L’eccezionalismo Fuorviante delle Relazioni USA-Israele

Di Mila Ghorayeb. Originale: The Misguided Exceptionalism of US-Israeli Relations, del 28 febbraio 2019. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

Quando qualcuno parla di Islam o di stati a maggioranza musulmana sento che qualcosa non torna. Non che l’argomento sia del tutto sbagliato; è più l’espressione. Sono luoghi comuni come “barbarico” e “selvaggio” che, comprensibilmente, irritano. Dopotutto, tutta la storia del colonialismo in Medio Oriente e in Africa poggia spesso su tropi che parlano di indigeni “incivili” e una persona di sinistra deve, o dovrebbe, evitare la retorica coloniale. Capita, però, come spiego altrove, di sentire parole che non sono altro che retorica coloniale aggiornata.

Similmente, capita di sentire critiche contro Israele che, pur non criticandolo in quanto stato ebraico, poggiano su pericolosi luoghi comuni sugli ebrei. Come dico altrove, noi di sinistra dovremmo ascoltare gli ebrei e cercare di evitare critiche sulla base di stereotipi oppressivi. Il che spesso succede. A volte, esprimendo un’idea politica di sinistra, il nostro concetto di realtà finisce per essere influenzato da ideologie egemoniche. Se riconosciamo l’esistenza di un’ideologia dominante, il suprematismo bianco, dobbiamo anche riconoscere che col tempo abbiamo finito per far nostri pericolosi luoghi comuni riguardo gli emarginati dell’ideologia bianca.

Il suprematismo bianco ci porta a vedere il rapporto tra Israele e gli Stati Uniti come qualcosa di eccezionale. Non è una questione di destra o sinistra. A destra c’è chi sostiene l’eccezionalità di Israele su basi evangeliche, perché Israele porterà la seconda venuta di Gesù Cristo. E a sinistra c’è chi accusa Israele di essere il cane da guardia della politica americana, il che porta gli Stati Uniti a curarsi più di Israele che della politica interna. Quest’ultimo argomento in particolare risveglia certe accuse infamanti di doppia fedeltà, altro concetto storicamente antisemita. Tutte parole che non dovrebbero stare in un movimento che dice di voler combattere il suprematismo bianco.

Perché questo è il problema. Agli occhi della politica statunitense, Israele non ha niente di eccezionale. Dire che Israele ha un potere eccezionale sugli Stati Uniti, trascurando gli altri modi in cui il denaro si impone sulla politica americana, significa scadere in stereotipi suprematisti. Dobbiamo invece vedere il problema concentrandoci su due aspetti.

Primo, il governo americano non rappresenta democraticamente gli interessi quotidiani degli americani. È formato da pochi ricchi le cui attività finanziarie conoscono ben poche regole. Tutti hanno interessi economici personali, e non c’è alcuna ragione per credere che il loro operato sia guidato da ragioni puramente ideali, fuori dai loro interessi egoistici.

Secondo, le classi ricche hanno tutto da guadagnare quando sostengono quegli stati che collaborano e che sono allineati con i loro interessi. E Israele è tra questi, è lo strumento che consente agli Stati Uniti di difendere i propri interessi in Medio Oriente. Gli Stati Uniti ricevono informazioni su eventuali “minacce” antiamericane e Israele guadagna vendendo strumenti militari agli Stati Uniti. Ma, ripeto, in questo non c’è niente di eccezionale. Gli Stati Uniti hanno un simile rapporto di alleanze vantaggiose con stati come l’Arabia Saudita e il Bahrein, che hanno contribuito alla brutale soppressione delle proteste filodemocratiche in Bahrein e all’uccisione di innumerevoli civili nello Yemen. Gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione di alleanze con governi di destra.

Non dico che la sua malvagità è unica, ma non posso neanche tacere il fatto che Israele e il governo di Nethanyahu rientrano tra quei governi di destra che collaborano con gli interessi internazionali degli Stati Uniti. Israele non è un problema a sé ma rientra tra quei ricchi e potenti regimi antidemocratici alleati sotto l’egemonia mondiale degli Stati Uniti. E non è neanche una questione di élite che complottano per controllare le nostre opinioni politiche. Si tratta invece di attori razionali che operano in posizioni di potere in un sistema capitalista giustificandosi con spiegazioni di comodo.

Diciamo allora che Israele non è eccezionale in termini di azione politica statunitense. Gli Stati Uniti non sono controllati dai loro alleati, ma sono influenzati dalle alleanze e hanno interesse a tenerle in piedi. Non è che gli Stati Uniti senza queste influenze sarebbero liberi. È che i loro interessi geopolitici richiedono l’alleanza con forze antidemocratiche. Israele è una delle tante forze di destra di quest’alleanza.

Neanche il ruolo che ha all’interno di questa alleanza egemonica fa di Israele un’eccezione. Il governo israeliano di destra trae benefici dall’alleanza con altri governi di destra. Questo significa che Israele può influire sulla politica americana senza “controllare” alcunché, così come gli Stati Uniti e gli altri stati coinvolti si influenzano a vicenda continuamente. Se allearsi con Israele è negli interessi delle élite americane e i rappresentanti americani rappresentano solo se stessi, allora è questo che determina la politica. Non c’è un controllo reciproco. Sarebbe assurdo dire che gli Stati Uniti non hanno un potere egemonico ma sono una pedina di Israele. È più corretto dire che i politici americani sono costretti a sostenere incondizionatamente Israele: per il loro interesse, ovviamente, non necessariamente per quello di Israele. Ma questo sostegno a Israele non ha nulla di eccezionale. Nel sostegno all’Arabia Saudita, ad esempio, io non vedo una difesa degli interessi dei musulmani, e credo che moltissimi musulmani americani concorderebbero. Possiamo essere contro il sostegno che i politici accordano all’Arabia Saudita e ad altri stati simili e denunciare gli interessi degli Stati Uniti nel sostenere questi regimi.

Al cuore del problema c’è l’eccezionalismo americano, che fa credere che gli Stati Uniti sono una democrazia genuina se forze esterne non vi intervengono. La smentita è nel comportamento americano a livello internazionale. I politici americani hanno contribuito a finanziare al Qaeda e i suoi affiliati e a rovesciare governi eletti democraticamente per creare condizioni favorevoli ai loro interessi.

Spesso però è più facile e rapido usare la terminologia e il quadro di riferimento del suprematismo bianco dominante. Si finisce così per usare concetti convenzionali suprematisti, come il luogo comune secondo cui gli ebrei controllano gli Stati Uniti, o che gli stati mediorientali sono canaglie incivili che bisogna tenere a bada.

Le critiche di Israele dovrebbero rimanere nel quadro di riferimento delle relazioni tra gli Stati Uniti e il Medio Oriente. Una critica mirata e contestualizzata evita quei dannosi stereotipi che portano a vedere in Israele uno stato d’eccezione fuori dalla critica anticapitalista e antimperialista.

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