Di Kevin carson. Articolo originale: Yes, Politics is a Zero-Sum Game, del 14 novembre 2024. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Trovo spunti per un commento nei posti più strani. Ho trovato un video (“Politics is NOT a zero-sum game”) pubblicato su Amazon Mechanical Turk da Shai Davidai. Si tratta di uno studio accademico in cui l’autore valuta le reazioni degli spettatori. Per inciso, per chi non lo sapesse Mechanical Turk è una piattaforma che permette piccole operazioni particolari come partecipare a sondaggi di ricercatori accademici.
Prima che il video mi ispirasse questo articolo, conoscevo Shai Davidai più che altro come operatore di Mechanical Turk. Salta fuori invece che è anche psicologo sociale e professore associato presso il dipartimento di management della Columbia Business School. Anche se Davidai è più noto per ragioni meno piacevoli, oggi mi soffermerò unicamente sull’argomento del video e su ciò che ne deriva. La sua specializzazione accademica, “psicologia dei processi cognitivi e decisionali, disuguaglianza e mobilità sociale, confronto sociale e pensiero a somma zero”, è utile a capire le basi dei ragionamenti presenti nel video.
Si comincia dicendo che “la politica è un gioco a somma zero in cui tutti vincono o perdono insieme”. Più in là aggiunge un commento che sembra suggerire un probabile orientamento verso il pluralismo dei gruppi di interesse: “Non esiste un gruppo predeterminato di persone in grado di influenzare la politica di questo paese.” A conferma che nella politica americana il consenso prevale sul conflitto, cita il fatto che “la maggior parte delle leggi è approvata da entrambi gli schieramenti politici”, e che molti politici “condividono numerosi interessi e priorità”. Ne consegue che “[q]uando un partito approva una legge, questo non avviene a discapito dell’altro partito.” Allo stesso modo, anche noi e i nostri concittadini, a prescindere dall’orientamento politico, abbiamo a cuore la stessa cosa: “gli Stati Uniti”. “Andiamo tutti nella stessa direzione, come automobili in un’autostrada. Nonostante le differenze, lavoriamo per gli stessi obiettivi.” E conclude ribadendo l’affermazione del titolo: “la politica non è un gioco a somma zero”.
Dato il suo inquadramento negativo di un mondo a somma zero, non sorprende che abbia prodotto un sostanziale corpus su come ciò sia il risultato di percezioni e di fattori psicologici e ideologici che contribuiscono a queste percezioni. A parte le affermazioni contenute nel video, Davidai non rigetta queste percezioni, non ci vede una spia importante della struttura della società, ma le liquida come semplici fattori psicologici. Secondo una visione a ferro di cavallo, mette assieme citazioni parallele prese da Bernie Sanders (a proposito dei miliardari) e Donald Trump (a proposito degli immigrati messicani) a formare l’epigrafe di The politics of zero-sum thinking, scritto assieme a Martino Ongis. Il succo di questo parallelo tra esempi di pensiero somma zero, liberal e conservatore, è che per il primo sono le condizioni sociali ed economiche a rappresentare un gioco a somma zero, mentre per il secondo è il tentativo di cambiare le condizioni attuali che avviene a spese di quelli come Trump.
Messo alle strette, Davidai fa una mezza ammissione: “Pur essendo le situazioni a somma zero un caso raro, molti percepiscono a somma zero situazioni che in realtà non lo sono, per cui si finisce per credere che al vantaggio di qualcuno corrisponde lo svantaggio di qualcun altro.” Questa forma di pensiero, aggiunge, porta a “conseguenze negative”, ovvero “sono sempre più le persone che si vedono svantaggiate e che giudicano illecito e ingiusto il sistema sociale”. Ritiene inutile, a quanto pare, indagare se davvero il sistema sociale è illecito e ingiusto.
Le argomentazioni del video ad un esame fattuale non reggono tanto. Primo, non c’è correlazione tra l’approvazione bipartisan di gran parte delle leggi e il fatto che gran parte degli americani abbiano la stessa idea su molti problemi. Dire che sono fenomeni correlati significa dare per scontato che il sistema americano sia veramente democratico, e che il potere politico si basi sull’opinione popolare.
