Di James C. Wilson. Originale pubblicato il 23 giugno 2017 con il titolo End the Hypocrisy: Let Us Trade with Cuba. Traduzione di Enrico Sanna.
La settimana scorsa il presidente Trump ha annunciato l’intenzione di interrompere il processo di rilassamento dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba iniziato dall’amministrazione Obama. Trump ha chiesto un inasprimento delle restrizioni da imporre agli americani che vanno a Cuba per turismo e a chi fa affari con l’Armed Forces Business Enterprises Group di Cuba, una conglomerata con legami con il governo cubano.
Trump cita la questione dei diritti umani a giustificazione del rinnovato embargo, ma è una finzione resa tanto più evidente dalla sua disponibilità a fare affari con regimi molto peggiori come quello saudita, come dimostrato dalla sua recente visita in Arabia Saudita, a cui ha promesso di vendere armi. Il regime saudita non solo è una monarchia totalitaria e brutale in sé, ma ha dimostrato un’insensibilità totale per i sempre più numerosi civili uccisi dai suoi bombardamenti in Yemen. La vendita di armi all’Arabia Saudita non è una novità per il governo americano. Si tratta di affari portati avanti normalmente anche dai predecessori di Trump. Né meraviglia il fatto che Trump abbia escluso l’Arabia Saudita dai suoi “divieti migratori”, nonostante il paese sia all’origine di tanto terrorismo islamico, e nonostante Trump si sia vantato in campagna elettorale di aver concluso affari immobiliari con rappresentanti dello stato saudita.
Senza minimizzare gli orrori totalitari dello stato cubano, bisogna capire che decenni di embargo pesante e divieti migratori sono falliti nel tentativo di liberare il paese da un regime, quello castrista, eternamente autocratico. Son serviti solo a tenere i cubani nella povertà e isolati dal resto del mondo, mentre le aziende americane subiscono oltre un miliardo di dollari l’anno di mancati affari. Povertà e isolamento non fanno che rafforzare il potere del regime, dato che ai cubani non è permesso vedere com’è la vita in una società più libera, cosa che accentua la dipendenza dal loro stato.
Il fallimento dell’embargo è ancora più evidente se si pensa che è in vigore dagli anni Sessanta ed è sopravvissuto alla fine della guerra fredda, che era la base giustificatoria dell’embargo stesso. Dare la possibilità ai cubani di intrattenere attività commerciali e visitare altri paesi significherebbe creare le condizioni per un’ulteriore libertà a casa loro.
Ma sono proprio gli esiliati cubani in Florida a spingere molto spesso per il mantenimento dell’embargo. Si può capire il desiderio di mettere fine al regime castrista, ma fare pressione perché si attuino politiche che colpiscono i cubani nell’isola non risolve nulla. Purtroppo esiliati e discendenti che vivono in Florida, grazie alla conformazione dei collegi elettorali formano un blocco di voti potente, in grado di decidere le sorti in uno degli stati più determinanti per il voto nazionale.
Tenere Cuba fuori dai traffici commerciali e turistici internazionali è un male per consumatori e aziende americane, ma soprattutto per chi vive nell’isola. È un chiaro regalo fatto ad un serbatoio elettorale, che giustamente ce l’ha contro la brutale dittatura, ma che affronta malamente la questione. Non può essere altrimenti, considerata l’ipocrisia di Trump in materia di diritti umani quando tratta con altri paesi altrettanto autoritari. Trump è sempre pronto a parlare di diritti umani quando si tratta di farsi bello davanti alla sua base elettorale, ma fa lo gnorri quando si tratta delle sue amicizie russe e saudite.
Questa ipocrisia è ciò che ci si deve aspettare quando si lascia che sia lo stato a stabilire con chi possiamo interagire e fare affari. Ciò che occorre ai cubani è la libertà di commerciare e di muoversi, così che siano loro a prendersi cura del loro destino. E questo vale anche per noi.