Il Destino Domestico del Militarismo Americano
Di Kelly Wright. Originale pubblicato il 12 giugno 2018 con il titolo Tyranny Comes Home: The Domestic Fate of U.S. Militarism. Traduzione di Enrico Sanna.
“Il grande Randolph Burne capì che ‘la guerra è la salvezza dello stato’. È nella guerra che lo stato si realizza: amplia il suo potere, le sue dimensioni, il suo orgoglio, fino a diventare il signore assoluto dell’economia e della società.” ~ Murray Rothbard
In Tyranny Comes Home, Christopher Coyne e Abigail Hall spiegano cosa lega l’imperialismo americano all’estero con la concentrazione e il consolidamento del potere in patria tramite le istituzioni preposte al rispetto della legge. Diciamo subito che, essendo Coyne e Hall sono entrambi economisti, il tema ricorrente del libro è un réfrain che chiunque abbia dimestichezza con questioni economiche conosce: gli incentivi contano. Le persone rispondono agli incentivi, e questo vale tanto per il consumatore che pondera gli acquisti al supermercato quanto per l’ex soldato che torna a casa per fare carriera nella polizia.
Tyranny Comes Home è un eccellente mix di storia, politica e economia che illustra le vicende della militarizzazione della polizia. Quest’ultima è motivo di preoccupazione, ed è di drammatica attualità. Vediamo immagini preoccupanti di poliziotti in mimetica, con armi automatiche d’assalto, equipaggiamento di sorveglianza (la sorveglianza dei cittadini americani), blindati (anche antimina), su su fino ai lanciagranate e ai velivoli.
Coyne e Hall insistono sulla reazione poliziesca che ebbe luogo a Ferguson, nel Missouri, in seguito alle proteste innescate dall’uccisione di Michael Brown da parte dell’agente Darren Wilson, e poi riaccese dalla decisione del gran giurì di non incriminare Wilson per assassinio. Altro episodio di nota è stata la presenza della polizia in occasione delle proteste per l’assassinio di Eric Gardner a New York e Freddie Grey a Baltimora. Se questi ultimi rappresentano uno sfoggio di forza militarizzata da parte dei dipartimenti di polizia, la politica che sta alla base di questa dimostrazione di forza, spiegano gli autori, nasce quasi un secolo prima con l’occupazione statunitense delle Filippine durante la guerra ispano-americana alla fine del diciannovesimo secolo.
Coyne e Hall spiegano in dettaglio come strumenti e tattiche militari nate per controllare popolazioni estere finiscano inevitabilmente per tornare a casa come un boomerang, con il risultato che i dipartimenti di polizia usano contro la popolazione le stesse tattiche e la stessa mentalità del tipo “noi contro loro” generata dai conflitti all’estero. Mettono soprattutto in risalto l’importanza del concetto di “capitale umano”, un concetto forse completamente ignoto a quei politologi e storici che non hanno dimestichezza con il pensiero economico.
Verso la metà del libro gli autori notano: “Secondo un sondaggio dell’Associazione Internazionale dei Comandanti di Polizia, l’86 percento dei capi di dipartimento dichiara di avere in servizio veterani impiegati in guerra negli ultimi cinque anni.” La tendenza secolare fa sì che armi e tattiche militari col tempo passino alle forze di polizia. L’esempio più evidente è rappresentato dallo sviluppo delle squadre Swat nella Los Angeles degli anni settanta ad opera di reduci della guerra in Vietnam. Spiegano Coyne e Hall come Daryl Gates, uno dei fondatori delle prime squadre, avesse inizialmente proposto come nome “Special Weapons and Attack Team” (squadra d’assalto con armi speciali, ndt), nome mutato in “Special Weapons and Tactics” (armi e tattiche speciali, ndt) per ordini superiori.
La parte più interessante del libro è la storia di come le armi da guerra e le tattiche siano gradualmente passate ai comandi di polizia. Per gran parte della storia americana, il governo federale non ha avuto compiti di polizia, essendo i dipartimenti finanziati ed equipaggiati dagli stati e le amministrazioni locali. Le cose cominciano a cambiare con la guerra alla droga e al terrorismo. Coyne e Hall notano come queste “guerre” non abbiano scopi limitati come le guerre tradizionali. Non esistono limiti geografici o temporali. Chi firma il trattato di pace o il cessate il fuoco in una guerra alla droga? I dipartimenti di polizia dovettero cambiare tattica, e improvvisamente ogni cittadino divenne un sospetto, se non un “nemico in armi”. L’atteggiamento del poliziotto mutò da “proteggere e servire” a “applicare la legge”.
La tendenza accelerò subito dopo gli attacchi dell’undici settembre, con l’approvazione della Patriot Act poche settimane dopo. Gli autori notano come la Patriot Act rappresenti la riforma più significativa nella storia del governo federale. Creò diverse nuove agenzie federali, come l’agenzia per l’immigrazione e le dogane (Ice), l’amministrazione dei trasporti e della sicurezza (Tsa), l’agenzia per la gestione delle emergenze (Fema), tutte sotto l’ombrello del nuovo dipartimento per la sicurezza nazionale (Dhs), un dipartimento di gabinetto che Coyne e Hall descrivono come “dipartimento della difesa in patria”.
Nella guerra al terrorismo rientra l’infame Programma 1033, che agevola il trasferimento delle armi da guerra direttamente ai dipartimenti di polizia. Di per sé, questa sarebbe una brutta minaccia alla libertà; come notano gli autori del libro, però, invece di regolare l’uso di queste armi, il programma 1033 stabilisce che i dipartimenti sono tenuti ad utilizzare le armi entro un anno dalla consegna, pena la restituzione al Pentagono. Questo spinge la polizia ad utilizzare, in casa e contro la popolazione locale, equipaggiamenti originariamente sviluppati per zone di guerra.
Coyne e Hall descrivono lungamente tattiche ed equipaggiamenti usati nonché la tendenza a trasferirli localmente. Tra gli equipaggiamenti, i droni, dispositivi di spionaggio come stingray (in origine pensato per la guerra in Iraq), un finto ripetitore di segnale telefonico per spiare sospetti, e tra le tattiche anche la tortura. Il libro arriva in un momento opportuno, dato l’attuale stato delle cose sotto l’amministrazione Trump, anche se è importante notare come gran parte di queste politiche, se non tutte, siano state messe in pratica o abbiano avuto precedenti nelle passate amministrazioni.
Il libro ha un fondo pessimistico. Sono quasi inesistenti le limitazioni che possano arginare l’ondata militarizzatrice della polizia in quanto quest’ultima è figlia dell’avventurismo militare all’estero. Coyne e Hall citano spesso quello che loro chiamano il paradosso del governo: il governo ha il potere di proteggere la libertà ma ha anche il potere di toglierla. Se il potere degli Stati Uniti è fortemente limitato in patria, all’estero non conosce limiti, e questo fa delle guerre un laboratorio per nuove pratiche di controllo sociale. Tra gli scarsi consigli rivolti agli americani c’è quello di opporsi ai massicci interventi militari all’estero. Secondo il loro ragionamento di fondo, “la capacità del governo statunitense di portare avanti azioni militari richiede un supporto attivo degli americani alla politica estera, o uno indiretto tramite l’indifferenza.”
Dopo aver letto il libro, resta l’impressione che la militarizzazione della polizia, così come si è manifestata in reazione alle proteste di Ferguson, Baltimora, New York e in decine di altre città, resterà finché il governo statunitense manterrà il suo ruolo di poliziotto mondiale. Interventismo all’estero significa praticamente garanzia di asservimento in patria. Dato che il Programma 1033 è inaccessibile ai civili, la nostra arma resta la conoscenza. Il New York Times mette a disposizione una mappa interattiva con cui è possibile sapere quali equipaggiamenti da guerra possiede ogni singolo dipartimento di polizia. Sta a noi apprendere quali casini la polizia locale sta progettando, informare la comunità e magari anche contattare i rappresentanti eletti affinché impongano limitazioni.