Anarchismo, Egotismo e Amore

Di Kelly Vee. Originale: The Anarchist and the Egoist in Love, pubblicato il 6 maggio 2022. Traduzione di Enrico Sanna.

Come si può conciliare l’impegno anarchico per il benessere collettivo con l’impegno egotistico per il benessere di se stesso? Io credo che una conciliazione possa venire non dalla politica, non dalla religione, né dai mercati. Anarchici e egotisti possono conciliarsi nell’Amore.

Amore è una parola grossa. Non a caso gli antichi greci avevano diverse parole per indicare quello che in inglese si dice con una sola parola. Per citarne qualcuno: Eros, ovvero Amore passionale, Storge, ovvero Amore familiare, Philia, l’Amore fraterno, e Agape, ovvero l’Amore per l’umanità. Se ogni parola esprime una differenza, molto più importante è il tratto comune.

Il vero Amore impone di vedere negli altri un fine in sé, non uno strumento. L’Amore non chiede, non può chiedere la sudditanza. L’Amore non comporta né subordinazione né dominio. Egotismo e anarchismo, propriamente intesi, rappresentano l’applicazione massima di questi principi. Un amore egotistico e anarchico non ha né divinità né padroni. È un Amore costruito sulla dignità, l’autonomia e il rispetto per se stessi e per gli altri. Come dice Simone de Beauvoir, “Il vero [Amore] deve basarsi sul riconoscimento reciproco di due libertà, ogni [amante] in se stesso deve trovare l’altro oltre a se stesso, nessuno dei due deve rinunciare alla propria trascendenza, nessuno deve mutilarsi, assieme si scoprono valori e fini nel mondo.” Amando affermiamo, rivendichiamo il nostro essere autentico e i nostri valori preziosi, e allo stesso tempo riconosciamo e valutiamo la dignità e l’autonomia dell’amato.

L’Amore è l’espressione più piena della nostra umanità, ma è stato corrotto e distorto da un sistema di dominio che vende sottomissione e negazione di sé nel nome dell’“altruismo”. Un sistema che promuove una versione finta dell’Amore e ferisce chiunque lo metta in pratica. L’Amore non è costrizione o potere gerarchico ma libertà e uguaglianza. L’Amore non è negazione ma realizzazione di sé. Se capiamo, combattiamo e sconfiggiamo il sistema che soffoca l’Amore, possiamo anche scoprire, creare e perpetuare il Vero Amore.

Il patriarcato è tra i sistemi che soffocano l’Amore. È un sistema di dominio, spesso basato sulla religione, che insegna che il matrimonio rappresenta il traguardo della vita di una donna (ma non di un uomo), e che sottomissione e obbedienza sono virtù ammirevoli “della donna”. Nel matrimonio tradizionale cristiano alla donna viene chiesto non solo di “amare” ma anche di “obbedire” al proprio marito. Secondo la teologia cristiana, la donna fu creata dalla costola dell’uomo, il che significa che non è se stessa, non è un fine in sé. Non a caso nel suo saggio Matrimonio e amore, del 1914, la femminista anarchica Emma Goldman contrappone Amore e matrimonio. Per lei l’Amore è libertà mentre il matrimonio è dominio. Il matrimonio, un’istituzione dominata dalla religione e dallo stato, è incompatibile con l’Amore. Così scrive:

L’amore è l’elemento più profondo, più forte di tutta l’esistenza, l’araldo della speranza, della gioia, dell’estasi; l’amore sfida tutte le leggi e le norme; è il più libero, il più forte modellatore del destino umano; come può una forza così travolgente essere rappresentata dal matrimonio, l’erba infestante che cresce nello stato e la chiesa?

La Goldman qui prende di mira “l’idea secondo cui una donna adulta, sana, piena di vita e di passione” debba annullare i propri desideri finché non arriva un uomo a prenderla come moglie. Dopo il matrimonio, il ruolo della donna si riduceva a quello di un parassita, dipendente dal marito per i propri bisogni, ai quali non poteva far fronte da sé. La relazione tra marito e moglie era più simile alla relazione tra il padrone e lo schiavo che a un’associazione tra pari che si Amano. Una dinamica in cui i bisogni di una parte sono assoggettati ai bisogni dell’altra è una dinamica dagli effetti tossici per entrambi.

Oggi un voto nuziale in cui la donna promette obbedienza al marito è molto più raro rispetto al 1914. Oggi come allora, però, “mediamente alla giovane donna viene insegnato che il matrimonio è il suo fine ultimo, e che la sua educazione dev’essere diretta verso quel fine.” Il matrimonio, insomma, completerebbe la persona (per quanto possa essere completa sotto il patriarcato). L’ideale patriarcale di amore come sacrificio della propria autonomia e individualità persiste nella cultura popolare, che si tratti di canzoni o di commedie sentimentali. Ancora oggi, con una cultura più “sveglia”, perdura l’ideale di un amore come sacrificio di sé.

Il fraintendimento patriarcale dell’eros (l’amore sentimentale) lo ritroviamo anche nello storge (l’amore familiare) e si esprime nel concetto diffuso di maternità. Comincia con l’esaltazione (o negazione) del sacrificio fisico imposto dalla gravidanza e dal parto. Basta cercare la parola “parto” per trovare un vero e proprio archivio di frasi fatte falsamente emancipatorie, come: “Il buonsenso, la compassione che una donna apprende intuitivamente con il parto possono diventare per lei una fonte di salvezza e una fonte di comprensione per le altre”, detto da un certo Stephen Gaskin, evidentemente esperto di parti. Immagino che occorra una certa ispirazione quando ci si prepara per l’epidurale, ma mi chiedo: il parto sarebbe così doloroso se la nostra società non esaltasse l’amore come sacrificio di sé? Perché il parto cesareo è così denigrato salvo quando è “medicalmente inevitabile”? Perché tanti sedicenti attivisti pro-aborto pensano ancora che lo stress fisico della gravidanza e del parto non siano cause sufficienti per abortire? Se “l’amore di una madre sopporta tutto”, come dicono, come osiamo essere egoisti? Dopotutto, gravidanze e parto rappresentano la prima “opportunità” per la madre di dimostrare quanto è profondo l’amore materno. Il padre dovrebbe semplicemente ringraziare.

La madre più famosa, la Vergine Maria, è un’ideale irraggiungibile di maternità, decantato per la sua obbedienza e sottomissione. Conta solo per la sua relazione con le persone che ama. Senza il suo sacrificio, il sacrificio ancora più grande e amorevole di suo figlio non sarebbe stato possibile. Non avrebbe potuto mai mettere i propri diritti al di sopra di quelli del figlio, neanche allo stesso livello. Si presume che tutte le madri si ispirino a questo ideale. Una madre o una moglie che privilegia i propri bisogni è egoista, manca ai doveri morali imposti dall’amore. Storge, l’amore familiare, nella sua forma più alta, richiede, così dicono, il sacrificio fisico e psichico di sé.

Eros e storge, che richiedono il sacrificio di sé, sono evidenti nell’ideale patriarcale di femminilità, ma neanche le femministe sfuggono a quella che io chiamo la “trappola dell’amore”. L’etica della cura è stata sviluppata da femministe come Carol Gilligan e Nell Noddings nel tentativo di correggere certe distorsioni patriarcali della filosofia morale tradizionale. In contrasto con i tradizionali schemi morali maschili, che esaltano la giustizia e i doveri astratti, l’etica della cura dà la massima importanza all’assistenza e alle relazioni. Se da un lato ciò enfatizza quelle virtù “femminili” tradizionalmente incomprese come la compassione e l’empatia, dall’altro manca il bersaglio perché sovrastima la natura relazionale dei nostri vincoli morali. Così facendo, l’etica della cura subordina senza volerlo la moralità individuale ai bisogni altrui imposti dalle relazioni esterne.

Secondo personalità critiche come Puka1, Card2 e Davion3 l’etica della cura potrebbe portare a esaltare acriticamente l’atto del prendersi cura senza tener conto della natura reciproca non solo della cura ma dell’Amore stesso, nonché del contesto storico in cui la cura ha luogo, come quando la donna si prende cura del suo uomo e dei figli ferendo e alienando se stessa. Qui l’etica pone in relazione asimmetrica chi offre assistenza e a chi la riceve, il che significa che l’azione del primo non è fine a se stessa ma è limitata da ciò che può offrire al secondo. Invece di far rientrare l’Amore nello sviluppo del sé, l’etica della cura relega il sé ad elemento secondario. Un sistema morale che mette la moralità fuori dal sé, non dentro, non rappresenta né una vera liberazione né un vero Amare. L’etica della cura mette l’amore e la cura “femminile” in contrasto con la logica e la giustizia “maschili”, ma se analizziamo attentamente l’Amore in quanto elemento costitutivo della realizzazione di sé ecco che Amore e Logica si uniscono a formare una sola cosa.

