Tra Marx e Automazione

Di Eric Fleischmann. Originale pubblicato l’undici ottobre 2018 con il titolo Forcing Marx Into the Automation Debate. Traduzione di Enrico Sanna.

L’automazione, ovvero la riduzione e/o eliminazione della partecipazione umana ai processi produttivi, è argomento economico fin dalla rivoluzione industriale. In genere, il dibattito verte sulla possibilità che l’automazione porti alla disoccupazione di massa. Riconosciuta, ma anche superata, la prospettiva primitivista, nei secoli ventesimo e ventunesimo hanno preso forma due campi opposti, le cui idee di base, però, esistevano già da tempo.

Da una parte c’è chi pensa che il progresso tecnologico non ha mai portato, e dunque non porterà mai, alla disoccupazione di massa immaginata dai tecno-pessimisti. Tra quelli che la pensano così troviamo spesso economisti professionisti ma anche libertari di centro e di destra. Come Murray Rothbard, che in Science, Technology, and Government si chiede:

Chi è stato reso disoccupato dalla pala meccanica? Quanti milioni di picconatori hanno perso il lavoro? Dove sono i miliardi che hanno perso il lavoro perché treno e camion hanno preso il posto del mulo? Se le teorie della disoccupazione tecnologica sono corrette, dove sono?

Ci sono precedenti storici che portano a credere che il timore di una disoccupazione causata dalla tecnologia sia infondato. Ronald Bailey, redattore scientifico della rivista scientifica Reason, fa una serie di esempi nel suo articolo “Are Robots Going to Steal Our Jobs?” Tra gli altri, cita la Regina Elisabetta d’Inghilterra che nel 1589 rifiuta di concedere il brevetto ad una macchina per cucire calze per paura che tolga il lavoro ai suoi sudditi, e poi i luddisti che nel diciannovesimo secolo sfasciavano i telai industriali per preservare la propria fonte di reddito. Come nota Bailey, tutto questo panico era infondato visto che l’occupazione resta tutt’oggi molto forte.

Dalla parte opposta c’è chi crede che l’automazione porterà sicuramente alla disoccupazione di massa. Fatto interessante è che tra questi ultimi oggigiorno non troviamo più luddisti o sostenitori del conservatorismo industriale, ma quegli stessi tecnologi e fan della Silicon Valley che spingono al massimo la tecnologia. Il fondatore di Microsoft Bill Gates propone di tassare le imprese che fanno uso di robot al fine di rallentare l’automazione e impiegare le risorse altrove. Tra le proposte per contrastare la disoccupazione tecnologica, la più nota è l’istituzione di un reddito di base universale. Zoltan Istvan, fondatore del Partito Transumanista americano e candidato alle presidenziali, assieme a Elon Muskcapo di SpaceX, Tesla, Neuralink e PayPal, sono favorevoli al reddito di base universale per contrastare l’automazione su larga scala. L’idea alla base è che, dato che una grossa porzione della popolazione sarà privata del lavoro, compito dello stato è di offrire qualcosa in cambio del reddito generato in ogni famiglia tramite il lavoro.

Entrambi i campi ignorano una prospettiva che esiste da circa due secoli, ha profondamente influenzato il mondo moderno ma è stata tenuta fuori dal dibattito pubblico, tranne nel caso della bizzarra opinione del succitato Musk. Si tratta della prospettiva marxista. Se si evitano certe tendenze verso il determinismo storico, il materialismo storico di Marx offre vari spunti interessanti. In Miseria della Filosofia, Marx nota che “le relazioni sociali sono strettamente legate alle forze riproduttive” e che “gli uomini, i quali producono le relazioni sociali corrispondentemente alla loro produttività materiale, producono anche le idee, le categorie, cioè le espressioni astratte ideali di queste stesse relazioni sociali.” La questione centrale qui è che la società è strutturata dalle condizioni materiali, dalla proprietà dei mezzi di produzione.

Marx scrive in Per la Critica dell’economia Politica: “L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.” Nel caso dell’automazione, i mezzi di produzione sono chiaramente i robot e da un punto di vista di tipo marxista il problema centrale di queste macchine non è occupazionale ma di potere. Anche se non crea disoccupazione di massa, ma ancor più se lo fa, l’automazione porta alla nascita di nuove divisioni sociali e all’inasprimento delle vecchie. Chi ha maggiore accesso a queste tecnologie può anche modellare il mondo economicamente, politicamente, socialmente e legalmente, a danno degli altri. Facile immaginare che molti saranno esclusi dal possesso di questi mezzi di produzione tramite la proprietà intellettuale e altri provvedimenti ad opera dello stato capitalista. Che esista un reddito di base universale non importa, perché anche con quel poco potere d’acquisto la persona è costretta a spendere denaro in beni fisici e all’interno di una società definita da forze che sono nelle mani di un gruppo sempre più piccolo di capitalisti.

Questa critica sociale non è certamente una grande novità, e dopotutto basta dare uno sguardo alle idee di Adrian Smith riguardo un mondo post-automazione, ma è importante cercare di inserirla nel dibattito attuale. Certo non lo farà la sinistra tradizionale, visto che sembra aver messo nel cassetto la possibilità di un vero cambiamento sociale materiale a favore di un neoliberalismo travestito da giustizia sociale. È d’obbligo citare qui Norbert Wiener, docente del MIT, matematico e padre della cibernetica. Nel suo libro The Human Use of Human Beings scrive che il vero pericolo dell’automazione è che “queste macchine, pur innocue di per sé, possono essere usate da un uomo o da una categoria di uomini per accrescere il dominio su tutti gli altri.” Wiener non era marxista, ma questo è l’atteggiamento da assumere quando si evoca Marx nel dibattito sull’automazione.

Perché la questione centrale non è sapere se ci sarà disoccupazione di massa o se occorrerà istituire un reddito di base, anche se è importante tenere conto di tutto ciò. Il potenziale pericolo posto dall’automazione è costituito dalle relazioni di potere e dal dominio. La domanda è: “chi avrà le mani sulle leve del futuro?”

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