Reti cittadine come piattaforma resiliente per la transizione post-capitalista
Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 20 gennaio 2018 con il titolo Libertarian Municipalism: Networked Cities as Resilient Platforms for Post-Capitalist Transition. Traduzione di Enrico Sanna.
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Viviamo in un’epoca transitoria in cui tutte le istituzioni centralizzate, comprese le principali come stato e grandi aziende, sono in crisi terminale. Causa e sintomo principale di questa transizione è la costante diminuzione della quantità di lavoro necessaria a generare un certo livello produttivo, con conseguente diminuzione della domanda aggregata di lavoro salariato. Ciò è evidente nella riduzione della forza lavoro attiva, mentre il resto scivola sempre più dal tempo pieno al part-time o alla precarietà (impieghi temporanei o a progetto). Altro sintomo è la chiusura dello stato di fronte alla crisi fiscale, con l’adozione di politiche di austerità in gran parte dei paesi occidentali, quindi la disintegrazione delle tradizionali reti di sicurezza a carico del datore, disintegrazione che fa parte del declino dell’impiego a tempo pieno.
Il picco del petrolio (e di altri combustibili fossili) spinge ad accorciare la catena distributiva. Contemporaneamente, il passaggio da tecnologie militari mirate alle dimostrazioni di forza ad altre mirate all’interdizione d’area sta rendendo proibitivi i costi dell’imperialismo economico globalizzato, basato sulla delocalizzazione della produzione sotto il controllo legale del capitale occidentale.
Ma le stesse tendenze tecnologiche che riducono la necessità di lavoro, in molti casi rendono economicamente fattibile la produzione per l’uso in unità produttive informali, sociali o a dimensione famigliare. Macchine a controllo numerico a basso prezzo, informazioni in rete e piattaforme digitali, permacultura e orti comuni, monete e sistemi di credito alternativi, tutto ciò riduce le dimensioni di scala necessarie alla produzione di molti beni necessari per l’uso famigliare, multifamigliare o zonale, così come riduce a dimensioni accessibili i capitali necessari a produrre beni di consumo.
Da tutto ciò appare chiaro che il vecchio modello basato su un reddito sicuro sta collassando, mentre le nuove tecnologie distruggono le basi materiali da cui dipendono tanto lo stato quanto le grandi aziende.
Come tutte le transizioni, però, questa è una transizione verso qualcosa, non solo da qualcosa. E questo qualcosa somiglia molto al futuro libertario comunista immaginato da Pëtr Kropotkin in La Conquista del Pane: ovvero, la rilocalizzazione di gran parte delle funzioni economiche verso una sorta di villaggio ad economia mista agricolo-industriale, il controllo della produzione direttamente nelle mani di chi ci lavora, e una differenza più sfumata tra città e campagna, lavoro e ozio, lavoro intellettuale e manuale.
Si tratta in particolare di una transizione verso una società post-capitalista basata su beni condivisi. Come dice Michel Bauwens, il paradigma dei beni comuni prende il posto del paradigma socialdemocratico. In quest’ultimo, il settore privato (ovvero aziendale) producendo merci crea valore, una parte del quale viene ridistribuita tramite lo stato e i sindacati. Nel primo caso, invece, il valore è co-creato all’interno con beni condivisi fuori dall’ambito del lavoro salariato e del nesso di cassa, e l’intero processo è controllato dai creatori stessi. Quella che Bauwens definisce produzione “cosmo-locale” (cosmopolita e locale, ndt) si basa sull’uso di piccole strutture per produzioni ad uso locale utilizzando informazioni liberamente accessibili globalmente (e dunque cosmopolite, ndt). L’organizzazione di base di questa società strutturata attorno ai beni comuni è a livello locale. La produzione cosmo-locale (PGPL = Progetta Globale, Produci Locale) è governata dai seguenti principi:
• Protocolli cooperativi: i protocolli immateriali e algoritmici sono condivisi e open-source e sfruttano il principio copyfair (conoscenza condivisibile liberamente, ma commercializzazione sottoposta a reciprocità).
• Cooperativismo aperto: a contraddistinguere la produzione cooperativa condivisa, rispetto al “capitalismo collettivo”, è l’impegno a creare e diffondere in tutta la società i beni condivisi. Nel caso delle piattaforme cooperative sono le piattaforme stesse ad essere condivise; queste servono a favorire e gestire gli eventuali scambi, evitando che vengano ingabbiati da piattaforme capitalistiche a rete gerarchica (vedi: netarchical capitalism).
• Contabilità aperta e contributiva: meccanismi distributivi equi che tengano conto di tutti i contributi.
• Catene distributive aperte e condivise per un coordinamento reciproco.
• Niente proprietà e dominio assoluti: i mezzi di produzione sono condivisi a beneficio di tutti i partecipanti al sistema.
Il saggio esamina le nuove forme economiche distribuite e condivise, alla base della transizione post-capitalista, a tre livelli: il microvillaggio e varie altre forme di coabitazione/coproduzione; la città, piccola o grande, come unità a sé; e le federazioni di città a livello regionale o globale.