Lo scadimento sociale dell’Amore è fortemente legato al patriarcato. L’amore è stato spesso relegato all’ambito delle “virtù della donna”, così che la sua distorsione storicamente ha colpito le donne in maniera molto evidente. Se questa versione corrotta dell’amore è un vecchio strumento del patriarcato, è però possibile che l’Amore sia rimasto intrappolato in una sorta di circolo vizioso reciproco: se ci si aspetta che la donna sia servile e l’amore è associato alla donna, ne deriva che l’amore è visto come servilismo. La nostra idea di amore come servilismo va molto oltre eros e storge, fino ad influenzare il nostro concetto di agape, l’amore verso il genere umano. Non è stata una donna a compiere il più grande sacrificio di sé della storia.

“Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). Per quanto grande fosse l’amore di Maria, il suo cieco amore materno non arriva all’amore che sacrifica se stesso di Gesù Cristo. Il sacrificio di Cristo è l’alfa e omega della classica concezione occidentale dell’amore, il sacrificio di tutti i sacrifici. Non può esistere un altro amore così grande, così divino. Tanti anni fa, alla scuola domenicale, mi hanno insegnato che il sacrificio di Cristo è la massima espressione di un amore che i miseri mortali possono solo sperare di emulare. Il suo sacrificio è una prova d’amore che ha il grande potere di salvare tutta l’umanità. Non posso neanche sperare d’immaginare l’umanità, ma posso seguire l’insegnamento di Cristo diventando un martire, se non della religione almeno dell’amore. “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici.” (Giovanni 15:13).

Il concetto di amore universale di Cristo era destinato ad essere corrotto. Non sorprende dunque che la storia del cristianesimo sia una storia di sangue. C’è la promessa di un aldilà che sminuisce la vita sulla terra, e se Dio può dimostrare i proprio amore per l’umanità sacrificando suo Figlio, perché i cristiani non possono dimostrare il proprio amore per Dio sacrificando gli altri alla sua gloria? Questo sentire era reso esplicito dalla dottrina cattolica della guerra giusta e della guerra santa. Bernardo di Clairvaux nel dodicesimo secolo scriveva: “Il cavaliere [di Cristo] causa la morte per il bene di Cristo, e quando è lui a morire è per il bene suo.” Ottocento anni dopo, George Bernard Shaw illustrava il marciume di questo spirito: “Il sacrificio di sé è ciò che ci permette di sacrificare gli altri senza provare vergogna.” L’amore di sé è l’inizio, non l’atto finale, dell’amore per l’umanità.

Pur se in modi diversi, gran parte delle religioni esistenti promuove ideali simili come “l’individuo vale meno della società” e “il sacrificio di sé per un ‘bene superiore’ è premiato dopo la morte”. È un atteggiamento talmente radicato nella nostra cultura che anche una società sempre meno religiosa come la nostra non mette in dubbio i preconcetti riguardo l’amore e il sacrificio eroico. Dopotutto, Cristo è il modello di eroismo più imitato da opere di finzione come Harry Potter, Matrix, Il signore degli anelli, Superman e via dicendo. Sarebbe più saggio leggere Oscar Wilde, che giustamente dice: “Una cosa non è necessariamente vera perché qualcuno muore per essa.”

L’amore di chi si sacrifica è enfatizzato ovunque, senza eccezione, come l’amore più vero e profondo. Questa nauseante falsità è la più antiegotista che si possa immaginare, ma è anche contro l’Amore propriamente inteso. L’amore di chi si sacrifica può essere reciproco solo nel senso di reciprocamente distruttivo. È un gioco a somma zero, nel migliore dei casi, a differenza del vero Amore. Il vero Amore è l’esaltazione, non il sacrificio, di sé.

Come riconoscono gli egotisti, noi non riusciamo ad Essere Qualcun Altro. Una moralità basata esclusivamente sui bisogni altrui è un fallimento, noi non possiamo vivere fuori da noi stessi. Spesso le pressioni culturali e finanziarie rendono difficile essere veramente se stessi. In genere noi agiamo sinceramente e individualisticamente per il bene altrui sulla base dell’aspettativa che gli altri ripongono in noi. E gli altri fanno lo stesso con noi, e questo aumenta in tutti quanti l’alienazione reciproca e l’alienazione nei confronti della propria vera identità. Col tempo, diventa sempre più difficile slegare questo atteggiamento dalla realtà. Il dubbio nei confronti di quest’ultima giunge a profondità epistemologiche. Pertanto per un egotista il problema sta nel riuscire ad analizzare e capire cosa significa vivere autenticamente la propria identità. Ma come possiamo affermare la nostra identità se non la conosciamo?

