Di Jason Lee Byas. Originale: Against the Criminal Justice System, Pt. III: For Actual Justice, pubblicato il 30 novembre 2020. Traduzione di Enrico Sanna.
Nei due precedenti articoli della serie, ho spiegato come la pratica punitiva e la giustizia penale siano inerentemente ingiuste. In alternativa, proponevo un sistema civile puro basato unicamente sul diritto civile. Tutte le cause diventerebbero così cause mirate alla risoluzione di controversie, con l’aggressore che non verrebbe punito ma costretto a rifondere la vittima. Qui vorrei rispondere brevemente ad alcune tra le critiche più comuni rivolte a questo ideale.
Insufficiente potere deterrente
Una questione spesso sollevata quando si critica un sistema giudiziario basato esclusivamente sul diritto civile è che non ha sufficiente potere deterrente. Critiche più elaborate non dicono che il risarcimento non ha mai potere deterrente (o quasi mai), ma solo in certi casi specifici.
Prendiamo il caso di una persona ricca. Se un reato si espia con un semplice risarcimento monetario, il potere deterrente contro chi è ricchissimo è debole o nullo.
Altro caso è invece quello di un reo molto povero. Se il reo è già fortemente indebitato, non può pagare, e una condanna in più o in meno non fa differenza.
Per prima cosa, ci sarebbero ragioni lecite per esigere un pagamento maggiore da un ricco rispetto ad un povero, anche se la giustizia riparativa pura ruota attorno alla vittima. Queste ragioni lecite si basano sul principio della proporzionalità. Pagare un risarcimento di tre milioni può essere una piccola seccatura per Bill Gates, ma distruggerebbe l’esistenza di una persona media. Poiché il pagamento ha un impatto maggiore o minore a seconda della persona, per certi sarebbe una violenza inaccettabile mentre per altri sarebbe molto più accettabile.
Il risarcimento potrebbe non essere sufficiente a dissuadere un potenziale aggressore. Ma, considerato quello che ho scritto negli articoli precedenti, non è una ragione sufficiente per dire no al risarcimento. La deterrenza può essere un buon effetto collaterale della legge, ma non è il suo fine.
E poi il potere deterrente non è esclusivo della legge. Anche pressioni e condanne sociali hanno un ruolo particolare, soprattutto per i ricchi che vogliono mantenere una reputazione. Lo stesso vale per quelle cerchie o spazi frequentati da delinquenti comuni (come nel caso di Victoria Law, femminista, abolizionista del carcere, che si oppone extragiudizialmente alla violenza di genere).
Altro caso in cui la dissuasione può non funzionare è l’assassinio di persone senza famigliari o amici. Generalmente, per una persona morta il risarcimento (come qualunque altro credito) va agli eredi[1]. Ma se la vittima non ha eredi (o persone vicine considerate eredi), il risarcimento non è dovuto.
Una soluzione può essere la rivendicazione. Se qualcuno si prende la briga di portare avanti la causa a nome della vittima, può rivendicare il risarcimento. Ovviamente, se la causa è portata avanti da diverse persone, singolarmente o in gruppo, spetterebbe al giudice stabilire chi ha diritto al risarcimento. Se viene assassinato un senzatetto, ad esempio, un’associazione caritatevole avrebbe più diritto di un ricco avvocato che vuole il denaro per sé.
Condanna insufficiente, o giustizia imperfetta
Dire che un sistema giuridico dovrebbe limitarsi a obbligare il reo a risarcire in denaro la vittima appare intuitivamente sbagliato. Si ha la sensazione, giustamente, che così non si tenga nel dovuto conto la profondità morale del danno fatto, e che quindi non si faccia piena giustizia.
Purtroppo, sono critiche fondate. Ma è sbagliato credere che questa sia una ragione sufficiente per sostenere la pena o il sistema penale. È vero che nessuna somma resuscita una persona, e spesso neanche allevia le sofferenze. Ma neanche la violenza vendicativa ottiene questo effetto. Ma con una giustizia riparativa perlomeno si fa qualcosa per compensare la vittima e ottenere quel minimo di giustizia ottenibile.
E poi è vero che la logica riparativa pura impone che il sistema giudiziario usi la violenza solo per l’esazione del risarcimento, ma è anche vero che non esiste solo il risarcimento monetario. Esiste una varietà di arrangiamenti riparativi alternativi – in cui l’aggressore cerca di riparare al torto sulla base della responsabilità – che possono sostituire in tutto o in parte il risarcimento monetario. Questi arrangiamenti, quando sono possibili, sono quanto di più simile alla giustizia perfetta che possiamo avere.
Bisogna poi sottolineare una volta di più che tra i problemi della giustizia penale e i suoi intenti punitivi c’è che spinge a non vedere altri rimedi che stanno completamente fuori dal sistema legale. I tribunali dovrebbero essere, idealmente, luoghi in cui si risolvono i conflitti, non posti in cui la sentenza morale della comunità si abbatte sul reo. La condanna morale, piuttosto che da un’autorità centrale, dovrebbe venire dal basso, dalla comunità.
Quando stabilisce la colpa o l’innocenza morale, l’apparato penale non fa che inquinare il giudizio (deviando il verdetto in direzione di una dichiarazione morale sul caso in questione) e privare altri settori della società civile della possibilità di esprimere un giudizio morale. La corte sentenzia e il caso è dato per definitivamente chiuso.
Fuori dall’ambito giudiziario, generalmente concordiamo che la violenza non può essere usata a fini moralistici. Ancora più ci ripugna, poi, per lo stesso fine, rapire e schiavizzare una persona colpevole di reato. E questo ci riporta al giudizio sul diritto: è ingiusto punire o incarcerare qualcuno sulla base di una condanna morale.
L’equivalente del carcere, da notare, è qui considerato peggiore dell’equivalente di una punizione corporea. Sul prossimo articolo spiegherò perché il carcere è ingiusto in sé per ragioni che vanno oltre l’ingiustizia della pena in genere.
1. C’è poi il problema di quando l’erede è anche l’assassino. In questo caso, è ragionevole determinare un altro erede in alternativa, giacché l’erede dovrebbe prendere il posto dell’assassinato e ovviamente l’assassino non può rappresentare il volere dell’assassinato.