Di Kaan Göktaş. Originale: Earthquakes and Dictatorship, del 23 marzo 2023. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
All’alba del 6 febbraio 2023, la Turchia e la Siria settentrionale sono state scosse da due forti terremoti in successione. Sono state colpite seriamente undici città tra l’Anatolia meridionale e orientale e il Kurdistan siriano, dove vivono circa tre milioni e mezzo di persone. Il fatto che il terremoto sia avvenuto all’alba, quando tutti dormono, ha fatto sì che numerosissime persone siano rimaste intrappolate sotto le macerie. Decine di migliaia di edifici sono crollati immediatamente, tanti altri nelle ore successive.
Moltissime le vittime nelle prime 48 ore più cruciali. La causa è nella lentezza delle autorità turche, la mancanza di squadre di soccorso e di aiuti tempestivi, la mancanza di coordinazione tra le squadre esistenti, il collasso delle infrastrutture telefoniche mobili e il divieto imposto ai militari di intervenire nella ricerca e nel salvataggio nonostante la presenza di due grosse unità militari in zona. Quest’ultimo soprattutto per timore di colpi di stato da parte del dittatore islamista paranoico Recep Tayyp Erdoğan. Secondo testimonianze, quasi tutti i morti dei primi due giorni sono stati causati dal freddo: l’inverno rigido, più che le macerie.
A più di un mese di distanza, il governo continua a nascondere il numero dei morti. Secondo esperti civili e Ong, i morti sarebbero tra i 350 mila e i 400 mila; appena 47 mila secondo il governo, che ha nascosto il numero dei morti anche durante la pandemia.
Dopo due giorni di assenza dai media, il presidente turco è comparso in televisione e ha minacciato chi denuncia la mancanza di soccorsi e l’inadeguatezza delle istituzioni statali. “Stiamo prendendo nota di tutti quelli che criticano il governo,” ha detto. “Quando arriverà il momento sapremo cosa fare.” Nella stessa trasmissione, ha annunciato lo stato di emergenza nella zona, con poteri straordinari antidemocratici per il governo.
Dopo le minacce, le istituzioni, lente a rispondere al disastro, si sono mosse rapidamente per imporre il silenzio alle proteste e alle critiche. L’accesso a Twitter è stato bloccato. Gli utenti sono stati costretti a connettersi utilizzando un VPN. La reazione energica di organizzazioni non governative e gruppi solidali che operavano nella zona, che usavano Twitter per l’organizzazione, hanno portato alla rimozione del divieto dopo un giorno. Il giorno dopo è stato chiuso Ekşi Sözlük, un forum simile a Reddit, tra i più frequentati nel paese, assieme ad altri 300 account e siti, quasi tutti facenti capo all’opposizione. I siti al momento restano chiusi. Giornalisti turchi e stranieri sono obbligati ad avere un “permesso” di un’autorità governativa, una misura che serve ad evitare che diano una cattiva immagine riportando la verità. I permessi sono rilasciati arbitrariamente. Mahmut Altıntaş dell’agenzia Mezopotamya e Sema Çağlak di JINNEWS sono stati fermati nella città di Urfa mentre cercavano di fotografare le rovine. Secondo testimonianze, Mehmet Güleş, sempre di Mezopotamya, è stato trattenuto assieme alle persone che stava intervistando, in seguito alle critiche dei volontari riguardanti le operazioni di salvataggio. I giornalisti trattenuti sono accusati di “falsificazione” e “diffusione di informazioni false” sulla base di dichiarazioni fatte da fonti giornalistiche non pubblicate.
Dodici giorni dopo le scosse, la “caccia alle streghe” si è estesa ai social. La polizia ha annunciato di aver identificato i proprietari di 771 account, 127 persone sono state trattenute e altre 24 arrestate per aver diffuso scritti ritenuti offensivi, soprattutto su Twitter e Facebook.
Diretto dal dittatore Recep Tayyip Erdoğan, il governo cerca di insabbiare i tanti scandali relativi al terremoto, e intanto avvia una campagna propagandistica da fare invidia alla Germania di Hitler. Il consigliere della comunicazione presidenziale Fahrettin Altun, conosciuto come il Goebbels del dittatore Erdoğan, ha lanciato, con l’aiuto dei suoi fantocci sui media, una campagna dal titolo “La sciagura del secolo”. La campagna si avvale di un filmato spettacolare di qualità professionale per spacciare dati tecnici fuorvianti che, sfruttando l’enormità del terremoto, tentano di giustificare l’incapacità e l’inettitudine dello stato nel rispondere all’evento.
Per l’occasione è stato acquistato un frequentatissimo account su Twitter, ribattezzato “La sciagura del secolo”. Il video, pubblicato sull’account, è stato condiviso e diffuso in dimensioni virali da account fantoccio filogovernativi. Oltre al video, l’account condivide infografiche che fanno il confronto con altri terremoti e contengono informazioni fuorvianti. Dopo una reazione furiosa, il video è stato cancellato dagli account di Asrin Felaketi su Twitter, Youtube e Instagram. In seguito sono stati chiusi anche gli account su Twitter e Youtube. Secondo un organo di stampa indipendente sia l’account che il video sono stati creati e gestiti da una società molto vicina al governo.
A supporto legale di tutto ciò una legge nota popolarmente come “la legge censoria”, approvata dal dittatore Erdoğan e il partito che lo appoggia, il razzista MHP, pochi mesi prima del terremoto. La legge, definita dal governo “legge contro la disinformazione” ma nota al pubblico come “la legge censoria”, prevede l’arresto per chi, tramite un account nei social o un sito, pubblica “informazioni fuorvianti”, con l’anonimato come “aggravante”. Un utente che su Twitter critica il governo sotto pseudonimo (come fa la maggior parte), anziché col proprio nome, subisce un raddoppio della pena. La legge autorizza polizia e tribunali a richiedere informazioni e metadati riguardo gli utenti delle piattaforme più importanti. Nel caso in cui Twitter, ad esempio, non dovesse rispondere alla richiesta delle autorità di fornire informazioni su un certo indirizzo ip, come il telefono e l’indirizzo email, possono scattare sanzioni che vanno dalla multa al divieto di pubblicare pubblicità in Turchia.
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