Iran: Dovere Tuo, Non Mio

Di Mila Ghorayeb. Originale pubblicato il 3 giugno 2019 con il titolo Iran: Compliance for Thee, but Not for Me. Traduzione di Enrico Sanna.

L’obiettivo degli Stati Uniti dopo l’undici settembre 2001 non era solo il rovesciamento del governo iracheno. Nel piano del segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, rientravano sette paesi: Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, infine, Iran. Paesi che non hanno rapporti facili con gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita ed Israele, ovviamente. A giustificazione della necessità di aggredire questi stati il dipartimento di stato, fonte informativa unica in fatto di politica estera, ha spiegato che rappresentano una minaccia per gli americani.

Questa è la classica frenesia neoconservatrice che annuncia guerre e cambi di regime. La guerra contro l’Iraq, ad esempio, nasce come strascico dell’undici settembre. Saddam Hussein e lo stato iracheno furono considerati complici di al Qaeda e responsabili degli attacchi in suolo americano, cosa che giustificò l’attacco, almeno in parte, come autodifesa.

Agli obiettivi riguardanti la sicurezza, ovviamente, se ne intrecciavano altri. Sicurezza non significava tanto sopravvivenza degli Stati Uniti, quanto dominio. Rovesciare Saddam Hussein, l’ex alleato, non bastava. Occorreva pianificare un nuovo ordine politico che rendesse “sicuri” ed economicamente ricchi gli Stati Uniti. Mantenere il controllo degli stati petroliferi è importantissimo per il mantenimento dello status di potenza mondiale. Gli Stati Uniti hanno bisogno di alleati che diano loro accesso alle proprie risorse, ed è per questo che hanno sostenuto il soffocamento della Primavera Araba in Arabia Saudita e Bahrein.

L’ossessione iraniana di Trump e della sua amministrazione è, almeno a parole, incentrata sulla sicurezza. Nel 2015, l’Iran ha firmato l’accordo internazionale sul nucleare, con cui si impegnava a fermare il proprio programma atomico in cambio del ritiro delle sanzioni. Dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti, però, l’Iran ha deciso di non rispettare più alcuni punti dell’accordo. Ad aumentare la tensione il fatto che gli Stati Uniti abbiano accusato l’Iran di aver danneggiato quattro navi nel Golfo Persico. Tutto ciò rientra perfettamente nel discorso sulla sicurezza: gli Stati Uniticonsiderano l’Iran uno stato canaglia da “addomesticare”.

Arriviamo così a quello che il diplomatico inglese Robert Cooper chiama “imperialismo difensivo”. Gli Stati Uniti attaccano quegli stati canaglia sospettati di voler possedere armi di distruzione di massa. Sono poi sempre gli Stati Uniti, in qualità di poliziotto mondiale, a convertire questi stati in “democrazie”.

Pur affondando le radici nel colonialismo (il selvaggio terrorista contro il civilizzato occidente), l’imperialismo difensivo non è tecnicamente un atto colonialista. È però vero che poggia su secoli di colonialismo e di forma mentis colonialista che hanno creato l’immagine di una minaccia terroristica mediorientale. Poiché non condividono i valori “occidentali”, o poiché non obbediscono al dettato delle potenze occidentali, sono considerati una minaccia per la sicurezza americana, e questo giustifica una guerra imperialista preventiva. In epoca coloniale, gli stati occidentali si sentivano autorizzati a violare la sovranità di altri stati e a colonizzarli. Perché? Perché leggi internazionali e diplomazie erano esclusiva dei “civilizzati”.

Il fatto è che il volto (imperialista) delle potenze occidentali traspare nel modo in cui “rispettano” le regole.

Ovvero, le regole valgono solo per gli altri. Se gli Stati Uniti non le rispettano, come è successo con gli accordi del 2015, non è perché sono uno stato canaglia. È perché, dice il governo americano a giustificazione del suo atto, devono essere duri e “inflessibili” con gli “stati canaglia”, non scendere a negoziati.

Implicito è l’eccezionalismo americano. Optare per la violenza, che si tratti di sanzioni o di guerra, è giusto se si vuole un’America e un mondo più sicuri, e noi dobbiamo fidarci.

Per i paesi nemici, l’osservanza o meno delle regole non fa differenza. Nei primi anni duemila, nel tentativo di attirare la benevolenza dell’occidente, Gheddafi rinunciò alle armi nucleari e risarcì le famiglie delle vittime dell’attentato di Lockerbie. In cambio, le potenze occidentali avrebbero dovuto togliere le sanzioni e migliorare i rapporti con la Libia.

Sappiamo come è andata a finire. La Libia fu bombardata comunque sulla base di informazioni false o sospette, Gheddafi sodomizzato e ucciso e gli estremisti islamici portati al potere, così che ora la Libia è uno stato fallito attraversato dalla tratta degli schiavi.

Qual è il messaggio in fatto di osservanza dei trattati? Se gli Stati Uniti già all’indomani dell’undici settembre stavano pianificando il rovesciamento del governo libico, apparentemente non c’era modo di dissuaderli.

Lo stesso vale per l’Iran. Possono rispettare la comunità internazionale e gli Stati Uniti, e tutto dimostra che hanno rispettato i termini del trattato del 2015, ma Trump è uscito comunque dal trattato, dimostrando di preferire la guerra alla diplomazia. A questo punto, se gli Stati Uniti hanno già espresso la loro intenzione di cambiare il regime, cosa può fare l’Iran? Il rovesciamento di Gheddafi ha fatto capire agli altri stati che l’osservanza delle regole non basta, e che, visto che l’attacco arriva comunque, è meglio tenere le armi nucleari come deterrenti.

Qualcuno nota che anche altri paesi avversari dell’America, come la Corea del Nord, hanno appreso la lezione dalla vicenda libica. Nonostante le urla della comunità internazionale, la Corea del Nord mantiene il suo arsenale nucleare. Il ragionamento appare logico: o rinunci al nucleare e ti abbattono con un pretesto diverso, oppure ti tieni il nucleare e lo usi come deterrente contro chi cercherà comunque di abbatterti. Oltretutto, gli Stati Uniti in Corea del Nord hanno un passato di violenze tale da mettere i nordcoreani, in quanto attori internazionali razionali, in allerta riguardo le intenzioni americane.

Similmente, anche l’Iran ha poche ragioni per abbandonare il nucleare se i governi americano e saudita sono intenzionati comunque a cambiarne il regime. E credo che il governo americano sia abbastanza intelligente da capirlo. C’è molto da apprendere dalle questioni nordcoreana e libica. Già in passato gli Stati Uniti hanno cercato di cambiare il regime iraniano (tra l’altro, pare che abbiano un debole per l’islamismo). E dopo quello che è successo in Libia, se l’Iran seguirà gli ordini dell’America non gli sarà torto un capello?

Ironicamente, secondo gli opinionisti americani l’Iran è irrazionale. Ma anche gli Stati Uniti esiterebbero a rinunciare alle armi se vedessero gli alleati fare una brutta fine anche dopo il rispetto dei trattati. Così farebbero tutti gli altri stati di cui il piano ultradecennale del dipartimento di stato prevede l’eliminazione. Perché a minacciarli è lo stesso stato che in passato ha agito così.

Ma alla fin fine, i bellicosi leader americani non ammetteranno mai che gli altri stati sono attori razionali con problemi di sicurezza, esattamente come l’America. Uno stato “canaglia” che rispetta le regole è un’eccezione. Quando è l’America a non rispettarle, le conseguenze sono poche. I criminali di guerra possono essere scusati. Si può promuovere una guerra illegale senza timore che altri stati minaccino di invadere e “addomesticare” gli Stati Uniti. E anche gli alleati dell’America possono commettere crimini, come far morire di fame gli yemeniti, e farla franca.

Questo non è altro che il potere all’opera. Da potenza egemonica, gli Stati Uniti possono decidere quali sono gli stati “buoni” e quali quelli “cattivi” sulla base del pensiero imperial-colonialista. Se uno stato è buono, può andare contro le regole e usare la forza perché semplicemente difende la sua sicurezza. Uno stato “cattivo”, al contrario, dev’essere schiacciato.

Significa che dobbiamo aprioristicamente prendere le parti del governo iraniano? No. Ma dobbiamo capire su quali vere basi poggia la retorica che giustifica la guerra. Non farci ingannare dall’idea secondo cui l’Iran è solo uno stato canaglia, un attore irrazionale che vuole il male perché sì. Se i piani dello stato americano sono ben calcolati e chiari, i trucchi usati a sostegno delle sue guerre sono molto più subdoli (ricordate questo?). Capire i meccanismi nascosti dietro le parole e gli obiettivi è d’importanza cruciale.

Se mi freghi una volta, tanto peggio per me. Se freghi la gente cento volte, fai politica estera.

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