Di Gary Chartier. Originale pubblicato il 21 luglio 2017 con il titolo How Many More Victims Does the Drug War Need to Claim? Traduzione di Enrico Sanna.
Alla notizia secondo cui Carmen Puliafito, oftalmologo rispettatissimo e suo predecessore, consumava regolarmente droghe pesanti, il rettore della facoltà di medicina dell’Università della California del Sud Rohit Varma ha reagito definendo la sua condotta “orrenda” e “spregevole”. Puliafito è stato sospeso come membro della facoltà e non può visitare pazienti.
Finora nessuno ha detto che le sue capacità di offrire assistenza sono compromesse. Nessuno ha dimostrato che il suo uso di anfetamine, ecstasy e altre droghe abbia danneggiato qualche suo assistito, o che lui abbia maltrattato qualche collega. Qualcuno sarebbe “andato in overdose in sua presenza” fuori dal lavoro, secondo il Los Angeles Times, ma l’articolo non attribuisce a lui la responsabilità dell’overdose, né dice che abbia gestito male la situazione. È possibile che sia stato sotto l’effetto della droga mentre svolgeva funzioni pubbliche all’università. Se le informazioni sono esatte, riguardano questioni separate dall’uso della droga, che invece è al centro dell’attenzione. Pare che tutto il baccano abbia avuto origine dalla rivelazione secondo cui, fuori dal lavoro, Puliafito facesse uso entusiasta delle droghe.
Ci sono persone che fanno un uso tale delle droghe pesanti da danneggiare se stesse e il prossimo. Non voglio banalizzare il rischio. Quasi quattro anni fa, una persona a me vicina è morta di overdose dopo una vicenda travagliata di eroina e anfetamine.
In realtà, persone diverse hanno esperienze diverse con la droga. Ci sono persone che assumono sostanze potenzialmente pericolose e però vivono una vita stabile e feconda.
Persone come William Stewart Halstead, ad esempio. Uno dei padri della chirurgia americana, il chirurgo che introdusse la cartella clinica, in sala operatoria Halstead era tra i migliori. E fu un consumatore di eroina, cocaina e morfina per tutta la vita.
La criminalizzazione di droghe come le anfetamine impedisce alla persona di valutare da sé il rischio. Punire penalmente un consumatore spesso distrugge la famiglia e devasta intere comunità. La criminalizzazione porta alle stelle il costo delle droghe, assicurando l’impoverimento della persona, che è tentata da atti criminali per procurarsi le risorse necessarie all’acquisto della droga. E i prezzi finali spropositati attirano le organizzazioni criminali verso la produzione e commercializzazione. Quando c’è in gioco una tale ricchezza, le persone senza scrupoli non ci pensano su due volte prima di ricorrere alla violenza pur di assicurarsi il profitto. E data la criminalizzazione di tutta l’industria, le dispute sono troppo spesso risolte con la violenza. Quando non ci sono vie legali alla risoluzione dei conflitti, la violenza diventa un’alternativa seducente. Criminalizzazione significa non avere rimedi legali quando si acquistano prodotti impuri; e rispetto ad un mercato scoperto, cresce la probabilità di subire danni. Purtroppo persiste la criminalizzazione, non ultimo perché gonfia il budget dei dipartimenti di polizia ed offre ai politici bigotti l’opportunità di mettere in mostra le proprie virtù davanti ai propri elettori.
La criminalizzazione è una risposta sciagurata ai problemi legati alla droga. Ma al tempo stesso riflette e rafforza la stigmatizzazione sociale delle droghe in modi che generano conseguenze ancora più distruttive.
La vita di Puliafito non è mai stata tranquilla. In passato, si sarebbe sottoposto a cure relative al bere. Ma è riuscito a gestire benissimo la sua carriera di accademico, amministratore e chirurgo. L’oftalmologia è una delle specialità meno accessibili, attira la crema delle facoltà di medicina. Riuscire a gestire l’attività di preside di una facoltà di medicina tra le migliori, e per un decennio, è, sotto ogni punto di vista, rimarchevole.
A causa del consumo di sostanze non accettate socialmente e, peggio ancora, illegali, Puliafito è diventato oggetto di riprovazione ed è stato sospeso dal lavoro. E la sua vita è a pezzi, non per il consumo di droghe, ma per la reazione che ne è seguita.
L’università è legalmente libera di impiegare i membri della facoltà nei termini che vuole entro i limiti stabiliti nel contratto. Ma qui il problema è se si debba lasciare che questa assurda, controproducente guerra alla droga metta fine alla carriera di un distinto studioso e medico.
Gli attivisti hanno più volte fatto notare gli effetti terribili (terrore è la parola appropriata) della guerra alla droga sulle vulnerabili comunità. Purtroppo si tratta di comunità a cui mancano i muscoli politici per ricacciare indietro gli interessi particolari che traggono vantaggio dalla continuazione di questa guerra.
Riuscirà lo strazio di un professionista bianco, uomo, della classe medio-alta come Puliafito a svegliare almeno chi non trae profitto dalla guerra alla droga? Possiamo solo sperare che commentatori e politici si chiedano se è saggio o giusto criminalizzare il comportamento, chiaramente inoffensivo, o tuttalpiù offensivo per se stesso, di Puliafito.
L’Università della California del Sud fa ancora in tempo a riconoscere che il comportamento di Puliafito non merita la sua sospensione o lo sdegno del suo successore. E non è troppo tardi per attribuire l’orrore e l’oltraggio a chi ne è la causa: l’immorale guerra alla droga.