Di Camilo Gómez. Originale pubblicato il 16 novembre 2019 con il titolo Chile and the Limits of Neoliberalism. Traduzione di Enrico Sanna.
Foto di Susana Hidalgo, Instagram
Numerose proteste attraversano l’America Latina e il mondo, ma quelle cilena assume i connotati di un deciso rifiuto del neoliberalismo. In passato il Cile era additato come esempio economico per la regione in quanto presunto promotore del “libero mercato” e edificatore di solide istituzioni. La realtà è che i problemi del Cile risalgono proprio al golpe appoggiato dagli Stati Uniti nel 1973 contro l’allora presidente il socialista Salvador Allende. Iniziò allora con Pinochet quell’esperimento neoliberale che, contrariamente a quanto si crede, non risolse il problema della povertà. Fu solo con il ritorno alla democrazia e con la coalizione socialdemocratica che si ebbe una gestione molto migliore dell’economia e un calo significativo della povertà.
I socialdemocratici, però, non modificarono le basi del sistema imposto da Pinochet, un sistema basato sulla disuguaglianza. Non combatterono la corruzione della polizia e dell’esercito, con i loro budget stratosferici e il continuo uso ingiustificato della forza. Lo stato ha dichiarato guerra alle popolazioni indigene Mapuche. Lungi dal rappresentare un’utopia libertaria, il Cile è diventato un paradiso per le classi rentier che alimenta un capitalismo clientelare in cui i ricchi non pagano le tasse mentre i poveri devono fare le collette per pagare gli interventi chirurgici.
Critici e difensori del neoliberalismo sono in errore. In nome del libero mercato, è in atto una regolamentazione, non una deregolamentazione, come spiegano storici come Quinn Slobodian. Come si può, in tutta onestà, etichettare come laissez-faire un regime militare come quello imposto da Pinochet, che ancora vanta molti fan tra i cileni e la destra nazionale?
È vero che la povertà è calata, ma è anche vero che le medicine costano più che in Danimarca e i beni di prima necessità costano più che in Olanda. La classe media è molto più fragile rispetto ad altri paesi della regione. Per una famiglia della classe media è molto facile scivolare nella povertà, basta un paio di mesi di sfortuna per mandare in fumo anni di lavoro. In più c’è il fatto che la crescita economica negli ultimi mesi è rallentata.
È in questo clima che sono cominciate le proteste alcune settimane fa, quando la gente ha appreso che le tariffe della metropolitana sarebbero cresciute di 30 pesos, pochi centesimi di euro a corsa. Potrebbe sembrare poca cosa, ma la gente era stanca ed è bastato un meme a far scattare le proteste, prima nelle stazioni della metro e poi in tutto il paese. Alcuni scoppi, causate da alcuni manifestanti, sono diventati il pretesto della repressione. Il governo ha mobilitato l’esercito con i carri armati. Venti persone sono morte, molte sono state ferite e migliaia arrestate. La popolazione non demorde. Le proteste, nonostante il coprifuoco, sono state massicce. A Santiago, oltre un milione di cileni hanno protestato contro il governo.
Essendo il presidente Piñera a capo della coalizione conservatrice al governo, si potrebbe pensare che dietro al movimento di protesta ci sia l’opposizione di sinistra, ma così non è e molti manifestanti si dichiarano semplicemente contro un sistema sostenuto in parlamento anche dai socialdemocratici e dai comunisti. La vera opposizione a Piñera viene da un movimento spontaneo che vuole il cambiamento della società oltre gli spettri delle politiche corporative e nazionaliste. Per questo, accanto alla bandiera cilena sventola il simbolo dei Mapuche.
La protesta va ben oltre la violenza di pochi; c’è chi suona, chi danza, famiglie intere sfilano sfidando la polizia. Ci sono anche elementi di colore, come la Brigata Antifascista Otaku, un gruppo di anarchici con costumi e cartelli di protesta in stile cartoni animati. Il potere ha paura. La moglie di Piñera, rappresentante di una classe di potere distante, ha definito i manifestanti una “invasione aliena”.
La gente è arrabbiata, per questo chiede le dimissioni del presidente. Piñera ha fatto un rimpasto, ma non basta. Sembra di essere tornati ai tempi di Pinochet, con i militari per le strade, neanche la Cina ha fatto altrettanto a Hong Kong. La rivolta continua nonostante misure populiste del governo, come l’aumento dei salari. Per molti manifestanti, il problema fondamentale è la disuguaglianza al cuore del sistema neoliberale, un sistema che vede ricchi e classe politica alleati a difesa dei loro interessi e contro i poveri e le comunità marginalizzate. Il sistema neoliberale è nato in Cile e lì morirà, questo l’obiettivo finale.