L’Economia Crudele

[Di Chad Nelson. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 19 aprile 2016 con il titolo The Inhumane Economy. Traduzione di Enrico Sanna.]

In un recente commento (Karma tastes delicious in America’s new, humane economy, Washington Post, 15 aprile 2016), Kathleen Parker plaude a quella che lei considera “una rivoluzione… nel regno sempre più rispettato degli animali.” Per la Parker, i segni di una rivoluzione sono evidenti: Da SeaWorld che non alleverà più orche ad Armani che non userà più la pelliccia per i suoi prodotti, fino a Walmart che promette uova prodotte “senza gabbie” entro il 2025, una “evoluzione frenetica” spazza l’economia americana. Questa evoluzione (o rivoluzione) avviene nei consigli di amministrazione di tutto il paese perché, secondo la Parker, gli esecutivi capiscono che “trattamento compassionevole degli animali e affari non si escludono a vicenda.”

L’unico problema di ciò che dice la Parker è che alle grandi aziende non importa una sega delle sventure degli animali tranne quando c’è da guadagnarci o risparmiarci sopra. Questa economia è tutto tranne compassionevole. Come quel criminale che si astiene dalla violenza solo perché teme di essere preso e condannato, così gli esecutivi introducono pratiche “compassionevoli” nella produzione alimentare e nell’industria del divertimento solo dopo che gli sono state legate le mani, dopo che hanno visto l’impatto che le denunce delle loro pratiche orribili hanno sui bilanci e sulle previsioni di vendita.

Vedete, anche se un amministratore delegato prova compassione per gli animali, la sua compassione vale solo finché ha effetto sugli utili della sua industria. Non appena cambiano i gusti dei consumatori, l’attivismo tace, o la competizione elimina i già sottili margini operativi, le torture e lo sfruttamento riprendono come prima. È quello che accade in queste circostanze. Gli alti dirigenti hanno l’obbligo verso gli azionisti di massimizzare il valore delle azioni. Sulla pelle degli animali, se necessario. Questi trucchetti significano che le aziende americane capiscono che si possono cavare profitti (o più probabilmente tagliare perdite) sfruttando l’Economia Compassionevole borghese propria della classe medio-alta buonista. Per capire quanto sono finte queste riforme, basta pensare a tutto il tempo che secondo loro è necessario per dismettere queste pratiche sfruttatrici.

A differenza delle discriminazioni basate sul sesso, la razza o altro, discriminazioni che oggi sono più strutturali che esplicite, i maltrattamenti animali sono un’orgogliosa, tracotante tradizione americana. L’americano consuma spudoratamente carne e derivati tre volte al giorno, guarda spettacoli in cui “si esibiscono” animali sottoposti ad addestramenti che sono torture, spara animali (spesso menomati) per sport, tutto senza risentimenti. Neanche un pensierino va alle condizioni deplorevoli di questi animali, che soffrono per soddisfare i gusti dei consumatori. Nessuna meraviglia se ci sono aziende pronte a soddisfare queste perversioni.

È il capitalismo che permette queste depravazioni. Il prodotto offerto al consumatore è convenientemente separato dal suo complesso processo produttivo, dando così al prodotto finale una natura a sé stante. Questo feticismo del prodotto, tanto per rubare un’espressione a Karl Marx, è parte integrante dell’attuale economia globale. Il prodotto che si presenta al consumatore, che stia nel piatto o sulle spalle, deve essere completamente scollegato dal processo produttivo che l’ha portato lì, particolarmente nel caso di animali. Questa alienazione è il paravento che serve a nascondere pratiche crudeli. Ma sono anche i consumatori ad avere un ruolo. “Non voglio saperlo” è diventato un refrain fin troppo diffuso a tavola.

Come al solito, in queste questioni lo stato è ancora più indietro. Se i riformisti aziendali con le loro riforme possono almeno fingere un certo interesse per gli animali, lo stato continua ad offrire loro una lucrativa rete di salvataggio legale. Anche se gli statuti si moltiplicano, restano comunque inefficaci finché gli animali sono classificati come proprietà. Perché si arrivi al processo occorre che la violenza sia così deliberata e ingiustificata che la persona non può giustificare il trattamento inflitto alla “sua proprietà”. Altrimenti si soppesano le ragioni delle due parti. E non ci vuole molto a far pendere la bilancia dalla parte dell’uomo. Il risultato è inevitabile in un regime in cui gli interessi di vita e di morte dell’animale interferiscono con le quotazioni di una società. Come potrebbe essere altrimenti quando una delle parti coinvolte è semplicemente una proprietà?

È bene non minimizzare il miglioramento dell’esistenza degli esseri più sfruttati al mondo, ma è anche bene far capire in cosa consiste questa riforma omeopatica chiamata Economia Compassionevole. È un processo troppo lento e non sufficientemente radicale. Un vero progresso colpirebbe il problema alla radice: l’animale classificato come proprietà.

Citazioni:

Chad Nelson, The Inhumane Economy, Counterpunch, 20 aprile 2016

Chad Nelson, The Inhumane Economy, Strategic Culture Foundation, 21 aprile 2016

Chad Nelson, The Inhumane Economy, Transcend Media Service, 25 aprile 2016

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