Radicalizzare i Mercati, Radicalizzare la Democrazia
Di Nathan Goodman. Originale pubblicato il 16 giugno 2017 con il titolo Anarchism as Radical Liberalism: Radicalizing Markets, Radicalizing Democracy. Traduzione di Enrico Sanna.
Questo è il nono saggio del June C4SS Mutual Exchange Symposium: “Anarchy and Democracy.”
Il liberalismo classico emerse come ideologia radicale, in opposizione alla contingenza monarchica e mercantilista, al dispotismo religioso e all’ancien regime. In alternativa ai vecchi dispotismi, i liberali proponevano due ideali: mercato e democrazia.
Ma mercato e democrazia apparivano in contrasto tra loro, e perciò i liberali sostenevano la necessità di un compromesso. I liberali di sinistra affidavano un ruolo maggiore alla democrazia e minore ai mercati, mentre quelli di destra (spesso chiamati conservatori o libertari) sostenevano il contrario. Tutti quanti concordavano sul fatto che democrazia e mercati erano, almeno in parte, in contrasto tra loro.
Questa posizione ha lasciato spazio agli estremisti, che volevano radicalizzare l’adesione ad una parte abolendo del tutto l’altra. Famoso è il caso dei socialisti, che proponevano l’abolizione del mercato per sostituirlo con un controllo democratico totale dell’economia. A loro si unirono gli anarchici. Molti anarco-comunisti risposero alla chiamata adottando l’idea di una democrazia radicale e rifiutando i mercati. All’estremo opposto gli anarco-capitalisti, che proponevano un’adesione totale ai mercati tramite l’abolizione della democrazia.
Ditemi cos’è la democrazia
L’economista Don Lavoie, nel suo saggio “Democracy, Markets, and the Legal Order”[1], offre una definizione diversa di democrazia e mercato, che lui considera complementari, non in contrasto.
C’è contrasto tra democrazia e mercati perché il voto democratico è considerato o uno strumento per dire come deve essere gestito un governo coercitivo, o un modo per imporre politiche sociali, come la ridistribuzione delle risorse. Quando queste cose passano dai mercati, sono almeno in parte immuni da interferenze da parte dello stato democratico, e i loro risultati non sono direttamente determinati dal voto dei membri della comunità. Lavoie propone una definizione alternativa di democrazia, caratterizzata dalla apertura. Propone inoltre un approccio che non tratti la democrazia come un processo centralizzato. “La nostra politica deve andare oltre il modello rappresentato dall’esercizio di un qualche genere di volontà democratica conscia e unificata per intendere il processo democratico come qualcosa che è distribuito in tutta la cultura politica,” spiega.
Secondo Lavoie, questa definizione somiglia molto alla glasnost che liberalizzò il tardo impero sovietico. Gli attivisti democratici allora lottavano soprattutto per una maggiore apertura, non per il voto. Scrive Lavoie:
“Per democrazia credo si debba intendere quel genere distinto di apertura che il sistema sovietico aveva schiacciato e che ricomparve sotto l’insegna della glasnost. Glasnost significa rendere pubblico. Il significato più adatto è “apertura”, non “democrazia”. Alcuni tra i difensori del governo democratico ritengono ingiusta la traduzione di glasnost con ‘democrazia’ perché apertura non significa tenere elezioni periodiche e la glasnost non dovrebbe essere considerata un movimento democratico. Al contrario, io credo che la glasnost colga l’essenza della democrazia meglio di quanto non facciano le nostre istituzioni democratiche.”
In linea con il miglior pensiero di F. A. Hayek e degli Ostrom, Lavoie aggiunge: “Come il mercato, anche nella politica democratica esiste una sorta di intelligenza diffusa, che nessuna singola organizzazione che sostenga di agire per conto della società può possedere.” I tratti distintivi della democrazia non sono inglobati nella “volontà conscia di un’organismo rappresentativo legittimato dalla popolazione,” ma sono invece caratterizzati dal “processo dialettico della volontà distribuita tra la popolazione stessa.”
Nel pensiero di Lavoie, la democrazia non è qualcosa che si esprime attraverso uno stato monopolista della forza lecita, o attraverso elezioni che stabiliscano cosa farà lo stato. Al contrario, la democrazia è qualcosa che prende corpo nel dialogo aperto, nel dibattito, nella contestazione e nell’interazione tra cittadini. Prendendo a prestito un concetto degli Ostrom, la democrazia propriamente intesa è policentrica, non monocentrica.