Tra quelle politiche che hanno un appoggio bipartisan in congresso, e che non sono mai oggetto di dibattito, troviamo i fattori strutturalmente importanti per il funzionamento del capitalismo americano. Su questo concordano assolutamente entrambe le ali della classe capitalista, qui rappresentate dai due partiti. I due partiti maggiori concordano poi su cose fondamentali come: la natura della proprietà terriera capitalista e il credito, l’estensione del copyright, l’idea che lo stato debba sostenere i principali costi di produzione del capitalismo aziendale e il ruolo degli Stati Uniti nell’imporre l’ordine economico neoliberale.
Una grossa fetta della popolazione, d’altro canto, concorda sulla necessità di una sanità pubblica, cosa che il Congresso non prende neanche in esame. Di norma, quando il volere della maggioranza popolare non coincide col volere del capitale americano, quest’ultimo ha la precedenza.
Tutto quello che nel teatro politico appare come problema reale è in realtà un problema secondario in cui si dà per scontata la struttura di classe e le istituzioni della società. Le proposte “moderate” sono quelle che possono essere gestite entro il quadro istituzionale esistente dalle persone preposte. Le proposte “estremiste”, d’altro canto, sono quelle che richiedono un cambiamento di fondo del sistema. Cito Noam Chomsky:
Un modo pacifico di rendere passiva e obbediente la popolazione consiste nello stabilire che su un dato problema ci può essere ampia discussione, anche con le posizioni più critiche e dissenzienti, purché la gamma di opinioni sia ristretta. Questa vivacità dà l’impressione di una grande libertà di pensiero, mentre in realtà i paletti posti al dibattito non fanno che rafforzare i presupposti del sistema.
Premetto, col rischio di avvelenare i pozzi, che questo non è “cospirazionismo”. Come notano Chomsky e Edward Herman in Manufacturing Consent, non serve un’organizzazione coordinata, il filtraggio avviene automaticamente, è come una mano invisibile.
E nonostante il linguaggio egalitario (i nostri amici, i cari colleghi, il nostro prossimo), non siamo “un unico popolo” indiviso, mosso dall’amor di patria. Cito Howard Zinn:
Ci fanno credere che siamo stati “noi popolo” a istituire il nuovo governo dopo la Rivoluzione, come recita il Preambolo alla Costituzione scritto dai padri fondatori…
Già a livello linguistico, la nostra cultura vuole che accettiamo una comunanza di interessi che ci leghi reciprocamente. Non ci sono classi…
[I leader attuali] ci bombardano con espressioni come “interesse nazionale”, “sicurezza nazionale” o “difesa nazionale” come se tutto ciò si applicasse indistintamente a tutti, bianchi e neri, ricchi e poveri, come se gli interessi della General Motors o della Halliburton fossero gli stessi della gente comune, come se gli interessi di George Bush fossero gli stessi del giovane che lui manda alla guerra.
Tra tutte le bugie dette alla popolazione, questa è la più grande. Tra tutti i segreti tenuti nascosti al popolo americano, il più grande è questo: che nel paese non esistono classi con interessi diversi. Non saperlo, non sapere che la storia di questo paese è una storia di schiavi contro padroni, di possidenti contro fittavoli, di aziende contro lavoratori, di ricchi contro poveri, significa subire inermi anche tutte le altre bugie di chi sta al potere.
Tornando all’articolo citato in partenza, l’argomento secondo cui condizioni a somma zero sono rare è un argomento fittizio. È vero che, tolto l’assassinio e il furto, nessuna transazione è interamente a somma zero, nel senso che una delle parti non ha alcun beneficio. Deve esserci un qualche beneficio che superi almeno marginalmente i costi per entrambi i partecipanti alla transazione, altrimenti non parteciperebbero. Ma è anche vero che molte delle transazioni a cui partecipiamo comporta una rendita economica per cui una parte (il proprietario della terra, il datore di lavoro, il proprietario di un brevetto o di un copyright, il prestatore, l’oligopolista) riesce ad impostare il prezzo al livello massimo accettabile per l’altra parte. Questo è un esempio da manuale di prezzo impostato in modo da massimizzare il profitto.
Negli Stati Uniti, la politica governativa è influenzata principalmente da una classe la cui ricchezza è composta da rendite economiche e profitti monopolistici basati su scarsità e diritti di proprietà artificiali, una classe che si arricchisce estraendo plusvalore da lavoratori e consumatori. Con loro la relazione è a somma zero. Mai avrei pensato di dover spiegare una cosa del genere ad un professore delle superiori.
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