Di Eric Fleischmann. Originale: Laurance Labadie’s “Anarchy and Law”. Tradotto da Enrico Sanna.
Anarchia e diritto
Per una migliore comprensione occorrono chiarezza, precisione e attinenza. Ora l’anarchismo, in quanto filosofia sociale, ha il difetto di non essere una teoria affermativa riguardo l’attività umana. È una filosofia negativa, cerca di capire cosa impedisce all’individuo di raggiungere il massimo della libertà e consiglia un comportamento conseguente. L’anarchismo inoltre prevede e ammette la varietà più ampia di comportamenti sociali. Muta, si trasforma, si evolve; è una filosofia di movimento, non di condizione, e propone un concetto di società dinamica e “aperta”, non un sistema statico di relazioni sociali: una strada, non un luogo.
A differenza dei vari socialismi o di qualunque altro ordine prestabilito, l’anarchismo non può imporre comportamenti e doveri a cui gli individui devono uniformarsi. Considera la società un organismo, ma un organismo di natura speciale, discreta più che concreta, mutevole, viva, in crescita, cangiante, che si evolve, e il massimo che può fare in fatto di indicazioni è fornire la massima libertà alle diverse azioni individuali.
L’anarchia non può essere classificata come sistema nel senso classico del termine, e forse la sua caratteristica essenziale è che nega che sia possibile o legittimo costringere qualcuno ad uniformarsi ad un sistema. Possiamo dire che una società anarchica può essere composta da associazioni ma non è essa stessa un’associazione né un’organizzazione. Una qualunque organizzazione richiede regole e doveri al fine di coordinare l’attività degli individui di cui è composta, altrimenti si va contro gli intenti e gli obiettivi dell’organizzazione stessa. A contraddistinguere l’anarchismo rispetto ad ogni altra filosofia sociale esistente o possibile è la possibilità di uscire da qualunque attività cooperativa per unirsi a un’altra, o per tornare allo stato di indipendenza individuale. In un’ottica anarchica delle vicende umane, l’aspetto più importante di un vivere indipendente e armonioso è la possibilità di separarsi, non un qualche presunto dovere di associarsi, come nel caso del comunismo. Perché ogni associazione, per essere fattibile, richiede la messa in pratica dei principi dell’anarchismo. Dall’altro canto, però, né l’anarchismo né il comunismo vietano forme di organizzazione, anche comunistiche, a chi vuole liberamente adottare comportamenti che si dimostrano soddisfacenti e fattibili agli occhi di chi spontaneamente fa parte di una data organizzazione.
È chiaro quindi che qualsiasi programma, progetto o combinato proposto da chi pensa di essere anarchico, al di là della negazione delle costrizioni per principio, può essere giudicato solo dai suoi meriti, o nella pratica, con l’esperienza e l’uso, e non può essere considerato un punto essenziale dell’anarchismo, o qualcosa di più della semplice opinione di qualcuno. Diventa così difficile fare una critica profonda della filosofia anarchica in un’ottica generale o razionale. Occorre muoversi con cautela quando si tenta di attribuire a tutti gli anarchici una qualunque proposta che invece è propria solo di qualcuno.
Detto ciò, e dato che la vita non è fatta solo di negazioni ma anche di affermazioni, se vogliono essere realistici gli anarchici sono costretti a proporre qualcosa in fatto di relazioni umane, e pragmatismo impone che si offrano strumenti plausibili per passare da una data situazione ad un’altra più conforme ai loro ideali. In tutte queste questioni non esiste una posizione anarchica, tranne quando si afferma che l’individuo è libero di fare le proprie scelte e assumersene le conseguenze. Ci sono invece tante proposte, più o meno provvisorie, fatte dai vari anarchici.
Impedire l’aggressione, mantenere ciò che comunemente si chiama “legge e ordine”: su questi punti l’anarchismo appare molto debole. Gli anarchici pensano più a rimuovere le cause del comportamento criminale che a punire l’intollerabile. Ma non possono ragionevolmente evadere la questione.
La critica di Murray Rothbard alla “Dottrina Spooner-Tucker” deve essere letta in quest’ottica. Rothbard deve capire che si tratta di idee e proposte che appartengono a loro, e che non precludono proposte altrui. Questo era certamente l’intento di Spooner e Tucker. Rothbard dovrebbe cercare di entrare nella loro ottica. Invece dice cose come “Non esisterebbe alcun codice che i giudici sarebbero in qualche modo, anche solo per scrupolo morale, tenuti a consultare.” Ma non è così. Basta un po’ di buon senso per capire che un giudice si rifarebbe dall’esperienza; in una società di libero mercato, un tribunale o un giudice nell’istruire la giuria si lascerebbe guidare dai precedenti. E poiché i casi non si ripetono esattamente uguali e le circostanze variano, una giuria avrebbe ampio margine di manovra nel giudicare e decidere caso per caso. Spooner e Tucker ci vedevano, fattibilmente e entro le possibilità umane, un modo di gestire la giustizia più equo e flessibile. Il sistema giuridico proposto da Spooner e Tucker sollevò a suo tempo questioni e obiezioni, oggetto di discussione, anche aspra, sulla rivista Liberty edita da Tucker. Il fatto è che riguardo la posizione di Spooner e Tucker Rothbard dice inesattezze. Riconosciamo che la cosiddetta “amministrazione della giustizia” (che nel senso più ampio tocca ogni aspetto della vita sociale) non potrà mai essere perfetta, e che l’uomo si limiterà sempre a fare il meglio che può.
