Di Grabriel Amadej. Originale pubblicato il 13 giugno 2017 con il titolo The Regime of Liberty. Traduzione di Enrico Sanna.
Questo è il settimo saggio della serie June C4SS Mutual Exchange Symposium: “Anarchy and Democracy.”
Il rapporto tra democrazia e anarchismo è indubbiamente controverso.
Nella sua opera Del Principio Federativo[1], Pierre-Joseph Proudhon evidenzia l’importante lascito della democrazia. Partendo dal principio secondo cui il Suffragio Universale è superiore alla Repubblica, è costretto a valutare il carattere della democrazia in termini ideali. Proudhon categorizza la democrazia come “regime della libertà” imparentato con la sua successiva evoluzione: l’anarchia:
“Noi conosciamo due fondamentali e antitetici principi alla base di tutti i governi: l’autorità e la libertà.
Regime dell’Autorità:
A) Governo di uno su tutti: monarchia o patriarcato;
B) Governo di tutti su tutti: panarchia o comunismo.
Caratteristica essenziale di questo regime, nelle sue due varietà, è l’indivisibilità del potere.
Regime della Libertà:
A) Governo di ognuno su tutti: democrazia;
B) Governo di ognuno su ognuno: an-archia o auto-governo.
Caratteristica essenziale di questo regime, nelle sue due varietà, è la divisione del potere.” ~ Pierre-Joseph Proudhon, Del Principio Federativo, capitolo II[2].
L’oppressione assume tante forme. Qualunque pratica della libertà può, a certe condizioni, cedere alla tirannia. Per quanto noi anarchici ci opponiamo alla democrazia, è sbagliato considerarla una tirannia in sé. Rispetto alla monarchia e al comunismo, la democrazia sta fermamente dalla parte della libertà. Proudhon è abbastanza saggio da evidenziare il fatto. Invece di appoggiare la democrazia, però, sostiene i principi dell’anarchia. E sebbene anarchia e democrazia abbiano importanti tratti comuni, Proudhon sta attento a non ridurre l’anarchia a democrazia.
Proudhon considera la democrazia uno strumento “…per dissolvere, sommergere e far scomparire il sistema politico o governativo in quello economico, riducendo, semplificando, decentrando e sopprimendo, uno dopo l’altro, tutti gli ingranaggi di questa grande macchina chiamata Governo o Stato.”[3]
Su queste basi Proudhon spiegava la sua accettazione del governo. Ai suoi tempi, la repubblica democratica era un sistema nuovo, mai sperimentato prima. Lui vedeva un potenziale intatto nella divisione costituzionale dei poteri, e cercava di estenderne la logica all’anarchia.
Duecento anni dopo, la nostra opinione sulla democrazia è diversa. Agli occhi di un anarchista moderno, i tentativi di riforma di Proudhon appaiono assurdi e destinati al fallimento. Ma noi abbiamo avuto due secoli per imparare. Ciò che è innegabile è che, pur non essendo anarchia, la democrazia ha seminato l’idea stessa dell’anarchia.
Se c’è relazione tra democrazia e anarchia, si tratta di relazione causale. Dobbiamo tutta la nostra tradizione alla democrazia: un passato importante da non trascurare.
Alcuni dei nostri compagni di viaggio hanno portato il principio in direzioni diverse. I comunisti, ad esempio, vorrebbero la democrazia diretta, un sistema in cui tutti possono partecipare ad un processo decisionale consolidato. Capiscono la critica proudhoniana della democrazia rappresentativa, ma poi confondono le stelle riflesse sull’acqua con il cielo stellato. Proudhon dà una chiara definizione del suo concetto di democrazia: governo di ognuno su tutti. E ovviamente considera quella diretta la democrazia più pura.
Occorre fare uno sforzo per vedere la critica proudhoniana della democrazia. È inglobata nella sua teoria della proprietà, e solo se capiamo quest’ultima possiamo capire anche la sua opposizione alla democrazia.
Quando la Proprietà è Furto, Quando è Libertà
Noi anarchici, nello spirito di Proudhon, quando affrontiamo il problema della proprietà dobbiamo porci alcune domande fondamentali. Fino a che punto la società dovrebbe essere divisa in particelle di proprietà privata, e quanto invece dovrebbe essere rimesso alle mani della comunità? La proprietà privata deve proprio esistere? E la proprietà pubblica? Si tratta di questioni centrali con cui Proudhon ha lottato tutta la vita. Ha cercato di trovare un equilibrio tra interessi della comunità e proprietà fino a sovrapporre in parte le due sfere, ma senza che una prevalesse sull’altra.
La democrazia rompe questo equilibrio e pone la società sotto il dominio indiscusso della comunità. I mezzi di sopravvivenza di ogni individuo arrivano a dipendere interamente dal suo rapporto con i suoi prossimi. È, come dice Proudhon, il governo di tutti su tutti, il che comprende ogni individuo che faccia parte dell’insieme.
È in queste condizioni che Proudhon afferma che anche la comunità è un furto. Ma mai, in nessuna delle sue opere, dice che la comunità rappresenta la libertà. A dispetto della sua nota dichiarazione secondo cui la proprietà è un furto, dice anche che la proprietà è libertà. La comunità era un problema, un enigma, al pari della proprietà.