L’ineffabile bellezza dell’Amore comincia con l’intuizione e si approfondisce con la scoperta. Amando diventiamo autenticamente noi stessi. Scopriamo quelle verità che si nascondono nelle persone che Amiamo. Troviamo quel sé che pensavamo perduto. A proposito dell’egoismo dell’Amore (e del sesso, che considera una preziosa espressione d’Amore), l’egotista Ayn Rand scrive:

Dicono che l’amore è cieco, che il sesso è insensibile alla ragione e sfugge allo sguardo del filosofo. In realtà, le scelte sessuali di una persona sono il risultato, la somma delle sue convinzioni di fondo. Dimmi cosa trovi sessualmente attraente e ti dirò qual’è la tua filosofia di vita. Dimmi con chi dormi e ti dirò cosa pensi di te stesso. Non importa quale pensiero corrotto ti hanno insegnato riguardo le virtù dell’altruismo, il sesso è l’atto più profondamente egoistico, un atto giustificato solo dal suo godimento (potete immaginare un atto sessuale solo per carità altruistica?), che non si concilia con l’umiliazione di sé, ma solo con l’esaltazione, solo con la certezza di essere desiderati e di essere degni di desiderio. È un atto che costringe a mettere a nudo non solo lo spirito ma anche il corpo, e ad accettare l’ego come unica misura del valore. Si è attratti sempre da quelle persone che riflettono la visione più profonda che esse hanno di se stesse, da quelle persone la cui resa permette di vivere, o fingere di vivere, un senso di autostima… L’amore è la nostra risposta ai nostri valori più alti, nient’altro.

Quando stimiamo le persone che Amiamo, stimiamo noi stessi.

Esaltando l’egoismo del sesso e dell’Amore, la Rand va contro l’idea solita di un amore dalla natura generosa e altruista. La Goldman diceva che l’Amore “si dà senza riserve, diffusamente, completamente.” Come si può stimare se stessi e allo stesso tempo darsi senza riserve, diffusamente e completamente? Tutto ciò non è incompatibile con l’egoismo?

Le parole ingannano. Spesso per “sacrificio” in una relazione s’intende un compromesso. Come individui, noi siamo entità indipendenti, ognuna con i propri obiettivi, bisogni e preferenze, pertanto è naturale che nel contesto di una relazione intima nasca il disaccordo. Ma è l’Amore che ci permette di allargare, approfondire e ripensare i nostri valori così da stare in armonia con le persone Amate. Noi incorporiamo il loro benessere nel nostro e viceversa. Il genere di compromesso richiesto da una relazione non è affatto sacrificio. L’Amore ci porta a soppesare i valori condivisi, compreso l’Amore stesso, scegliendo cosa è più importante tra i nostri obiettivi, i bisogni e le preferenze. L’Amore introduce nuovi bisogni e nuovi obiettivi, ne soddisfa altri e rende altri ancora irrilevanti o futili. E questo non è conseguenza del sacrificio o della perdita del sé, ma di un suo allargamento.

Amore, compassione e cura per gli altri si intrecciano con l’egoismo, col quale però sono quasi sempre posti in contrasto. In un discorso del 2009, il Dalai Lama ha espresso casualmente questo concetto senza però portarlo alle sue conclusioni egotistiche: “[L’amore e la compassione] sono le fonti primarie della felicità dell’uomo, il loro bisogno viene dall’intimo più profondo… la pratica della compassione non è il segno di un idealismo irrealizzabile ma il modo più efficace per andare incontro al miglior interesse degli altri così come di se stessi. Più noi, come nazione o gruppo o individualmente, dipendiamo dagli altri, e più è nel nostro interesse agire per il loro benessere.” Giustamente il Dalai Lama dice che l’Amore è la fonte primaria della felicità dell’uomo e che il bisogno di Amore viene dall’intimo più profondo, ma questo bisogno non viene dal fatto di dipendere dagli altri, cosa che lo renderebbe strumentale. L’Amore è una pulsione psicologica interiore, un elemento costitutivo della vita vissuta bene. L’Amore è di per sé appagante e intrinsecamente prezioso. Per essere autenticamente se stessi occorre l’Amore.

