Di Aaron Koek. Originale pubblicato il 19 marzo 2020 con il titolo War Anarchic: Arminius. Traduzione di Enrico Sanna.
Questo saggio è stato pubblicato originariamente su Black Star Writings.
La resistenza contro l’oppressore può spesso sembrare un’azione titanica, se non impossibile. Affrontare le massicce forze di polizia o i militari può rendere futile la nostra resistenza. Io però penso che sia possibile opporsi anche alle più grandi istituzioni di dominio del nostro tempo non attaccandole frontalmente, ma opponendo resistenza ai nostri termini, con il potere di cui disponiamo. L’esempio massimo è rappresentato dalla resistenza che Arminio oppose all’Impero Romano.
L’impero romano (27 a.C.-476 d.C) nacque dalle lotte intestine che portarono alla caduta della repubblica. Quest’ultima precipitò nel turbinio di lotte di fazione tra famiglie aristocratiche, e il risultato fu la pseudo dittatura di Cesare e poi l’incoronamento del suo figlio adottivo Ottaviano (poi Augusto) a primo imperatore di Roma. Al termine di lunghe lotte tra fazioni della tarda repubblica, dopo l’elezione a console nel 28 a.C., Augusto cercò di riunificare Roma conquistando grande fama. Il 27 il senato romano, dopo aver rigettato la sua richiesta di dimissioni da console, massima autorità romana, gli affidò il governo dell’Africa, la Spagna e la Gallia, lasciando il resto al senato.
L’incarico segna sostanzialmente la nomina di Augusto a primo imperatore di Roma (27 a.C.-14 d.C.), dando inizio ad un periodo di crescita infrastrutturale e territoriale. La pace garantita dall’unità romana garantiva il commercio al suo interno, mentre con l’espansione delle frontiere si arrivò ad imporre, con mezzi politici e militari, con annessioni e guerre, una serie di stati clientelari. Tra questi, i territori al di là del Reno.
Era qui, nella Germania Magna, che viveva la tribù dei Cherusci di Arminio (18 a.C.-19 d.C). Figlio del capotribù Segimer, Arminio fu catturato dai romani e cresciuto come un romano. Intraprese la carriera militare, e ottenne non solo la cittadinanza romana, ma anche il titolo di equestre. L’8 d.C Arminio fu trasferito nella regione del Reno agli ordini del governatore Publio Quintilio Varo.
Nel tentativo di acquisire al territorio romano la Germania Magna, Varo si servì della mano pesante con la popolazione locale, imponendo tributi e trattandoli come schiavi. Nell’estate del 9 d.C. marciò con tre legioni e numerose forze ausiliarie nel cuore del territorio cherusco per imporre tributi e chiedere l’obbedienza alla legge romana. Arminio ebbe così l’opportunità di riunirsi con la sua famiglia e la tribù. Assieme al padre Segimer, rassicurò Varo riguardo l’occupazione romana.
Ma era un inganno. Per esperienza personale e per averlo visto di persona, Arminio sapeva come Roma trattava il suo popolo. I Cherusci avevano avuto qualche riconoscimento a Roma, ma era una farsa, i romani continuavano a prendere i giovani per mandarli in guerra e rubavano le loro risorse. Davanti a ciò, Arminio cercò il modo per ribellarsi contro l’occupazione romana.
Non era cosa facile, dato che l’esercito romano era ben equipaggiato e addestrato rispetto alle tribù germaniche. E fu qui che l’esperienza di Arminio nell’esercito romano diventò molto utile. La sua conoscenza delle strategie e delle tattiche usate dai romani permise a lui e ai suoi uomini di sviluppare un piano che desse loro il massimo vantaggio possibile sfruttando le debolezze della dottrina militare romana.
Bisognava prima di tutto far uscire l’esercito romano dalla sua ampia e facilmente difendibile postazione in campo aperto. Con l’arrivo dell’autunno, i romani tornavano al di qua del Reno per svernare. L’intenzione di Arminio era di avvertire Varo di una presunta ribellione a nord-ovest, e di consigliare un percorso alternativo per andare a sopprimerla. La ribellione era solo un’invenzione di Arminio che serviva ad attirare le legioni romane verso un territorio più favorevole ai germanici.
Varo si ritrovò così a marciare nella foresta di Teutoburgo, una regione collinare fittamente coperta di boschi che costringeva i romani a procedere incolonnati. Così i romani erano particolarmente vulnerabili, e Arminio lo sapeva. Quindi Arminio abbandonò Varo dicendo che sarebbe andato a cercare rinforzi presso le tribù della zona. In realtà, intendeva riunire le tribù germaniche e prepararle all’attacco.
A peggiorare la situazione per i romani, il secondo giorno di marcia ci fu un temporale che abbatté degli alberi, rese fangoso il percorso e rallentò il passo delle legioni. Fu qui, nel momento di massima debolezza, che i romani furono attaccati dai germanici agli ordini di Arminio. Prima dell’attacco, i germanici usarono lance e fionde. Le pesanti armature rendevano difficili i movimenti dei romani, che furono sconfitti dai germanici vestiti più agili.
Al terzo giorno Varo perse un terzo dei suoi uomini, e riuscì a malapena ad accamparsi presso la collina di Kalkriese a nord. Ci fu un attacco notturno contro l’accampamento romano, che uccise molti soldati romani. Varo, prima di essere raggiunto dai germanici, si tolse la vita buttandosi sulla sua spada. Arminio e le tribù germaniche avevano vinto.
Per Roma, l’incredibile sconfitta ad opera dei germanici fu devastante. Morirono tre legioni. L’imperatore Augusto avrebbe detto: “Quintilio Varo, restituiscimi le mie legioni!” Un grido di rabbia e sconfitta. Tanto che Augusto abbandonò il proposito di conquistare la Germania. Il 14 d.C. morì. Fu Germanico, nipote del nuovo imperatore Tiberio (14-31 d.C.,) a prendere il testimone e vendicare la sconfitta di Varo.
Dopo aver sedato una rivolta nella Bassa Germania (Basso Reno), Germanico concentrò tutta la rabbia accumulata contro le tribù germaniche. Prima attaccò i villaggi dei Marsi germanici, quindi attaccò i Brutteri guidando quattro legioni più le forze di supporto. Le truppe di Germanico ritrovarono l’insegna dell’aquila romana persa da Varo dopo aver localizzato il luogo della sua morte. Germanico stazionò le sue truppe presso le tribù dei Cherusci di Arminio.
Per evitare il confronto con l’esercito ben più forte di Germanico, Arminio in un primo tempo si ritirò nella foresta. E quasi riuscì ad intrappolare la cavalleria romana in una palude con un’imboscata. Il tentativo fallì a causa dell’aiuto portato dalle legioni romane. Sventato l’attacco, Germanico tornò con le sue quattro legioni presso il fiume Ems, dove si trovava la flotta, mentre il resto delle forze, guidate da Aulo Cecina Severo, tornarono a Roma passando da un vecchio sentiero romano paludoso, cosa che Arminio sfruttò agevolmente. I romani riuscirono appena a difendersi.
La mattina seguente Arminio lanciò personalmente un altro attacco contro Severo, ma fallì per via dei saccheggi prematuri delle sue stesse truppe. Questo permise a Severo di liberarsi e di stabilirsi in posizione difensiva in una postazione migliore. Arminio voleva aspettare che le forze di Severo si mettessero in marcia, diventando così vulnerabili alle imboscate tanto efficaci. Ma lo zio di Arminio, Inguiomero, guidato dall’impazienza e dal troppo ottimismo, forzò un attacco contro i romani. I romani riuscirono a malapena a lanciare una difesa, ricacciarono i germanici e fuggirono verso il Reno.
Il 16 d.C. Arminio attaccò un forte romano presso il fiume Lippe con l’obiettivo di bloccare Germanico, che stava cercando di servirsi di una grossa flotta di un migliaio di navi per rinforzare e rifornire il suo esercito. L’intento di fermare Germanico per tutta l’estate ebbe successo, ma Arminio infine perse la battaglia, il che permise a Germanico di tornare sul Reno e rafforzare il suo esercito con la cavalleria della Batavia guidata da Chariovaldo.
Dopo aver veleggiato nel mare del nord, Germanico rientrò nella regione germanica passando dal fiume Ems, per poi sbarcare e marciare con le sue forze in direzione est, verso il territorio cherusco. Affrontò Arminio sulle sponde del Weser. Tra i romani c’era anche Flavus, fratello di Arminio. Dopo uno scambio di provocazioni tra fratelli, la battaglia iniziò con un’imboscata contro la cavalleria batavina, che fu schiacciata, e il loro capo Chariovaldo ucciso.
Piuttosto che affrontare direttamente il resto dell’esercito di Germanico, Arminio decise di ripiegare presso un bosco sacro lì vicino prima di cavalcare a testa bassa contro l’esercito romano. Germanico reagì a tono cavalcando con i suoi pretoriani. La battaglia, feroce, si concluse con la vittoria romana e grosse perdite tra i germanici. Grazie all’arrivo di altri guerrieri germanici, però, Arminio riuscì presto a riprendersi.
Arminio confidò ancora una volta sulla configurazione del terreno, costringendo l’esercito romano a combattere nella foresta, lungo il confine che separava il territorio degli angrivari con quello dei Cherusci. I romani riuscirono a vincere la battaglia dopo aver sospinto Arminio e i suoi verso una palude. Date le ferite subite da Arminio, fu Inguiomero a guidare il contrattacco. Ma fallì, e il risultato fu un’altra vittoria dei romani.
Pur avendo vinto gran parte delle battaglie, i romani avevano subito forti perdite ed erano a corto di viveri. Una tempesta li colpì duramente mentre cercavano di tornare a casa in barca. Dopo molte perdite, vista l’impasse, fu l’imperatore Tiberio a chiedere la fin delle ostilità. Fu così che Arminio e i suoi vinsero la guerra e riacquistarono la libertà.
Dopo aver ricacciato indietro i romani, ora Arminio si trovò a dover fronteggiare l’altra forza della regione: Maroboduo re dei Marcomanni. Arminio si scontrò con lui in battaglia e lo sconfisse, costringendolo a cercare rifugio a Roma. Tutto il territorio germanico era sotto il controllo di Arminio. Ma fu un governo breve, a causa delle lotte interne tra le tribù e il timore che Arminio diventasse re. Morì assassinato il 19 d.C.
La vita di Arminio e le lotte dei germanici offrono molte lezioni a chi intende opporsi alla dominazione. Le strategie, le tattiche sono istruttive per chiunque voglia lottare contro un aggressore più grande e potente. È così che va vista la lotta di Arminio contro Roma.
Arminio, catturato giovane dai romani, a Roma poté apprendere non solo la loro cultura ma anche le loro teorie sulla guerra. Ciò gli fu di grande aiuto in quanto gli permise di organizzare strategicamente il suo popolo sfruttando le debolezze della dottrina militare romana. Questo rese particolarmente efficace la sua guerriglia, come quando attaccò l’esercito romano in marcia, quando era più vulnerabile, o come quando attaccò nella foresta o in zone paludose, dove l’assalto in formazione e le pesanti armature dei romani diventavano un peso inutile contro l’agilità e le armi leggere dei guerrieri germanici. A ciò si aggiunge il fatto che non era necessario vincere ogni battaglia, ed infatti ne persero molte. Bastava stancare il nemico, esaurirne la capacità di combattimento colpendo i ranghi e le scorte, rendendo la guerra sempre più costosa.
Altra arma efficace fu l’inganno. Grazie alle relazioni con Roma e al rango raggiunto presso l’esercito romano, Arminio riuscì a ingannare il comandante Varo, spingendolo verso la trappola. L’inganno portò ad una delle sconfitte più devastanti di sempre per l’esercito romano, con la perdita di intere legioni per mano di Arminio e di quelli che lo affiancavano. Fino all’assassinio avvenuto il 19 d.C. Arminio si dimostrò un efficace e intelligente comandante della resistenza, e questo costrinse uno degli eserciti meglio organizzati e addestrati della storia a lasciare il campo sfinito e sconfitto. Arminio dimostra che la potenza dell’oppressore non conta. Ciò che conta, quando lo si affronta, è la capacità non solo di capirne i punti deboli, ma anche di sfruttarne le debolezze così da trarne vantaggio. La lotta non deve essere condotta ai termini dell’oppressore, ma ai nostri termini. Questa è la via verso la libertà.