Alle marce di protesta, gli attivisti chiedono: “Cos’è la democrazia?” E i loro compagni rispondono: “La democrazia è questo!” E in un certo senso hanno ragione. Le proteste sono l’espressione aperta delle diverse opinioni. Riflettono una società in cui un certo grado di contestazione è possibile. Ed è significativo il fatto che anche gli stati formalmente democratici mandino la polizia a soffocare, anche con la forza, le proteste e i giornalisti che ne parlano.
Se pensiamo che l’apertura sia al cuore della democrazia, allora il voto non rappresenta l’essenza della democrazia. A rappresentare l’essenza democratica è invece chi, dal basso, contribuisce all’apertura della società. Chi, ad esempio, riprende la polizia e diffonde le prove dei suoi crimini. O i giornalisti che indagano sui potenti, dibattono sulle idee, e mantengono libera l’informazione. Cos’è la democrazia? Persone come Edward Snowden, Chelsea Manning, John Kiriakou e Daniel Ellsberg, che rendono di dominio pubblico i crimini segreti dello stato.
Cultura Politica e Anarchismo
Lavoie usò il suo concetto di democrazia intesa come apertura per gettare una nuova luce sull’opera di teorici dell’anarco-capitalismo come Murray Rothbard, David Friedman e Bruce Benson. Se da un lato questi ultimi hanno ragione a dire che i mercati e altre istituzioni non statuali possono produrre legge, la risposta alla domanda “quale legge?” dipende dalla cultura politica. E i nostri amici libertari radicali ignorano spesso le questioni di cultura politica. Scrive Lavoie:
“I liberali non possono risolvere il problema se un sistema legale possa o meno essere fornito dal libero mercato perché la questione stessa dipende da ciò che accade nella cultura politica, nel dibattito incessante sui diritti e i doveri reciproci, cose che il liberalismo individualista, nella versione anarchica e miniarchista, ignora completamente. I liberali radicali sono così intenti a mettere su un sistema di diritti individuali che trascurano le condizioni culturali in cui l’individuo dovrebbe chiedere questo o quel servizio legale.
Dire che dobbiamo lasciare che sia “il mercato a decidere tutto” non significa, come immaginano i liberali radicali, esentare il liberalismo dalla necessità di occuparsi della politica intera. E limitare fortemente, o anche abolire del tutto, uno stato non necessariamente elimina il bisogno di processi democratici in istituzioni non governative.”
Il discorso di Lavoie non fa una grinza, e evidenzia la necessità di quello che Charles W. Johnson chiama “libertarismo ampio”[2]. Come dice Johnson, il libertarismo in senso stretto sostiene qualcosa di importante: che l’aggressione è un male, e che la forza è giustificata solo come difesa della persona o della proprietà. Ma sono importanti anche impegni più “ampi” per realizzare il principio di non aggressione nel mondo reale. Con la sua opera, Lavoie dimostra che alcuni di questi impegni, in senso allargato, sono probabilmente legati al concetto di apertura e alla cultura politica.
L’anarchismo da me sostenuto richiede l’abolizione dello stato. Ma non basta. Occorre anche una radicalizzazione del liberalismo, che deve essere al servizio dei mercati e della democrazia. I mercati permettono agli individui di associarsi liberamente, incentivano l’allineamento reciproco degli interessi, coordinano la cooperazione sociale tra i vari individui possessori di una conoscenza diffusa. La democrazia, o una società aperta, permette all’individuo di partecipare al dibattito, condividere le proprie conoscenze, convincere e lasciarsi convincere, insegnare e imparare. Come spiega Lavoie, non necessariamente democrazia e mercati si escludono a vicenda. Possono essere due facce della stessa medaglia, due meccanismi che permettono ad una società di instaurare un processo decentrato di sperimentazione e correzione degli errori. L’anarchismo è una democrazia portata alle estreme conseguenze, ma non come fanno le democrazie dirette, le cooperative di lavoratori federate tra loro, o il comunismo assembleare, bensì nel senso di una società aperta, liberata dai lacciuoli dello stato.
Note
[1] Lavoie, Don. “Democracy, Markets, and the Legal Order: Notes on the Nature of Politics in a Radically Liberal Society.” Social Philosophy and Policy 10, nº 2, luglio 1993: 103–20. doi:10.1017/S0265052500004167.
[2] Johnson, Charles. “Libertarianism Through Thick and Thin.” Foundation for Economic Education, 1 luglio 2008. https://fee.org/articles/libertarianism-through-thick-and-thin/.