L’Amore “si dà senza riserve, illimitatamente, completamente”, ma è un dare che non comporta rinunce. È nell’Amore che non solo riscopriamo il nostro vero sé ma lo riveliamo al mondo. Quando amiamo, scopriamo parti di noi stessi che non pensavamo di avere, ma scopriamo anche altre parti che abbiamo sepolto per paura di apparire vulnerabili ed esposti. È impossibile vivere un Amore autentico e non scoprire il proprio sé. Amando non facciamo altro che confermare il nostro sé più autentico.

Si può vivere questo genere di Amore autentico e reale solo quando chi ama rispetta l’autonomia e la dignità dell’altro, quando si riconosce nell’altro una persona in sé. In una relazione intima, la voglia di controllare, manipolare o comportarsi in maniera reciprocamente distruttiva compare quando questi valori non hanno la priorità. Nell’ambito pubblico, questi atteggiamenti e comportamenti compaiono minacciosamente sotto forma di politiche paternalistiche come il proibizionismo o la “diffusione della democrazia” tramite le cosiddette guerre “giuste”. Sono cose che soffocano quell’autenticità che serve a scoprire e affermare se stessi. Come dice Shaw, “Se cominci sacrificando te stesso per le persone che ami, finisci per odiare le persone per cui ti sacrifichi.”

Fortunatamente, l’Amore è l’unica cosa in grado di abbattere queste barriere. Mettere in pratica l’Amore non funziona, specialmente nelle relazioni intime. Quando davvero Amiamo qualcuno, siamo costretti a fare un esame profondo di noi stessi e dei nostri valori, vagliando i contrasti. Quando non viviamo all’altezza dei nostri valori o i nostri valori non sono quello che pensavamo, l’Amore ci costringe ad ammetterlo. In una relazione intima, l’Amore è ciò che più di ogni altra cosa permette di vedere la vita e la mente dell’altro. Questa forma d’amore amplia la capacità di capirsi, si allarga fino a permeare ogni aspetto della nostra vita. Quando abbiamo scoperto il vero significato di Eros e Storge, abbiamo scoperto anche Agape. Amare l’umanità significa riconoscere che ognuno è se stesso, non uno strumento. L’Amore Autentico e la Vita Autentica sono le due facce della stessa medaglia.

Nell’Amore, la coincidenza di egotismo e anarchia non è solo evidente, ma anche inevitabile. La libertà, la dignità e l’autonomia anarchica diventano concetti inseparabili dalla realtà, dalla scoperta di sé e dall’autenticità dell’egotismo. Il vero Amore fa capire che questi valori non sono in conflitto tra loro, ma hanno bisogno gli uni degli altri per fiorire. Un Amore che non è ad un tempo anarchico e egotista non è affatto Amore.

La mia esperienza in fatto di Amare ed essere Amata ha significato crescita condivisa, scoperta di sé e affermazione di sé. Noi ci amiamo perché lo vogliamo. Arricchiamo reciprocamente le nostre vite e ci sosteniamo reciprocamente egoisticamente, non altruisticamente. Quando una parte vince, le due parti vincono. I compromessi e le scelte fatte assieme non sono un sacrificio, bensì una conferma dei nostri valori condivisi che abbiamo trovato assieme, l’uno nell’altro, e che ci fortificano. Il nostro Amore è un’autenticità condivisa, un aprirsi condiviso, una realizzazione condivisa. Vivendo questo Amore sono arrivata a capire me stessa meglio di quanto non pensassi. Dando e ricevendo Amore sono riuscita a dare me stessa più di quanto non abbia mai fatto prima, e senza rinunciare a nulla. Credo che la cosa sia reciproca. Il nostro Amore è un Doppio Egoismo.

Dedicato a mio marito, Cory Massimino.

Note

1. Puka, Bill. “The Liberation of Caring: A Different Voice for Gilligan’s ‘Different Voice’.” Hypatia 55.1 (1990): 58-82.

2. Card, Claudia. “Caring and Evil.” Hypatia 5.1 (1990) 101-8.

3. Davion, Victoria. “Autonomy, Integrity, and Care” Social Theory and Practice 19.2 (1993) 161-82.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory