[Di Ryan Calhoun. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 19 febbraio 2017 con il titolo A Nation of Immigrants, A Nation of Criminals. Traduzione di Enrico Sanna.]
“Hanno violato la legge.” Con questa frase chiudiamo un occhio su un’enorme ingiustizia di questo paese. Ultimamente è ripetuta come un mantra da chi sostiene la necessità di espellere gli immigrati irregolari e ha bisogno di una buona scusa per trascinare le persone fuori dalle loro case e dividere le famiglie. “Se entri in questo paese da fuorilegge,” è la loro logica, “che diritto hai di stare qua? L’America non ha bisogno di altri fuorilegge!” Chi dice così si presenta spesso come patriottico e difensore dei valori e della tradizione americana. Io invece penso che il loro sia un patriottismo falso, un patriottismo ignorante, un patriottismo indegno.
Nel bene e nel male, l’America è sempre stata un paese di fuorilegge. La storia dell’America comincia con un atto fuorilegge di massa, quando il peso dell’impero britannico spinse molti coloni al tradimento e all’insurrezione, reati ancora oggi punibili con la morte. I crimini dell’America coloniale, però, non si esauriscono affatto in atti di ribellione politica. Prima che l’Australia diventasse la principale colonia penale britannica, migliaia di condannati furono mandati in America. A questi si aggiunsero quei fuorilegge arrivati spontaneamente, nelle navi pirata. I fuorilegge che infestavano i mari nel diciannovesimo secolo consideravano le città coloniali un luogo sicuro in cui sfogare le proprie tendenze libertine.
Anche dopo la rivoluzione, per lungo tempo la cultura delinquenziale è rimasta legata all’identità nazionale americana. L’iconografia americana abbonda di omaggi a delinquenti e imbroglioni di ogni sorta. Il cinema western, la quintessenza dell’americanità, ha romanticizzato i fuorilegge e gli antieroi di frontiera del diciannovesimo secolo. Negli anni 1920, quando il proibizionismo diventò legge costituzionale, americani di ogni classe ed etnia si rifiutarono di obbedire, diventarono gangster e contrabbandieri, o cedettero alla malavita l’attività. La propaganda descriveva gli italoamericani come persone inestricabilmente legate alla cultura mafiosa. Era un falso, anche se non c’è dubbio che italiani e altre minoranze immigrate confidavano spesso nel crimine, organizzato e non, per arricchirsi. Ma questo non portò lo zeitgeist nazionale a rivoltarsi contro questi comportamenti fuorilegge. Anche loro sono stati immortalati nell’immaginario collettivo per i loro intenti ribelli e spavaldi, anche quando erano chiaramente loschi.
E non posso non citare l’importanza collettiva della disobbedienza civile. Henry David Thoreau, rustica icona letteraria americana, coniò l’espressione e la mise sulla prima pagina del pensiero politico estremo. Gli abolizionisti, e chiunque nel corso della nostra storia abbia lottato per la libertà e i diritti civili, hanno portato questa filosofia nelle strade e nelle attività antischiaviste. Più volte quegli americani che riveriamo tanto per la loro moralità e coraggio sono finiti in cella.
C’è da imparare dalla storia? Qualcuno sicuramente dirà che questi esempi possono essere visti con indulgenza perché, dopotutto, il passato è passato. Dobbiamo tollerare il crimine semplicemente perché i nostri antenati erano grandi criminali? A questo punto vorrei tornare all’attuale ondata criminale in America. No, non mi riferisco alle false accuse di questa amministrazione secondo cui c’è una crescita dei crimini o la polizia è sempre più vittima di violenze. Mi riferisco al nostro sistema giudiziario, che produce criminalità più di quanta non ne giudichi. Viviamo in un paese in cui le possibili attività criminali sono praticamente infinite. Davvero, il governo federale non riesce neanche ad enumerare tutte le restrizioni legali imposte. La realtà è che nessuna persona presumibilmente innocente in questo paese sa se è un fuorilegge, ma probabilmente lo è. Invece di “Ho commesso un reato?” bisognerebbe chiedersi “Che reati ho commesso?” Trovata o meno la risposta a questa domanda, chiedetevi se dovreste essere tolti alla vostra famiglia o comunità a causa del vostro comportamento fuorilegge.
Neanche i politici possono evitare di commettere reati. Sono molti i casi seri e minacciosi della nostra storia, ma preferisco citare la recente avventura dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Mike Flynn. Mentre parlava delle sanzioni americane con l’ambasciatore russo, ha violato una legge del 1799 nota come Logan Act. Probabilmente non verrà processato, nessuno viene mai processato. Gli esponenti dello stato solitamente non sono responsabili neanche per fatti più gravi, come la violazione delle leggi costituzionali. Flynn ha commesso un reato che forse neanche lui conosceva, e questa sta diventando una caratteristica americana.
L’America è al primo posto nel mondo con la sua ben nota popolazione carceraria da record. Oltre due milioni di persone vivono sotto custodia. Molti americani cominciano a considerare questo sistema insopportabilmente punitivo e inefficiente. Ma gli immigrati, con o senza documenti, sono statisticamente sottorappresentati. Secondo ricerche pluridecennali, chi è nato e cresciuto qui ha più probabilità di commettere reati di un immigrato. Cominciamo a capire che prendere un criminale dalla sua casa e metterlo in cella o in un centro per immigrati non elimina le preoccupazioni delle vittime dei crimini violenti che tutti condanniamo.
Arriviamo al punto. È vero che gli immigrati senza documenti sono entrati illegalmente o sono rimasti dopo la scadenza dei termini. Questo è un atto illegale. Questo è ciò che sappiamo. Quello che ancora non sappiamo è come rispondere. È vero, espellere queste persone è un atto legale. Chi confida nella legge per giustificare l’espulsione non riconosce che anche non espellere è legale, e anche il condono. Qual è il bene dell’espulsione? Ammettendo anche di espellere dalla società un individuo pericoloso, davvero pensiamo che sia il nostro ideale di giustizia? Storicamente, togliere i criminali dalla società non serve a liberarla dagli individui violenti. Anzi, li incoraggia. E poi, come detto più su, la stragrande maggioranze di chi entra illegalmente nel nostro paese non va a commettere crimini.
Per capire cosa voglio dire basta considerare la grossa trappola tesa questa settimana dalle autorità immigratorie, che hanno preso di mira una donna che ha cercato di denunciare il compagno per abusi domestici. È stata fatta giustizia, o si tratta dell’ennesimo atto di crudeltà contro un membro vulnerabile di una comunità americana? Favoriamo l’abuso e poi togliamo di mezzo le vittime, dando agli agenti federali il potere di fare alle persone ciò che noi non vorremmo mai che fosse fatto a noi, o a chiunque, e tutto perché loro hanno il distintivo giusto e le armi giuste. Ogni giorno, a persone come questa donna è impedita l’autodifesa, pena gravi conseguenze legali. Se questi sono i criminali, al diavolo la legge.
Dobbiamo sbarazzarci di questa inquisizione che colpisce chi è entrato nel nostro paese senza un pezzo di carta. Voi non vi opponete alla violenza di strada. La incoraggiate quando sfonda le porte e distrugge le famiglie del vostro vicinato. Non state proteggendo la sacralità della legge, perché non si possono proteggere le leggi se queste non hanno un limite definibile. Agli occhi della legge siamo tutti colpevoli. Voi non difendete i valori della vostra amata patria. Chi viene qui per migliorare la propria vita, lotta per partecipare alla tradizione americana come voi non vi trovate mai a dover fare. Il vostro patriottismo è solo amore per un passato insensibile del nostro paese, un paese che era, è e sarà sempre fatto da immigrati. L’unica differenza tra voi e chi viene da fuori è che voi avete il privilegio di vivere senza conoscere i reati che commettete. Loro sapevano a cosa andavano incontro, i pericoli e le stigmate a cui si esponevano. La loro sfida è una sfida americana. La loro lotta è una lotta americana. Il loro crimine è il crimine americano, e il crimine americano è l’unico che vale la pena non avere.