Ma quando il signor Rothbard cavilla sugli ideali giurisprudenziali di Spooner e Tucker e al contempo sostiene, immagino nel suo tribunale, il male economico che è all’origine dei conflitti e delle contese degli uomini, si comporta come chi riesce a ingoiare un cammello ma si strozza con un moscerino. Ma di queste cose ho parlato altrove.
Date le difficoltà semantiche dovute all’uso di un linguaggio nato e cresciuto in regimi basati sull’autoritarismo organizzato, la costrizione e la violenza, è quasi impossibile spiegare dettagliatamente e in parole semplici cos’è l’anarchismo. Ancora più difficile, se non impossibile, è spiegare la filosofia anarchica a chi è convinto che il genere umano precipiterebbe nel caos in assenza di una qualche autorità. La cosa va completamente fuori dal loro quadro di riferimento, queste persone non hanno referenti a cui ricorrere per capire il concetto di libertà. Non sono assolutamente capaci di immaginare la libertà senza un qualche meccanismo impositivo autoritario. E tanto meno possibile gli appare che questa organizzazione autoritaria sia essa stessa la causa del disordine sociale.
Laurance Labadie
Nota: Il testo ha alcuni trascurabili errori di battitura.
Commento di Eric Fleischmann
L’articolo è stato scritto nel 1965 e pubblicato nel 1967 nella rivista della School of Ling Way Out, quarta edizione, numero 3, volume 23. Qui, a mio parere, Labadie afferma implicitamente la propria misantropia. Carlotta Anderson, nipote di Labadie, scrive nel suo libro: “Laurance confidò a Tucker di essere, a differenza di suo padre, una persona ‘asociale, egocentrica, irritabile e solitaria’; ‘è da quando a quindici anni mi immersi nella lettura di Schopenhauer,’ disse, ‘che mi porto appresso questo sconfortante pessimismo’.”[1] Il suo essere “asociale” e “solitario”, probabilmente un tratto naturale, fu forse rafforzato proprio dalla lettura profonda di Schopenhauer. Il filosofo tedesco racconta metaforicamente dei porcospini che in inverno “per non ghiacciare si stringono gli uni con gli altri”, finché “il tocco delle spine non li fa allontanare nuovamente.” Quando poi il bisogno di calore si rifà sentire, si riavvicinano ma solo per respingersi nuovamente. E così via, finché non trovano “una distanza che permette di tollerarsi a vicenda.” Similmente, “gli uomini cercano l’unione spinti da una vita vuota e monotona, salvo poi essere respinti dalle loro qualità repulsive e dagli insopportabili difetti.”
L’idea pessimistica di una paradossale società umana lo ritroviamo in Labadie quando dice: “[è] la possibilità di separarsi da un’attività in comune per unirsi a un’altra, o per tornare allo stato di indipendenza individuale, a distinguere l’anarchismo da tutte le altre filosofie sociali esistenti o immaginabili. Nell’ottica anarchica delle vicende umane, a permettere indipendenza e armonia è la possibilità di separarsi, non una qualche necessità di unirsi come nel comunismo.” Invece di sostenere collettivismo e comunitarismo come ideali superiori, come fanno tanti anarco-socialisti, Labadie pone come ideale un anarchismo che abbia come principi di fondo la secessione, la separazione e l’uscita, così che gli uomini, ad immagine dei metaforici porcospini, possano mantenere una certa distanza reciproca. Si tratta di un concetto molto vicino a quel concetto di organizzazione che Max Stirner, a cui Labadie ha attinto profondamente, definisce “unione di egoisti”. Questa unione sarebbe un gruppo istituzionale tenuto unito dagli interessi personali dei singoli individui e finalizzato al bene di tutti i suoi componenti. “Il gruppo,” spiega Stirner, “cessa di essere una unione nel momento in cui rende vincolanti certi principi.” In tal caso, è opportuno che si sciolga.
La logica prodotta organizzazione sociale ideale stirneriana-schopenhaueriana, presentata da Labadie, pone al centro il soddisfacimento degli interessi individuali, compresi quelli asociali, più che i requisiti prosociali (solidarietà, integrazione e così via, ndt). “Non vieta nessuna forma organizzativa, neanche quella comunistica, purché questa sia adottata spontaneamente e si dimostri fattibile e soddisfacente a chi vi partecipa spontaneamente”, e purché porti ad “un concetto di società dinamico e ‘aperto’, in contrasto con un sistema statico di relazioni sociali: ovvero una strada, non un luogo.” Questa posizione rivela una terza influenza, quella di Pierre-Joseph Proudhon, che significativamente scrive: “la libertà è la MADRE dell’ordine, non una sua figlia”[2]. Questa era la causa ultima dei contrasti tra Labadie e Rothbard, che collaborò allo stesso numero di A Way Out in materia di processi con giuria (soprattutto per quanto riguarda l’invalidamento della giuria). Rothbard spera di trovare nel diritto naturale una base universale e oggettiva per il giudice e la giuria in una società poststatale. Al contrario, Labadie, restando nell’ottica anarchica non normativa delineata più su, propone una molteplicità di ordini basati su standard diversi, posizionandosi curiosamente vicino non solo ai precedenti Lysander Spooner e Benjamin Tucker, ma anche al contemporaneo David Friedman, il quale immagina, in un libero mercato, un sistema legale che emerge dalle decisioni passate.
Note
1. Vedi Anarcho-Pessimism: The Collected Writings of Laurance Labadie.
2. Vedi Iain McKay’s Property Is Theft!: A Pierre-Joseph Proudhon Reader.