Sull’archeologia zombie
Di Anon. Originale pubblicato il primo aprile 2019 con il titolo Night of the Living “Things”: Zombie Archeology. Traduzione di Enrico Sanna.
L’Oxford English Dictionary alla voce “archeologia” dice: “studio della storia e della preistoria umana tramite lo scavo di siti e l’analisi di artefatti e altri reperti fisici.” Lo stesso dizionario definisce “zombie”, nell’ambito della finzione popolare, come “persona o cadavere riportato in vita e trasformato in creatura capace di movimento ma non di pensiero razionale, e che si nutre di carne umana.” La prima si riferisce ovviamente a oggetti inerti. Ma, e se fossero vivi? E se si imponessero su di noi? Non sarebbe più l’archeologo che rivela il nostro passato, ma i manufatti del passato che tornano alla vita, che emergono dalla tomba per consegnarci il nostro passato. È qui che lo zombie entra in scena.
Molti archeologi professionisti, tra parentesi, storcerebbero il naso a sentir parlare di “oggetti inerti”. L’archeologo Michael Shanks definisce il suo lavoro “un rapporto attivo con i reperti del passato che tornano al presente”, e spiega che la sua missione consiste nel cercare di “capire il rapporto tra l’uomo e ciò che produce, inserirlo in una rete di rapporti con il contesto (altri uomini, cose, specie animali, la natura), che rende l’uomo quello che è.” Qui è l’uomo del presente che indaga sull’uomo del passato, non il passato che perseguita il nostro presente, che colpisce l’uomo come un’entità maligna. Io invece vorrei parlare di oggetti abbandonati che si trasformano in fantasmi del passato. Vorrei parlare di archeologia zombie.
Una particolarità del capitalismo è la produzione di merci. “Merci” non semplicemente in senso ontologico, formale, ma più nel senso inteso dai guru del riordino: oggetti assortiti di uso generale, desiderati e prodotti dall’uomo. Anche Karl Marx spiega come il sistema capitalista necessiti di una costante espansione della produzione al fine di sostenere il suo funzionamento. Allo stesso tempo, al centro della teoria marxiana delle crisi economiche c’è il fatto che si producono troppe merci per poter essere vendute con profitto. Nel Medio Evo, gli oggetti erano fatti a mano uno per uno, e se si guastavano erano riparati allo stesso modo. Non c’erano linee d’assemblaggio fordiste che producevano scarpe e se un paio si rompeva non c’era il negozio o il centro commerciale dove andare a comprarne un altro paio.
Il mondo del ventunesimo secolo affonda nelle merci. Secondo APLF ltd., il consumatore medio americano compra 7,5 paia di scarpe l’anno. Secondo il LA Times, “mediamente, in una casa americana ci sono 300.000 oggetti, dai fermagli al ferro da stiro.” Non tutti sono ricchi e dediti all’accaparramento, certo. Tra i problemi fondamentali del capitalismo c’è anche l’accesso diseguale a questa apparente abbondanza di beni. Con tutte queste cianfrusaglie in giro, però, è inevitabile che una grossa parte vada sprecata. In un articolo pubblicato su The Atlantic, Derek Thompson spiega che in un anno il mondo produce 1,18 miliardi di tonnellate di rifiuti, “come 7.000 Empire State Building.” In gran parte rifiuti di cibo, ma anche oggetti di plastica economica o altri materiali che si rovinano facilmente. Alcune società, come la Apple, programmerebbero i loro prodotti in modo che smettano di funzionare correttamente dopo un certo tempo, così da costringere il consumatore a sostituire spesso l’oggetto comprato.
Tutto questo spreco, tutta questa roba buttata via deve andare da qualche parte, ed è qui che entra in gioco il concetto di archeologia zombie. Il filosofo Manuel de Landa, intervistato da New Materialism, dice: “È assurdo pensare che complesse strutture auto-organizzate abbiano bisogno di un ‘cervello’ che le crei. Il sistema accoppiato atmosfera-idrosfera genera continuamente strutture (nubifragi, uragani e correnti d’aria coerenti) non solo in assenza di un cervello, ma addirittura senza organi di alcun genere.” Questo punto è importante. Pur prive di cervello, se non inorganiche, le strutture naturali hanno un comportamento organizzato. Ancora più importante è il fatto che, crescendo, la massa di rifiuti prodotti dall’uomo riesce ad invadere quel sistema naturale descritto da de Landa, diventando così un’entità attiva; che torna in vita passando dall’ecosistema.
Nella mia città natale di Cincinnati, nell’Ohio, si trova il famoso Mount Rumpke, una delle maggiori montagne di rifiuti degli Stati Uniti, che nel 1996 ha subito un grosso smottamento, un vero e proprio evento geofisico. Ancora più terribile è quello che è accaduto in Mozambico, dove è franata una collina di rifiuti uccidendo diciassette persone. E poi l’isola di plastica, che è nata e viene continuamente alimentata dai rifiuti catturati e concentrati dalle correnti oceaniche. Questa immondezza marina non solo entra a far parte dei grandi processi oceanici, ma invade anche i processi biologici multi-specie quando le tossine della plastica tornano all’uomo attraverso la catena alimentare. La spazzatura orbitale, pur non essendo prodotta dal consumismo, è un altro esempio. Secondo la Nasa, ci sono più di 20.000 oggetti più grandi di un pallone che orbitano attorno alla terra a velocità fino a 2.800 chilometri l’ora. Tutte cose che causano, o possono causare, enormi danni alla nostra esistenza. Abbiamo gettato i cadaveri del nostro ciarpame in enormi fosse comuni, necropoli che ora cominciano a prendere vita. Le merci del nostro passato strisciano fuori dalla tomba, spalancano le porte del mausoleo e seminano il panico tra i viventi.
Il capitalismo ha prodotto più merci di quante le generazioni passate potessero anche solo immaginare, e tutte queste merci vengono usate e gettate via rapidamente in quantità mostruose. È immondezza che entra a far parte della topografia planetaria, ne penetra l’ecologia, e infine torna all’uomo sotto forma di maledizione. È archeologia zombie: non siamo noi a riportare alla luce il passato, ma è il passato che torna da noi; per vendicarsi. La nostra è l’epoca del collasso ecologico causato dal capitalismo, un’epoca sempre più caratterizzata dal ritorno di questi zombie archeologici. Così Walter Benjamin a proposito di Angelus Novus di Paul Klee:
C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Cosa accade quando le rovine, vere o metaforiche, cominciano ad insinuarsi nel presente? Quando i morti, per così dire, si svegliano? L’archeologia zombie pone queste domande.