“La proprietà è un furto” quando è un privilegio. Quando spartiamo i proventi dei fattori di produzione, facciamo essenzialmente un errore di calcolo. L’operazione congiunta della produzione (o quella che Proudhon chiamava “la collettività-unità” dei lavoratori) non è tenuta in conto quando i lavoratori ricevono la loro paga. È qualcosa di simile alla teoria del plusvalore di Marx, e l’interazione tra i due concetti è notevole. Li unisce un unico principio: se si lascia che la proprietà diventi dominante, il regime della libertà ne soffre.
“La proprietà è libertà” quando il lavoro controlla la propria produzione e l’individuo ha potere sovrano sui suoi mezzi di sopravvivenza. Questo controbilancia il dominio assoluto della comunità. Se la dimensione della proprietà diventa una forza totalizzante, il regime della libertà torna a soffrirne.
È lecito dire che una democrazia pura minaccia di rendere universale il dominio della proprietà. Sotto entrambi i regimi, la libertà ne soffre. L’anarchia non è né capitalismo né comunismo. È autogoverno, sovranità assoluta dell’individuo.
Non è auspicabile una società in cui la compravendita di beni avviene tramite il nesso di cassa. Né è auspicabile una società in cui l’accesso alle risorse è determinato dalla buona volontà del prossimo.
Bisogna risolvere la dicotomia, e la soluzione sta nel mutualismo proudhoniano.
Antidoto al Problema della Democrazia
Il nemico tradizionale degli anarchici è lo stato con il suo governo, un monolite totalitario con il privilegio del monopolio del potere e della forza sui suoi soggetti. Dunque è ovvio che un anarchico abbia come obiettivo assoluto la sua abolizione.
Proposito ammirevole, ma che ignora le dinamiche sociali sottostanti create da istituzioni come lo stato. Dobbiamo quindi concentrarci sul problema di fondo: l’autorità in generale. Questo significa che dobbiamo affrontare il problema del capitale sociale, il potere che un individuo o un gruppo può esercitare tramite il carisma, la reputazione, la manipolazione e in generale la capacità di muoversi all’interno dei giochi di potere della società. Questo significa anche che un anarchico deve tener conto tanto del bullismo scolastico quanto dello Stato, e l’abolizione dello Stato non è ciò che definisce la nostra politica, ma la sua conclusione incidentale.
Questa analisi può essere riportata al problema della democrazia. Quando si ignorano le dinamiche nascoste di potere che creano monoliti come lo Stato, si mette a rischio l’anarchia. Se il potere è una proiezione, un’ombra sul muro, allora si tratta di un’ombra chiaramente sociale. È una sorta di atteggiamento, richiede il giusto know-how, sapere quali fili tirare e quali persone manipolare. Possiamo dire che chi eccelle in queste attività è un “sociopatico”. Se è così, la domanda nuda e cruda è: chi eccelle in una democrazia? L’imprenditore rude con idee creative o il sociopatico carismatico che opera notte e giorno per piegare i suoi simili al suo volere?
Quando l’anarchismo si riduce a democrazia – quando ci accomodiamo ad accettare la democrazia come qualcosa di sufficientemente buono – favoriamo le condizioni che portano a strutture autoritarie di livello superiore. Con un sufficiente capitale sociale si può chiedere ogni cosa alla popolazione; si può riportare in vita la schiavitù, il feudalesimo, il capitalismo o qualunque genere di oppressione si voglia.
Ogni società anarchica ha in riserva un illimitato potere democratico, ma resta semplicemente anarchica perché si rifiuta di usare il potere democratico. L’anarchia porta alla democrazia, ma la democrazia non porta alla democrazia. Questo pone un problema peculiare: qual’è la forza sociale in grado di sminuire il potere democratico in una società anarchica? Il processo decisionale basato sul consenso non è l’inevitabile risultato del fatto che le persone si incontrano per risolvere i problemi?
Abbiamo altri strumenti a nostra disposizione, strumenti altrettanto degni di considerazione. Abbiamo in arsenale i meccanismi del mercato.
Il mercato porta con sé un potenziale liberatorio che le società attuali lasciano praticamente intatto. Se la democrazia è unità nella collettività, il mercato è unità nella differenza. Una persona può costruire una reputazione e affinare le sue capacità sui meriti ben al di là dell’ambito preesistente del capitale sociale.
Certo è vero che i mercati possono precipitare nella crisi: una reputazione sbagliata può rovinare l’impresa. Ma offrono meccanismi che vanno oltre l’atteggiamento sociale e che danno la possibilità di forgiare la propria vita; e offrono opportunità a chi vuole dimostrare il proprio valore alla società sulla base della qualità del proprio lavoro. I mercati offrono alla persona il diritto di uscire economicamente dal dominio assolutista della comunità, così come la comunità dà alla persona il diritto di uscire dal nesso di cassa.
Di importanza critica per la sopravvivenza dell’anarchia è il mutualismo, l’equilibrio tra proprietà e comunità. Un mercato non può essere libero senza beni comuni, e questi ultimi non possono essere liberi senza mercato.
L’anarchia, non la democrazia, dev’essere il principio guida della società, se non vogliamo che il nostro afflato rivoluzionario muoia nelle nostre menti.
Note
1. Pierre-Joseph Proudhon, Del Principio Federativo.
2. Pierre-Joseph Proudhon, Del Principio Federativo, capitolo due.
3. Pierre-Joseph Proudhon, L’idea generale di rivoluzione nel XIX secolo, quinto studio.