Contro la Giustizia Penale, II: La Criminalità del Diritto Penale

Di Jason Lee Byas. Originale: Against the Criminal Justice System, Pt II: The Criminality of Criminal Law, 23 novembre 2020. Traduzione di Enrico Sanna.

Pubblicato originariamente sul blog Students for Liberty il 25 novembre 2015.

Nel primo articolo di questa serie ho spiegato perché un libertario dovrebbe respingere la pratica penale. In alternativa, credo che il ruolo della legge debba essere la risoluzione delle controversie, e che la violenza dello stato sia giustificabile o per difesa o per l’esazione di un risarcimento. Questo elimina di fatto il diritto penale per lasciare al suo posto il solo diritto civile.

Qui di seguito, cercherò di rafforzare questa mia conclusione spiegando brevemente perché un libertario dovrebbe dire no al diritto penale, andando oltre l’illegittimità della pena.

Al centro del diritto: la vittima o lo stato?

Molto si parla tra libertari dell’ingiustizia dei crimini senza vittime. E però si accetta l’idea di un diritto penale, non si sa bene perché. Dato il contesto, il diritto penale non pone al centro la vittima.

Quando una persona commette un omicidio, per il diritto penale il vero crimine è contro la “società”. Per questo esistono i pubblici ministeri, che possono portare in giudizio una persona anche contro la volontà della vittima, e sempre per questa ragione le cause hanno intestazioni come “Il popolo dello stato della California contro John Doe”, e non “Jack Doe contro John Doe”.

Il concetto deriva storicamente dai tempi in cui ogni crimine era considerato un crimine contro il re, e la pena era la punizione per aver sfidato la sua autorità. Come spiega il filosofo Gary Chartier[1]:

L’attuale categoria del crimine riguarda ciò che oggi viene spesso classificato come aggressione contro “il pubblico” … o “lo stato”. In un sistema che si presume democratico, lo stato è retoricamente (ed erroneamente) identificato nella popolazione. L’abitudine di identificare nello stato l’oggetto di un crimine, invece, nasce dall’identificazione, propria della monarchia, dello stato con il sovrano.

Un crimine era considerato un atto contro il re per un insieme di ragioni: perché violava le leggi del re, e quindi sfidava l’autorità reale; perché il re temeva che l’atto degenerasse in una violenza più grande… perché dichiarare un atto contro il re significava ricorrere al tribunale del re stesso, … e perché atti presunti criminali potevano ridurre il gettito fiscale della corona. C’erano poi reati che… erano trasformati in reati solo dall’esistenza del re. Offese al re; forse anche le offese alla chiesa istituita dal re; sicuramente il tentativo di sovvertire il potere del re. Per questi reati era necessaria una categoria a parte, in parte perché sarebbero inconcepibili senza un re, e dunque non sarebbero esistiti in un sistema giuridico orientato alla risoluzione dei conflitti tra persone legalmente uguali, e in parte perché il re aveva ogni ragione di volerne evidenziare il significato profondo.

In altre parole, fin dall’inizio il diritto penale resta legato ad un concetto fortemente autoritario di sovranità. Per un libertario, che crede che la sovranità non appartenga né al re né al “popolo”, ma alle persone in carne ed ossa (gli individui), il diritto penale così concepito è inaccettabile.

Mens rea significa reato d’opinione

Una conseguenza della giustizia penale incentrata sul sovrano è che non riguarda solo l’actus reus (l’agire con colpa), ma anche la mens rea (il pensare con colpa). Occorre dimostrare che il reo è non soloresponsabile, ma anche moralmente colpevole. La pena cambia secondo quanto una persona è moralmente colpevole: un assassino che pianifica meticolosamente il crimine riceve una pena maggiore di uno che uccide in un accesso di rabbia.

Sembra una cosa ragionevole finché non riflettiamo sul suo significato implicito: nel diritto penale, tutti i crimini implicano un reato d’opinione.

Perché un atto passi dall’illecito civile al penale, e perché la reazione da risarcimento diventi una pena, deve essere riconosciuta la mens rea. A giustificazione di una pena più grande, i sostenitori della giustizia penale devono dunque asserire che i pensieri criminosi sono causa indipendente di violenza. Altrimenti, il passaggio dal risarcimento alla pena non conterrebbe elementi di proporzionalità.

Per un libertario, è difficile immaginare un concetto immediatamente più ripugnante del reato d’opinione, il che offre un’ulteriore ragione per allontanarsi dalla giustizia penale.

La giustizia penale si presta alla violazione dei diritti

Oltre alle due ragioni ragioni, chiaramente illiberali, citate – la centralità della sovranità e la mens rea – c’è un’altra ragione per dubitare della giustizia penale. Essa apre le porte ad ulteriori usi non libertari della legge.

Come detto prima, il diritto penale è per sua stessa natura indifferente verso la vittima, ma guarda al danno causato alla società in generale. Questo rende più facile l’emanazione di leggi che penalizzano certi comportamenti ritenuti immorali, o che condannano certi mali sociali, o qualunque altra cosa sia ritenuta un male per la società nel suo insieme.

Storicamente lo vediamo nel fatto che il diritto penale è imposto dallo stato sulla società, non è il prodotto naturale di istituzioni volontarie. I sistemi giuridici di forma più libertaria – i meno statali, i più policentrici, i più simili al mercato – tendono progressivamente verso il diritto civile e il risarcimento più che il diritto e la giustizia penale. È questo il caso dell’Islanda medievale, l’Irlanda preconquista, l’Inghilterra preconquista, e il Xeer in Somalia.

In questi sistemi, la legge non è imposta dall’alto, ma emerge dagli accordi raggiunti nelle dispute tra persone. Per questo questi sistemi non necessitano di alcun codice penale, e puntano sul risarcimento del risarcibile alla vittima più che sulla punizione del delinquente.

Un ruolo tutto particolare per la legge

Un grosso vantaggio del passaggio ad un sistema giuridico puramente risarcitorio basato sull’illecito civile è che così si ritaglia una funzione molto particolare per la legge. Costretta in questa cornice, la legge non assolve al compito di risolvere questioni sociali (compreso il crimine!) né si pronuncia moralmente per il bene della comunità. Serve solo alla risoluzione di particolari conflitti tra persone ben precise e al risarcimento della vittima.

Questo significa anche che, priva del potere di punire proprio della giustizia penale, le implicazioni che una giustizia risarcitoria ha sulla politica sono molto più profonde e radicalmente libertarie di quanto non appaia a prima vista. In un futuro articolo parlerò più in dettaglio di queste implicazioni. Nel prossimo risponderò a certe critiche che comunemente vengono rivolte all’impianto teorico di una giustizia basata sul risarcimento.


[1] Anarchy & Legal Order: Law and Politics for a Stateless Society, pag. 264.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory