenza sessuale è stata la conseguenza di un cedimento dovuto ad ignoranza, ebbrezza, incomprensione o simili. Sono cose che succedono e sono sempre un male e possono talvolta portare a violenza sessuale, ma tutto cambia quando l’atto si ripete (c’è uno schema) ed è associato a consapevolezza (è intenzionale). Purtroppo, il processo di accertamento della colpa in ambito anarchista spesso confonde le due cose, e c’è una ragione visto che ci sono persone appartenenti alla seconda categoria che si nascondono dietro la prima. Per quanto sia impossibile mettere alla luce le motivazioni vere, cercare di capire quanto l’atto sia intenzionale è importante per determinare il piano d’azione.
Politica Identitaria e Giustizia Trasformativa
La giustizia riparatrice del sistema giudiziario in genere, così come le analisi che ne derivano, non riconosce il ruolo della violenza strutturale nel generare criminali. Date le condizioni strutturali, i liberal sono spesso troppo permissivi. Similmente, il grosso del movimento per una giustizia riparatrice, ancorato com’è alla contingenza, ha un incentivo strategico a non prendere tanto in considerazione aspetti come il razzismo strutturale, il trauma, e il modo di afrontare la neurodiversità di fronte al complesso industriale carcerario. È sbagliato riconoscere la legittimità di ragionamenti basati sull’identità, ma non possiamo non riconoscere che nella violenza esistono sia fattori strutturali legati alla politica identitaria quanto ripetizioni cicliche di trauma e abuso. Con ciò, però, un anarchico dovrebbe immediatamente e coerentemente riportare la questione dell’autonomia al centro di un campo di scelte determinate da molte variabili complesse.
Le questioni riguardanti la politica identitaria sono ulteriormente complicate dal fatto che in certe comunità estreme si cerca di controbilanciare la violenza strutturale razzista creando, almeno in parte, bolle in cui agli emarginati è garantita una relativa sicurezza e diritti. Ma questo rappresenta un’occasione unica per i criminali seriali, che qui possono creare e mantenere un guscio di capitale sociale che permette loro di evitare il controllo e la responsabilità. In alcuni casi, la persona può utilizzare il suo capitale sociale per obbligare altri a compiere atti sessuali e poi mettere a tacere le accuse. Ovviamente questi opportunisti sono una minoranza entro una minoranza, ma, soprattutto in ambienti estremi, il problema rispunta con una certa regolarità e, come tale, deve essere riconosciuto senza indugi. L’emarginazione non giustifica mai l’abuso. Inutile ricordare che gran parte della violenza sessuale avviene attraverso assi di potere e dominio ed è veicolata da misoginia, razzismo, transfobia e simili. Dunque, mentre cerchiamo di capire perché qualcuno fa qualcosa dobbiamo pur sempre essere in grado di riconoscere la violenza anche quando sta nell’ombra.
Violenza e Prevenzione
Su come evitare il male si è scritto tantissimo, molto oltre gli scopi di questo saggio. Bisogna capire, però, che la prevenzione è il corollario del processo proprio della giustizia riparatrice e di quella trasformativa. Questo per un anarchico è sempre stato un osso duro. Ad esempio, uno stupratore seriale dovrebbe essere punito impietosamente, o facendo così si ricrea il ciclo della violenza? Fino a che punto la giustizia punitiva e la vendetta fanno da deterrente? Come, e fino a che punto, è possibile determinare la sincerità di una persona che ammette la colpa? Cosa facciamo quando ci accorgiamo che emarginare, isolare un colpevole non fa che alimentare il suo vittimismo paranoide? E quando puniamo, come facciamo a sapere quando la punizione è abbastanza? Sappiamo di casi in cui un violento stupratore seriale se l’è cavata a buon mercato per qualche ragione senza dover fare un serio esame di coscienza, ma ci sono anche casi in cui un (pur dannoso) cedimento del consenso si è trasformato in un’implosione della rete, e chi ha sbagliato è stato punito con la solita violenza, a noi nota, propria dello stato e dei nostri nemici. La linea di demarcazione è sottile e ingannevole. Ci confondiamo facilmente. Ma gli ideali di 1) risarcimento del danno e 2) prevenzione, contengono diversi punti a cui possiamo riferirci per far sì che il nostro processo di responsabilizzazione risponda a principi etici e funzioni effettivamente.
Niente fa male quanto la violenza sessuale. Le ferite rimangono e bruciano, e questo vale soprattutto per la vittima ma anche per la comunità. Brancoliamo nella nebbia cercando di migliorare la comunità ed evitare certe atrocità, e il modo in cui ci accostiamo al problema quando si presenta è molto importante. Dobbiamo rimanere responsabili gli uni verso gli altri e cercare di coinvolgere tutti anche quando si tratta di fatti molto personali. Come anarchisti, dobbiamo opporre il nostro idealismo alla realtà pericolosa che spesso circonda la nostra comunità. Se ci proteggiamo reciprocamente, e se affrontiamo il tema della responsabilità con un occhio rivolto alla riparazione e alla prevenzione, riusciamo a porre le basi di una società basata sul consenso. Una società basata sulla responsabilità e il consenso è l’anarchismo che sta dietro l’onesto ideale che porta ad una giustizia che davvero miri alla trasformazione del reo.